Fandom: RPF musica, Benji e Fede
Warning: Historical!AU, rating arancione
Prompt: M4, salto temporale + reincarnation
Questa storia partecipa al cowt10 di Lande di Fandom
334 d.C., nei pressi di Modena
Ben corre a perdifiato nel buio cercando di non farsi vedere e non farsi udire, anche se con il chiasso e le urla che sente non pensa che possano davvero sentirlo.
Ha il cuore che gli martella il petto ma non ha intenzione di fermarsi, neanche i piedi che iniziano a dolere lo distoglieranno mai dal riuscire ad arrivare alla sua meta. Zittisce i pensieri apprensivi che gli affiorano nella testa non appena gli viene in mente il ragazzo verso il quale sta scappando.
Salta un ramo caduto all’ultimo cercando di rimettersi in equilibrio perdendo il meno possibile la velocità acquisita. Ha il terrore di arrivare in ritardo, di non arrivare in tempo per salvarlo e proteggerlo.
Finalmente riesce a lasciarsi alle spalle il gruppo di persone che seguendo il sentiero si dirige dalla sua stessa parte. Il silenzio in cui è avvolta la macchia verde nella quale corre non lo aiuta a concentrarsi, però. La mente continua a vagare tra pensieri negativi e ricordi rosei senza una continuità logica, senza che lui possa fare qualcosa per fermarli.
Finalmente intravede l’abitazione che sta cercando attraverso i tronchi fitti. Scorge una luce dalla finestra e questo lo fa ben sperare. Quando finalmente vede una figura che vi passa davanti, una figura che riconoscerebbe tra mille, perché ormai fa parte di lui e del suo essere, sente la tensione calare di colpo percorrendolo con un brivido gelido.
Accelera la corsa e non appena si trova abbastanza vicino bussa alla porta con forza e concitazione. Quando finalmente la porta viene aperta, Ben vede due occhi azzurri che sembrano acqua, capelli scuri resi biondi dal sole sulle punte, l’espressione confusa che muta subito in sorriso non appena lo vede e sente il blocco creatosi dapprima nello stomaco sciogliersi come neve al sole.
«Pensavo ti avessero già preso», gli dice buttandogli le braccia dietro al collo e beandosi del calore del suo corpo per qualche istante. Sente le braccia cingergli i fianchi e poi scansarlo dolcemente per guardarlo negli occhi.
«Che succede, Ben?» chiede Federico con l’urgenza nella voce.
«Siamo stati traditi da qualcuno – dice infilandosi nella casa che ormai conosce più che bene – credevo potessimo avere qualche altro giorno ma non è così. Sono venuti prima a bussare a casa mia, ma non ho aperto e sono fuggito dal retro».
Sul viso di Federico finalmente iniziano a delinearsi segni di comprensione. Gli occhi si sgranano e velocemente si richiude la porta alle spalle. «Stanno arrivando?» chiede ancora un po’ incredulo, guardando Ben spaventato.
«Dobbiamo andare prima.» dice risoluto Ben guardandolo negli occhi e prendendolo per le spalle. «Andrà tutto bene. Te lo prometto», bisbiglia cercando di rassicurarlo dandogli un bacio leggero sulle labbra.
Guarda i suoi occhi grigi e affilati che sono diventati da tempo ormai il suo rifugio nei momenti bui. Si bea del leggero tocco e della successiva sensazione di pace che ne deriva e si chiede come sia possibile che una cosa che lo fa stare così bene possa essere un problema per qualcun altro.
Il mondo sta cambiando e ciò che prima avrebbero potuto forse faticosamente portare avanti di nascosto adesso è diventato un pericolo per la vita di entrambi e nessuno di loro si permetterebbe mai di essere la causa della fine dell’altro.
Carico di quei pensieri Federico annuisce e cerca di farsi forza. «Prendo l’anello che mi ha lasciato mio padre, spero valga qualcosa», dice più a sé stesso che all’altro iniziando a cercare l’oggetto.
«Sì, io ho preso il bracciale di mia madre e le medaglie per le campagne asiatiche», dice affacciandosi dalla finestra e scorgendo le prime torce. «Fede, ci dobbiamo muovere».
Federico prende l’anello e l’unica medaglia che abbia mai ricevuto durante gli anni da soldato e se li assicura dentro ai calzoni. «Sono pronto», dice a Ben.
Escono dalla finestra che dà sul retro, lasciando il camino acceso. Una volta fuori sentono distintamente le voci bellicose dei cittadini arrivare fino a loro. Federico sente lo stomaco stringersi dall’ansia. Guarda un’ultima volta la casa che è sua e della sua famiglia da generazioni, che suo padre ha tenuto in piedi, che lui stesso ha risistemato e sente il cuore stringersi in una morsa di nostalgia.
Tutta la sua infanzia e le sue radici sono in quella cosa, che ora sta abbandonando per non esservi strappato via da mani ignoranti ed impaurite, aizzate da poteri che hanno solo bisogno di trovare una male comune per unificare i sudditi.
Ben gli stringe la mano. Non lo gli parla ma Federico riesce a distinguere la brillantezza dei suoi occhi che lo fissano e cercando di fargli coraggio, nonché il calore e la decisione che derivano dalla sua stretta.
Ben lo tira verso di sé ed inizia a correre, Federico lo segue e lo imita lasciandosi la casa della sua famiglia alle spalle, consapevole che non la vedrà mai più.
Il bosco nel quale corrono è ricco di insidie ma entrambi lo conoscono bene. Federico ci va a caccia da quando riesce a tenere un pugnale tra le mani e Benjamin ha imparato a conoscerlo nei mesi di congedo militare che hanno passato insieme e che Fede ricorderà come i più felici della sua vita.
Il fiato inizia a mancargli nell’esatto momento in cui Ben rallenta l’andatura. Davanti a loro, avvolto dall’oscurità della notte si scorge un minuscolo lume rossastro che emano bagliori sanguigni che illuminano il buio.
Sempre senza sciogliere le mani tra di loro, avanzano con passo veloce verso ciò che sperano possa aiutarli nella decisione che hanno preso.
Federico guarda Benjamin, ha il volto imperlato di sudore e la bocca dischiusa che cerca di prendere aria. Non sa quante volte lo ha visto così sul campo di battaglia o su quello di addestramento, ma è grato del fatto che adesso non ha negli occhi l’espressione di disgusto e smarrimento che sempre gli vedeva in volto quando tornavano al campo dopo una battaglia.
Gli stringe la mano e si bea del gesto gemello che Ben gli riserva facendolo sentire protetto e parte di qualcosa come non si era più sentito dopo la morte dell’ultimo membro della sua famiglia.
Non appena sono abbastanza vicini al lume che vedevano da lontano si rendono conto che la torcia è posta all’ingresso di una grotta che si apre con una fessura che sembra una ferita profonda nella roccia, come se un gigante ci avesse scagliato una freccia attraverso e adesso fosse rimasto solo il segno dell’orrendo vuoto che l’arma vi ha inferto.
Fede sente un brivido percorrergli la schiena, facendogli drizzare i capelli sulla nuca. Si blocca un attimo, fermando di conseguenza anche l’avanzata di Ben.
«Che c’è?» chiede il più grande guardandolo preoccupato.
«Tu sei sicuro che andrà bene?»
Ben ingoia a vuoto. «Non ne sono sicuro, Fede, ma l’incertezza di una vita in cui non dobbiamo nasconderci e in cui non devo aver paura di perderti per ciò che provo per te è più allettante della certezza di non averti in questa».
Fede lo guarda fisso. Prende un respiro e si impone autocontrollo, lo stesso a cui faceva appello ogni volta che si trovava tra le fila dell’esercito schierato.
Insieme penetrano nella tetra oscurità della grotta e presto la loro vista non serve più a nulla. È un nero innaturale quello che c’è lì e Federico si sente di nuovo preso dall’ansia e dalla paura. Stringe la mano di Ben e cerca di fare attenzione a dove mette i piedi per non inciampare nei suoi.
«Fermatevi»
È una voce spettrale che sembra provenire direttamente dalla torre quella che sentono. Fede si avvicina a Ben, sente la sua spalla alzarsi e abbassarsi in un respiro ansioso esattamente come la sua.
«Siamo qui per il rituale – inizia Ben – Abbiamo portato l’oro e quanto di più prezioso abbiamo»
Nessuno risponde per minuti interi che in quel buio sospeso potrebbero essere anche ore.
«Non è ciò che avete in tasca ciò che di più prezioso possedete»
Benjamin è già sul punto di controbattere che la voce lo anticipa. «È ciò che stringete in mano».
Federico si guarda la mano vuota, che cosa intende? La frustrazione inizia ad essere più pressante della paura ma nulla gli viene in mente da fare o da dire, perciò se ne rimane in silenzio con la spalla attaccata a quella di Ben e la mano stretta nella sua.
«Questo è il giorno della vostra morte. Ognuno di voi morirà oggi stesso»
«Siamo venuti perché ci hanno detto che avremmo potuto avere una possibilità, seppur minima, di non doverci vergognare di ciò che siamo»
«Questo, ragazzo, è un privilegio che hanno in pochi»
Federico sente Ben fremere di ansia e aspettativa. «Allora, ci aiuterai?»
«Aiuterò uno di voi se l’altro sarà disposto a sacrificare ciò che ha di più caro».
La voce è sempre più gracchiante e terrificante, sembra graffiare direttamente i muri ogni volta che parla con loro.
«Cosa vuoi che facciamo?»
«Stendetevi a terra e stringete ciò che avete di più caro. Se il vostro cuore non sarà concorde con il vostro desiderio, le vostre anime saranno la mia ricompensa»
«Che facciamo?» sussurra Federico sperando che some sempre Ben se ne venga con un’idea per tirarli fuori da quella situazione.
«Ascoltami», dice Ben risoluto, «Devi avere fiducia di me. Ti fidi di me, Fede?»
Federico appoggia la fronte a quella di Benjamin aiutandosi con le mani a causa del buio. «Sì, da quel giorno sul campo di battaglia»
Sente Ben accarezzargli i capelli. «Anche io mi fido di te. Adesso stenditi accanto a me»
Fede fa come gli viene detto.
«Lascia tutto ciò che hai portato accanto a te»
Libera dal laccetto che lo tiene assicurato ai calzoni il sacchetto dove aveva messo le cose più preziose che aveva e se lo mette accanto. Poi poggia la testa sulla pietra fredda. Sente Benjamin fare lo stesso.
Il cuore inizia a battergli all’impazzata e l’unica cosa che vorrebbe è scappare il più lontano possibile via di là. È la stessa sensazione che ha imparato ad ammansire e a tenere a bada quando si trovava davanti il nemico. Respira profondamente e cerca di calmarsi.
«Andrà tutto bene, te lo prometto».
Federico annuisce nel buio non curandosi del fatto che Ben non possa vederlo. L’ultima cosa che sente è Ben che gli stringe la mano, lui fa lo stesso. Poi dal terreno si inizia sprigionare un gorgoglio funereo e terrificante. Sente il corpo tremare violentemente e i polmoni svuotarsi lasciandolo senza aria e senza forze.
L’ultimo contatto con la realtà è Ben. Poi più nulla.
*
1567, nell’Oceano Atlantico
Benjamin si precipita fuori dalla sua cabina nel momento esatto in cui sente il colpo di una pistola provenire dal piano di sopra. Sguaina la spada mentre si dirige a grandi passi verso le scale. Era stato avvertito dal quartiermastro dell’avvicinamento di una nave ma aveva i colori della loro stessa nazione e non si era preoccupato troppo, aveva fatto un errore di valutazione era ovvio dal chiasso che proveniva dal ponte.
«Che sta succedendo?», chiede ad un giovane ragazzo con il volto impaurito e determinato in egual misura, fermandolo di forza mentre scendeva le scale come un dannato.
«Ci hanno attaccato, capitano. La nave in avvicinamento conteneva in realtà pirati, ma il nostromo se ne è accorto in tempo e stiamo riuscendo a contrattaccare»
«Bene, va», dice Ben lasciandolo andare malamente e scapicollandosi sulle scale per dare man forte ai suoi.
Non appena mette piede fuori la luce del giorno lo acceca per un attimo ma i suoni della battaglia lo tengono sveglio e ricettivo. I suoi uomini si stanno difendendo bene e con coraggio, come sono stati sempre abituati a fare.
Non appena i suoi sensi glielo permettono si avventa su un pirata che è sopra uno dei suoi calciandolo via forte e poi infilandogli la lama direttamente nelle viscere, assaporando il momento in cui la spada perfora tessuto e carne uscendo dal lato opposto.
Aiuta il suo uomo a rialzarsi e comincia a dar battaglia a nuovi pirati che tentano l’arrembaggio sulla nave passando dalle passerelle che hanno messo tra le due navi per facilitarsi il passaggio.
Ben con un rovescio fa scivolare di lato uno dei pirati che stava tentando la traversata facendolo cadere tra le due fiancate, sbattendo prima su una e poi sulla ed infine cadendo in mare. Con forza, aiutato anche da un altro dei suoi uomini buttano giù una delle passarelle.
Senza perdere tempo corre verso la prua dove il grosso della battaglia sta avendo piede e libera uno dei suoi conficcando un proiettile dritto nella testa dell’uomo che lo stava assediando, che gli ricade addosso privo di vita.
Riesce finalmente a raggiungere il nostromo che sta spronando gli uomini a difendere la nave e l’onore.
«Sono spagnoli, capitano», dice l’uomo grosso e nerboruto con la casacca macchiata e il volto sfigurato dalla fatica. «Non penso sappiamo che siamo corsari, ci hanno scambiati per una nave mercantile»
Un sorriso beffardo e terribile si dipinge sul volto di Ben. «Bene. Sei riuscito a capire chi è il capitano?»
«Ancora no, signore. Sono dei diavoli questi, sono riuscito a malapena a prendere un respiro tra un morto e l’altro»
«Continua così, Morris»
Benjamin corre di nuovo verso il fitto della battaglia. Una passerella crea ancora un legame tra le pance delle due navi. Sta per andare a reciderlo nel momento in cui si rende conto che nella foga della battaglia sull’altra nave sono rimasti pochi uomini, con ogni probabilità i meno esperti.
Si volta alla ricerca spasmodica di qualcuno che possa seguirlo, fa cenno a un paio di uomini che immediatamente si mettono dietro di lui e scendono sulla nave nemica facendo fuori gli ultimi rimasti.
«Controllate la stiva».
«Sì, capitano»
Benjamin intanto va alla ricerca del capitano della nave. Non gli è sembrato di vedere qualcuno che avesse più potere di altri o che dettasse ordini, per questo è giunto alla conclusione che deve necessariamente trovarsi ancora sulla nave.
Si reca a poppa, cercando la cabina dove è certo di trovarlo, ma non appena la apre la trova vuota e per niente come se la sarebbe aspettata. A dirla tutta assomiglia di molto alla sua, non che le cabine del capitano sui velieri non siano tutte uguali ma questa ha qualcosa di famigliare che non riesce a non fargli pensare a come lui stesso ha disposto la propria.
Rimane per un attimo impigliato in quei pensieri finché non gli arriva una voce da sopra. Si distoglie a fatica da quel ragionamento e nota che vi sono vari diari di bordo sulla nave, li sfoglia velocemente e decide di prenderli con sé.
«Capitano, abbiamo trovato solo un piccolo forziere, polvere da sparo e vettovaglie», gli dice una voce da su.
«Vai a chiedere al signor Spencer quanta polvere da sparo ci manca e… anche le vettovaglie. Se non ci occorre tutto il loro carico porta la polvere sul ponte e assicurala all’albero maestro».
«Sì, signore».
Ben sale nuovamente sul ponte e butta uno sguardo alla sua nave. I suoi uomini sono riusciti quasi del tutto a sconfiggere gli assalitori. Qualcosa colpisce i suoi occhi nel momento in cui sta tornando sulla sua nave, un bagliore che non viene dal sole ma sembra proprio appartenergli. Ne rimane accecato per un attimo non tanto a causa degli occhi quanto a causa del suo animo che si ritrova per un attimo irradiato da qualcosa che non ha mai sentito.
Un uomo dell’altra ciurma, però, prende quel momento di distrazione per attaccarlo mentre urla improperi nella sua lingua. Benjamin fa un passo indietro nel tentativo di scartare e difendersi dall’attacco improvviso.
Nonostante le distrazioni e quella strana sensazione il suo corpo addestrato reagisce per lui, non è di certo diventato uno dei corsari della regina per nulla.
Para un affondo laterale e poi un attacco diretto, finché non riesce a bloccare la lama del suo avversario proprio davanti la sua faccia spingendolo via e facendogli perdere l’equilibrio quel tanto che basta per aver tempo di prendere la pistola e sparagli dritto in faccia.
«Capitano, ho fatto quello che mi avete detto. La polvere che non ci occorre l’ho assicurata all’albero maestro»
«Ben fatto. Adesso vediamo di chiudere questa faccenda che è durata già troppo».
Entrambi si recano sulla nave e danno man forte agli uomini rimasti. In pochi minuti i pirati vengono tutti disarmati e accerchiati al centro della nave.
«Legateli», urla il nostromo.
Benjamin cerca il quartiermastro e gli ordina di organizzare il trasporto del forziere e della polvere necessaria sulla loro nave.
«Bene, oggi avete avuto un assaggio del perché l’Inghilterra non potrà mai essere sottomessa a voi gente come voi», dice consapevole che nessuno di loro probabilmente lo capisca. «Chi di voi si fa chiamare capitano?», continua guardando gli uomini sporchi e tumefatti, con gli occhi pieni di rammarico per la sconfitta appena subita.
Un uomo fa un passo avanti. Dapprima vede solo gli stivali neri consumati, mangiati dalla salsedine e dall’usura, all’interno dei quali sono infilati dei calzoni neri sdruciti e rattoppati in più punti. Di certo non una ciurma fortunata, considerando lo stato dei vestiti del suo capitano. Una camicia slabbrata e sporca ricopre il corpo cotto al sole, come si intravede dalla pelle del petto e delle spalle lasciata scoperta dall’indumento rovinato. Il collo e il viso sono scuri anch’essi, così come le labbra spaccate e tumefatte. Il naso è incredibilmente dritto e al lato ci sono due occhi azzurri come l’oceano che incontra la riva.
Benjamin sente l’aria mancargli nei polmoni senza motivo. Guarda quel volto che non ha mai visto, che non ha la minima idea a chi appartenga ma che per qualche motivo gli abbaglia l’anima.
Passano forse troppi minuti, perché il quartiermastro richiede la sua attenzione. «Capitano, è tutto a posto. Come procediamo?»
Benjamin sforzandosi con tutto sé stesso distoglie lo sguardo e cerca di procedere in automaticamente. «Allontaniamoci, quando siamo abbastanza lontani incaricate il signor Deck di sparare al carico di polvere sul ponte, quella nave è inutilizzabile».
Non si cura dei volti terrificati dei prigionieri che lo fissano e tantomeno cerca di non guardare nuovamente quello del capitano, che lo ha sconvolto così tanto.
«Metteteli in gattabuia, partiamo non appena siamo pronti», così dicendo si dirige nella propria cabina, con gli ordini che i suoi sottoposti urlano che gli arrivano sempre più lontani alle orecchie.
Sono in viaggio ormai da un bel po’ di giorni dopo l’attacco. Vedranno terra tra pochissimo. Sebbene l’incontro con il capitano pirata l’abbia scosso non ha avuto il coraggio di vederlo un’altra volta, hanno però predisposto di vedere coloro sulle quali teste c’è una taglia e dare gli altri alla legge per prendere il compenso che gli spetta.
Non c’è altro da fare, eppure qualcosa gli urla di stare sbagliando, Benjamin sbuffa forte e butta giù un altro bicchiere di rum che i pirati conservavano nella loro stiva. Gli era mancato il bruciore che solo l’alcol di contrabbando riesce a dare. Beve finché non riesce a cancellare l’ansia e la sensazione di star commettendo un errore madornale.
Occhi chiari, chiarissimi gli si parano davanti. Vede un sorriso dolce e la pelle cotta dal sole. Sente rumori lontani di una battaglia e parole che non capisce. Sente una voce famigliare eppure sconosciuta. Vede capelli incendiati dai raggi del sole solo sulle punte e un nome gli balza sulle labbra. Federico.
Benjamin si risveglia con il fiato corto e il cuore che palpita nel petto. Sente piccole goccioline di sudore scorrergli lungo la schiena e la mente finalmente chiara e libera.
Finalmente ricorda, finalmente sa. Come ha potuto dimenticare? Come ha potuto…?
«Capitano», bussa il quartiermastro entrando in cabina, «Siamo in vista di terra. La Virginia ci accoglie»
«Perfetto, preparatevi allo sbarco»
«E i prigionieri? Che ne facciamo?»
Benjamin sente il cuore sprofondargli nello stomaco e la consapevolezza di ciò che sta per accadere lo colpisce in pieno petto.
«Assicurati prima che ci sia qualcuno pronto a registrarli e a darci i soldi che ci spettano. Poi sbarcheremo anche loro»
Il quartiermastro esce con un cenno del capo lasciandolo nuovamente da solo. Benjamin si butta giù dalla brandina con troppa foga. Il rum che ha bevuto la sera prima non ha di certo aiutato, ma non si può far fermare da una cosa del genere. Chiama velocemente uno degli uomini e gli ordina di portargli il capitano della ciurma pirata.
L’uomo arriva poco dopo e lui ordina di essere lasciati soli. Si guardano entrambi senza proferir parola, l’altro ha lo sguardo stravolto esattamente come il suo. Il fiato corto e gli occhi pregni di un incomprensibile groviglio di sentimenti.
«Benjamin», dice il pirata con la voce rotta.
«Fede» risponde finalmente Ben facendo un passo verso di lui e liberandolo dalla corda che gli teneva le mani assicurate dietro la schiena. «Scusa, scusa non ti avevo riconosciuto»
Federico scuote la testa con le lacrime agli occhi. Uniscono le fronti e si beano di quel contatto tanto bramato.
«E ora?» chiede Federico in un inglese stentato.
Benjamin ha una matassa di emozioni che sembrano bloccargli il respiro nel petto e riesce a dire solo una cosa: «Adesso devi avere fiducia in me. Ti fidi di me, Fede?»
Federico lo guarda fisso negli occhi grigi che improvvisamente ricorda perfettamente, sorride ed annuisce. «Sì, da quel giorno sul campo di battaglia».