Feb. 22nd, 2020

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Fandom: Mitologia greca
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Promtp: M2, mitologia greca

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Ade viene annunciato da una serie di tonfi che Persefone associa allo sbattere delle varie porte che li dividono. Sapeva perfettamente che sarebbe andata a finire così. Ogni volta che suo marito partecipa alle “Importantissime riunioni dei vertici alti” – come le chiamano Zeus e Poseidone – torna con un umore più nero della fossa del Tartaro. Ormai però ci è abituata.

Per questo quando entra come una furia nella stanza dove Persefone sta leggendo l’ultimo romanzo di Nicholas Sparks, lei non fa una piega. Lo sente sbattere i piedi con rabbia, buttare le cartelle piene di dati che si era portato per avvalorare la sua tesi e borbottare improperi sui suoi fratelli e “tutti quegli altri debosciati figli di una buona donna che li seguono”.

Aspetta di finire il capitolo, dopo di che chiude il libro, alza lo sguardo e chiede con una voce mielosa e stucchevole, che ha imparato da sua madre: «Ciao caro, come è andata?»

«Come è andata? COME È ANDATA? È andata malissimo! Quei due deficienti non sanno tenere a bada manco mezzo dei mondi che si sono presi. Il mare è pieno di merda e quel rincoglionito di Poseidone se ne sta tranquillo sul suo trono del cazzo a mangiare cocktail di gamberetti andati a male»

«Una vera mancanza di rispetto», conviene Persefone calma.

«Sì. Esatto. Per non parlare di quel maniaco di Zeus. Non importa che si sia scopato qualsiasi cosa nel giro di questi anni, continua a mettere il suo maledettissimo coso rinsecchito ovunque generando umani pazzi che si credono dio o investiti di chissà quale carica divina e vanno ad uccidere la gente in nome del loro padre. E sai chi ci va di mezzo in tutto questo?»

«Tu, caro», continua accondiscendente Persefone.

«Esatto. IO. L’Oltretomba è pieno di gente che loro fanno morire e io non ho più spazio dove metterli. Le anime sono ammassate una sopra l’altra, lo Stige a tratti straripa. Io dove le devo mettere le anime che loro fanno morire prematuramente? Me lo dicono? No. Me la devo vedere sempre da solo.»

Persefone si limita a guardarlo questa volta.

«Sono esausto», dice infine Ade che ha urlato fin troppo facendo acuire il mal di testa che già gli era esploso mezzora fa.

Persefone si alza, lo fa sedere sulla sua poltrona e si mette dietro di lui, massaggiandogli le tempie. Ade si rilassa all’istante, chiudendo gli occhi e abbandonandosi al suo leggero tocco.

«Sei una davvero dea, Persefone»

«Sì, lo sono», risponde la ragazza sorridendo. «Ed oltre a questo sono anche la moglie migliore del mondo.»

«È vero, lo sei. Sono il più fortunato»

Persefone gli dà un bacio sulla fronte e si mette davanti a lui.

«Ti ho preparato una cosa perché sapevo che saresti tornato incazzato nero», gli dice con lo sguardo malizioso e complice.

«Cosa?» chiede curiosissimo Ade, finalmente con l’umore più rilassato.

«Ho incaricato Caronte di non buttare gli escrementi di Cerbero e di far recapitare nel giardino qui dietro le statue più grandi e antiche di Zeus e Poseidone»

Ade si illumina in viso. «Sei davvero la donna perfetta», dice baciandola dolcemente sulle labbra.

«Io lancio e tu colpisci?» chiede Persefone alzandosi dalla sua posizione e andando a prendere guanti e mazza da baseball.

«Tu lanci e io colpisco», risponde Ade complice.

 

 



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Fandom: Mitologia greca
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Prompt: M2, mitologia greca

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Artemide corre nei boschi facendo a gara con la luce del sole, dietro di lei le accolite del suo gruppo corrono ridendo e scherzando tra di loro. Si volta un attimo e vede i loro i capelli scossi dal vento, i seni che si muovono liberi e le cosce scevre di qualsiasi abito ingombrante.

Questo è proprio il paradiso.

Si ferma poco dopo e si lascia cadere sull’erba morbida e fresca di rugiada, le sue ragazze fanno lo stesso facendo a gara per mettersi il più vicino possibile a lei.

Questo è ver…

«Artemide!»

Ma che?

«Artemide, cazzo svegliati»

Una voce da uomo, bassa, roca e fastidiosa la sveglia dal suo bellissimo sogno pieno di meravigliose ragazze. Il faccione enorme di suo padre Zeus è una visione decisamente troppo disgustosa di prima mattina, per non farla alzare già con la luna girata.

«Pa’ e che cazzo. Ma come ti viene svegliarmi così? Levati», scosta malamente il padre e cerca di mettersi a sedere stropicciandosi gli occhi.

«Mi devi fare un favore enorme, figlia mia adorata»

Artemide alza gli occhi al cielo e sbuffa infastidita. «Risparmiami le parole dolci, che vuoi?»

«Ecco, accidentalmente è successa una cosa»

«Papààààà» si lamenta priva di forze Artemide che già sa dove vuole andare a parare.

«Ti giuro che questa volta io non c’entro per nulla, me ne stavo lì a gironzolare per Pella sotto forma di serpente e sono capitato nel suo letto, ma ti giuro che io non ho fatto nulla. È lei che mi ha praticamente violato», si giustifica Zeus dando fondo alle sue già bassissime doti attoriali che fanno incazzare Artemide ancora di più.

«Chi hai ingravidato?» chiede senza troppi giri di parole, già piena fino ai capelli di quella giornata.

«Olimpiade. La moglie di Filippo»

«La regina dei Macedoni? Ma ce la fai ogni tanto a non scoparti tutte le consorti degli uomini più potenti?»

«Non ci posso fare nulla è più forte di me», ridacchia Zeus con una mano dietro la nuca.

Artemide rotea gli occhi. «Era lo sa?»

«Ecco, è qui che viene il difficile. Lo sa. Per questo ho bisogno che andiate ad assistere al parto tu ed Estia e chiunque altro può salvare il bambino da quella megera»

«Quella megera è tua moglie, e la nostra regina»

Zeus scuote la mano a mezz’aria come a dar poca importanza a ciò che ha detto sua figlia. «Dai ti prego, ti prometto che la prossima volta che incontro una ragazza le chiedo prima se vuole unirsi al tuo gruppo e se non le va la defloro»

«Una? Almeno dieci»

«Die-? E va bene, va bene. Dieci».

 

*

Artemide arriva al palazzo di Pella che il sole non è ancora sorto. Le grida di dolore della povera Olimpiade si sentono per tutto il palazzo e per buona parte del cortile circostante.

Quando arriva, Estia è già lì e con la sua solita dolcezza sta aiutando la povera donna a spingere fuori quell’anguria piangente dal suo corpo.

Artemide ha un moto di ribrezzo. E poi mi chiedono pure perché ho scelto la castità.

«Spingi, fanciulla. Spingi» continua a dire Estia asciugandole la fronte madida di sudore.

«Posso fare qualcosa, zia?»

«Artemide, cara, ho bisogno di un po’ di acqua fresca. Questi umani ci mettono anni per fare avanti e indietro dalla fonte e mi arriva già calda. Ancora un po’ e mi servirà solo per bollirle la fronte piuttosto che rinfrescarla».

«Ci penso io zia»

«E Artemide, cara, stai attenta che Era non ci tenda qualche trabocchetto. Zeus ci tiene parecchio a questo piccolino»

Artemide annuisce esausta di queste liti di famiglia. Si reca alla fonte più vicina, si accerta che sia completamente priva di ogni accenno di Era e così come è venuta ritorna al palazzo.

«Ecco a te zia. Fortunatamente nessuna traccia di Era. È strano, no? Di solito la vedresti qui fuori a lanciare maledizioni, invece è tutto tranquillo»

Estia la guarda preoccupata ma non dice nulla.

Finalmente con un’ultima forte spinta e un urlo sovraumano, il piccolino esce fuori in uno spettacolo così disgustoso che in confronto Prometeo con il fegato beccato da un’aquila sembra un cesto di gattini.

In ogni caso, Era non si vede. Il bambino sta bene. La regina sta bene. Tutti stanno bene e lei può tornarsene finalmente a…

«Pssst»

«Ma che..?»

«Pssssssssssssst»

«Ma chi è?

Da dietro uno dei mille veli che dividono la stanza enorme della regina in piccole nicchie Artemide intravede il viso di un uomo, o meglio un dio, che conosce fin troppo bene.

«Dioniso, che cazzo ci fai qui?» chiede Artemide con i nervi a fior di pelle, perché che cazzo stava andando tutto bene e invece ecco che la sua famiglia torna a dar fastidio.

«Sono venuto a vedere mio figlio»

«Tuo fi… TUO?»

«Sì, Olimpiade è un’accolita del mio culto. Qualche mese fa durante un incontro abbiamo avuto un’intesa e beh sai…»

«Questa è una tragedia.»

«Perché?» chiede Dioniso sinceramente preoccupato.

«Perché? Perché Zeus crede che sia figlio suo. Ecco perché»

«Oh. Oooooh. Ora capisco»

«Capisci che?»

«Perché siete tutte qui, non me lo aspettavo»

Artemide è sull’orlo di una crisi di nervi. Suo padre non deve assolutamente saperlo, altrimenti è una tragedia, farà cominciare un’altra guerra e lei non ne ha proprio voglia.

«Senti, dobbiamo tenere tutto questo segreto, hai capito? Se Zeus lo viene a sapere…»

«Beh ecco…»

«Che c’è ancora?»

«Credo ci sia un’altra persona che lo sa»

«Chi, per l’amor di mio padre? Chi?»

«Era», ammette Dioniso con una vocina piccola piccola.

Artemide si colpisce la fronte con la mano così forte che quasi si fa girare la testa.

«Mi ha fatto incontrare le Olimpiade», spiega il dio del vino.

Certo che c’era quella stronza megera di Era dietro tutto questo. «Va bene. Non disperiamo. Possiamo contare sull’atteggiamento passivo-aggressivo di Era e sperare che non glielo dica mai solo per vederlo vantarsi di un figlio non suo. Sì, potrebbe funzionare. È l’unica soluzione che…»

«Figlia», il vocione di suo padre la richiama e la fa voltare di scatto.

«Papino, ehi. Ci sei anche tu, che ci fai qui?»

«Sono venuto a vedere il mio bambino»

«Ah sì, il tuo bambino. Bello è. Bellissimo. Ha i tuoi occhi»

«Davvero?»

«Sì, pa’. È identico spiccicato a te. Questa volta hai fatto proprio un buon lavoro»

Zeus si sporge verso il bambino, ormai pulito e avvolto in una copertina. «Hai ragione, si vede proprio che è forte e bello come suo padre»

«Eh sì…eheheh»

«Diventerà un grande condottiero»

«Ma certo»

«Sarà ricordato da tutti»

«Ovvio»

«Porterà avanti la mia dinastia degnamente»

«Senza alcun dubbio»

«Grazie Artemide per averlo protetto. Me ne ricorderò»

«Ma figurati padre. Tutto a posto»

«Ora vai e riposati.»

Artemide annuisce e fa per andarsene.

«Ah. Artemide, un’altra cosa. Mentre eri qui un umano pazzo ha dato fuoco al tuo tempio ad Efeso, dicono abbia urlato “Per la mia regina Era”. Che cosa avrai mai fatto per farla arrabbiare così tanto?» ridacchia Zeus.

Artemide, con i nervi a fior di pelle, e una crisi isterica pronta ad esplodere da un momento all’altro esce dal campo visivo di suo padre prima di rivoltargli contro tutte le creature animali che conosce.

«Quella cazzo di passiva-aggressiva di Era. Porca puttana, me ne vado in America. Giuro che sta volta me ne vado in America a vivere nei boschi con il dio bufalo e vaffanculo a tutta questa porcata dell’Olimpo».

 

 



Bubble tea

Feb. 22nd, 2020 10:27 am
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Fandom: Mitologia greca
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Prompt: M2, mitologia greca


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Il suo campo visivo è diviso a metà. Con un occhio vede Ares ridere di gusto andando indietro con la testa, accompagnando il movimento con la mano poggiato sugli addominali coperti dalla sua armatura. I capelli sono leggermente scompigliati e gli ricadono leggeri sulla fronte. L’altra parte del suo campo visivo, invece, è occupata dalla colonna dietro la quale si è nascosta e grazie alla quale non vede colei che sta facendo divertire suo fratello in quel modo. Peccato non possa fare lo stesso con la voce acuta e fastidiosa di Afrodite.

Odia il modo in cui raggiunge quelle orrende note alte solo per far credere al mal capitato di turno che è davvero simpatico e che se lo porterebbe a letto volentieri. Come se ci fosse bisogno di ridere così sguaiatamente quando sei la dea della bellezza e tutti si ficcherebbero nel tuo letto comunque. Eris sbuffa di frustrazione.

Il fatto che Ares trovi Afrodite più attraente quasi ha imparato ad accettarlo, dopotutto è stata creata per quello è lei che porta la bellezza e tutte le altre cose sdolcinate e coccolose che esistono nel mondo. È ovvio che anche suo fratello ne subisca il fascino. Ciò che proprio non riesce a mandare giù è il modo in cui lo fa ridere. Il modo in cui i suoi occhi si chiudono e si stringono, la maniera in cui la bocca si apre scoprendo i denti perfettamente bianchi.

Con lei non ride mai così. Con lei è il solito Ares serio e corrucciato. Potrebbe giurare su chiunque che non lo ha mai visto con la fronte distesa se nei paraggi non c’è quella smorfiosa e questo le fa venire i nervi ancor più di quando quella mammoletta di Paride ha scelto il suo dono e lei si è creduta pure potente oltre che bella.

«Maledetta Afrodite, arriverà il giorno in cui riuscirò a sconfiggerti e quel giorno lo ricorderai come il più triste e infausto della…»

«Che fai?»

Una voce squillante e al tempo stesso calda e soave, come il sole che passa tra le fronde, la fa sussultare e girare di scatto con un’imprecazione. Un viso appuntito attorniato da morbidi capelli color terriccio e un sorriso divertito in volto è la prima cosa che vede, prima di sentire una seconda domanda.

«Stavi spiando Ares?», chiede Artemide curiosa sporgendosi dalla colonna che le faceva da nascondiglio.

«Non sto spiando nessuno e abbassa un po’ la voce, per l’amore di Zeus», risponde stizzita.

«Quindi non stavi spiando Ares ma non vuoi che si accorga che sei qui. Questo sì che ha senso», bisbiglia Artemide prendendola in giro.

Eris opta per la reazione che più le è congeniale e che crede di aver inventato lei stessa, o in ogni caso prima di lei non ha senso averla avuta, e cioè roteare gli occhi con sdegno, fastidio e una punta di insofferenza che non guasta mai.

«Quindi sei innamorata di tuo fratello?»

«Che? Cosa? Io? Pfft ma scherzi?»

«Guarda che non c’è niente di male, anche mio fratello è innamorato di me.» dice con candore la dea della caccia. «Anche se forse non se vale, Apollo è innamorato di qualsiasi cosa si muova, quindi…»

«Si può sapere che vuoi da me?» chiede esasperata Eris.

Artemide fa spallucce. «Niente, passavo di qua. Nessuna delle mie amiche è disponibile e io vorrei tanto un bubble tea, vieni tu con me?»

«Un bubble che?»

Artemide piega la testa di lato. «Sai cosa? Dovresti smetterla di guardare Ares e viverti la tua vita Eris. Non puoi non sapere cos’è un bubble tea. E poi, che te ne frega di lui: è un uomo. Fossi qui per Afrodite capirei, ma Ares…», finisce il suo sproloquio mimando un conato di vomito.

Eris la guarda male. «Se vengo con te a prendere il bubble coso poi mi lasci in pace?»

Artemide esplode in un sonoro “Sìììì” che fa girare Ares e Afrodite verso di loro. Artemide li saluta felice, mentre Eris vorrebbe solo sprofondare. Il braccio che Artemide le ha messo intorno alle spalle però è confortante, la fa sentire protetta, non come la fa sentire Ares, però un po’ sì e…

Che cosa cazzo sto pensando? Smettila, Eris. Smettila. Bubble coso e poi casa.

«Vedrai ci divertiremo molto insieme», la rassicura Artemide ed anche se non ne è del tutto convinta, non è neanche del tutto certa che non sarà così. E per adesso tanto basta.

 



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Fandom: Mitologia greca
warning: threesome, nsfw, m/f/m
prompt: mitologia greca, m2

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Arianna sposta i lunghi capelli color miele da una spalla all’altra per essere più libera nel momento in cui porterà a compimento ciò che ha in mente. È inginocchiata sul letto, a coprirla sono solo un paio di mutandine di pizzo. Lentamente porta il busto verso il basso, alza gli occhi su Hermes prima di avvicinarsi pericolosamente al suo pene eretto. Lo guarda intensamente e sorride maliziosa e completamente consapevole del potere che ha in quel momento. Lo legge negli occhi del messaggero degli dei che la guarda bramoso, completamente dipendente dalle sue decisioni, lo capisce dalle sue labbra schiuse che sembrano volerle indicare il movimento da fare.

Sempre senza distogliere lo sguardo, inizia a baciare la base del suo membro, beandosi del desiderio che cresce e che non viene soddisfatto. Lo sente aggrapparsi alle coperte per non infrangere la loro regola: lei ha il potere in quel momento e decide lei come e quando farlo godere.

«Ti prego, Arianna», lo sente dire mentre lei ancora è intenta a sfiorarlo solo con le labbra. Sorride con un angolo della bocca e tira fuori la lingua, seguendo le venature sul suo membro, strappandogli un sospiro quando arriva verso la punta e infila la lingua nell’apertura sulla sommità. Un po’ di liquido preseminale le bagna la lingua, è salato e le fa venire voglia di averne di più. Così lascia da parte il suo intento di far ribollire nell’aspettativa Hermes e lo cinge con le labbra, iniziando a muoversi piano sul di lui.

Hermes finalmente lascia andare un sospiro trattenuto da troppo tempo, insieme a varie imprecazioni ed espressioni lascive.

Come attivato da quella vista, Dioniso, che se ne era stato in disparte ad osservarli toccandosi da solo, si avvicina al bacino di Arianna, rivolto verso l’alto e per questo messo in una posizione quanto meno invitante in quel momento per il dio del vino. Le prende i fianchi e guarda i glutei tondi e morbidi, si avvicina a lei piano e inizia a baciarli, lasciandole leggeri morsi e strisce di saliva che conducono verso il basso.

Le mutandine ancora la coprono ma sono completamente bagnate e Dioniso si perde a toccarla attraverso il tessuto, facendole emettere dei leggeri lamenti che lei riversa direttamente sul membro di Hermes, che pare apprezzare non poco.

Dopo un po’ si avvicina all’orecchio della ragazza, senza smettere di toccarla attraverso il pizzo. «Posso?»

Arianna si scosta per un attimo solo dal membro di Hermes, che sembra per nulla contento per quella mancanza di contatto. «Devi».

Dioniso non aspettava altro, la scopre quel tanto che basta per penetrarla e lentamente entra dentro di lei.

 

La sensazione di averlo dentro la accende ed aumenta il ritmo sul membro di Hermes che geme rumorosamente.

«Continua, Dioniso. Continua qualunque cosa tu stia facendo», lo sente dire, mentre Dioniso affonda di più in lei trovando subito l’angolazione perfetta per farle perdere il contatto con la realtà. Si aggrappa senza pensarci troppo ai fianchi di Hermes, stringendolo di più a sé ogni volta che Dioniso affonda dentro di lei.

Il pensiero che loro due, sopra di lei si stiano guardando mentre si danno piacere attraverso il suo corpo in qualche modo la eccita ancora di più dell’averli effettivamente ai suoi ordini e così viene in un ultimo affondo che fa raggiungere l’orgasmo anche ad Hermes.

Si scosta dal ragazzo, pulendosi il viso laddove il liquido è sfuggito. Ansima appagata e stanca. Dioniso esce da lei piano, lasciandole il tempo per riprendersi, ma lui ancora non è venuto e il suo membro perfettamente eretto richiede attenzioni.

Lancia uno sguardo complice ad Hermes, per poi riportare di nuovo l’attenzione su di lui.

«Adesso è il tuo turno».




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Prompt: M2, mitologia greca

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Hypnos si attacca alla gonna della madre con la manina stretta fortissima attorno al tessuto nel tentativo di farla rimanere con sé.

«Devi proprio andare anche oggi, mamma?»

Nyx, con gli occhi scuri come la notte al cui fondo brilla un’unica lucente stella, prende in braccio suo figlio e gli accarezza dolcemente i capelli biondi. «Sì, amore. Mamma deve portare la notte, altrimenti le stelle non possono risplendere e la luna non si vedrebbe. E noi non vogliamo questo, vero?»

Hypnos, con gli occhioni pieni di lacrime e il broncio, scuote la testa poco convinto. «Però io non voglio dormire senza di te, mamma. Ho paura.»

«Non devi avere paura piccolo, perché anche se non mi vedi io ti guardo dal cielo. Veglio su di te per tutta la notte. E poi non sei solo. C’è Thanatos con te»

Thanatos guarda la scena poco distante. È identico a suo fratello gemello ma lo sguardo è più affilato e tagliente, in più due ali nere trovano posto al centro della sua schiena.

«Ma Thanatos mi fa i dispetti», si lamenta Hypnos.

«È perché a Thanatos piace scherzare, ma stasera farà il bravo fratellino e ti terrà compagnia durante la notte. Non è vero Thanatos?»

Il bimbo guarda la madre torvo. «Va bene», concede alla fine.

Nyx da un bacio sulla fronte ad Hypnos e poi lo lascia. «Adesso va da tuo fratello.»

Hypnos lo guarda incerto, poi incoraggiato dalla madre lo raggiunge. «Fate i bravi, domani mattina sarò di nuovo da voi»

«Ciao, mamma» dice Hypnos guardando la madre andare via finché il cielo del tramonto non si scurisce e tutto diventa buio.

«Dai torniamo in casa», dice Thanatos prendendolo per un braccio e tirandolo piano. «Hai sonno?»

Hypnos scuote la testa ma uno sbadiglio lo tradisce, guarda impaurito Thanatos, sperando che non faccia come l’ultima volta che gli ha detto una bugia. Hypnos non ci vuole nemmeno pensare.

«Dai mettiamoci a letto».

Hypnos si mette nel suo e quando vede che Thanatos sta per andarsene nel suo dopo avergli rimboccato le coperte lo ferma tirandogli la manica.

«Dormi con me?»

Il gemello lo guarda per un po’, con la solita espressione indecifrabile in volto. Poi si da una piccola spinta con le ali e sale anche lui sul letto, mettendosi sotto le coperte.

«Vieni qui», dice aprendo le braccia e aspettando che Hypnos si accoccoli su di lui.

«Thanatos perché non sorridi mai?» chiede Hypnos già con il tono assonnato.

«Non è vero che non sorrido mai»

«Io non ti ho mai visto farlo»

«Forse è colpa tua che sei noioso», dice leggermente piccato il gemello alato, ma il suo tono è infantile come Hypnos non lo ha mai sentito e un po’ lo fa ridere.

«Che ridi?»

Hypnos alza le spalle. «Mi fai ridere tu», dice semplicemente dandogli un bacio sulla guancia.

Le ali di Thanatos vibrano leggermente a quel tocco leggero e di conseguenza stringe un po’ di più suo fratello. «Scusa se ti faccio sempre i dispetti, voglio solo giocare con te ma non tu non vuoi fare mai nulla»

«Vuoi giocare con me?»

«Certo»

«Allora farmi gli agguati planando dall’alto non è una buona idea. Mi fai male e mi metti paura.»

«Scusa», dice Thanatos con una voce piccola e supplichevole che Hypnos non gli ha mai sentito.

«Però se vuoi domani ti insegno un gioco che ho imparato dagli altri bambini»

Thanatos annuisce convinto. «Ora dormiamo, però»

Hypnos sbadiglia sonoramente e si stringe al fratellino.

«Grazie, Thanatos»

«Grazie a te», e così dicendo si addormentano entrambi.

 



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Fandom: mitologia greca
Warning: rating giallo
Prompt: m2, mitologia greca


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Poseidone mette un piede davanti all’altro, arranca piano e a fatica. Sente il corpo pesantissimo, ogni arto è un macigno da portare avanti, non può fermarsi però. Tossisce, affaticato dalla camminata e la sua mano si macchia di nero. È un liquido denso e viscoso, si attacca alla sua mano e non se ne va più così come è attaccato alla sua pelle.

Intorno a lui c’è solo silenzio, non si ode alcun suono se non quello di gusci vuoti mossi dalla corrente. Chiama sua moglie ma la voce gli muore in gola e rigetta altro liquido scuro. Chiama le sue figlie e i suoi figli ma nessuno risponde al suo grido disperato.

Tutto è buio, tutto è tetro. Tossisce di nuovo e tutto si fa buio.

Poseidone si risveglia di colpo, il fiato corto e la fronte corrucciata, probabilmente sarebbe madida di sudore se non vivesse nelle profondità del mare. Anfitrite dorme nel loro letto da sola, come ormai da così tanto tempo che neanche ricorda più quando ha smesso di dormire con lei.

Si stropiccia il viso e alza lo sguardo. Il sole è appena sorto. Lo capisce dalla penombra che avvolge il suo regno e dai raggi solari che passano rasi sull’acqua senza colpirla e senza donarle quell’aspetto splendente e traslucido che Poseidone non ha mai trovato in nessun’altra sostanza.

È innamorato dell’acqua come un bambino lo sarebbe del suo peluche preferito. Lo protegge, lo culla, lo eccita, lo intriga. Non è mai la stessa eppure sempre uguale, non esiste un regno perfetto quanto il suo, eppure non sta riuscendo a salvarlo.

Non importa quanti sforzi faccia, quante volte ha cercato una soluzione da solo e quante volte ha cercato di parlare con i suoi fratelli. Non riescono a giungere una conclusione.

Ade troppo preso dai problemi nel suo regno pieno di umani, gli stessi umani che stanno invadendo e distruggendo la sua casa. Zeus troppo distante da tutti per occuparsi di qualcosa che non sia lui stesso. Per quanto Poseidone cerchi di tenersi calmo non riesce a capire cosa fare per salvare la sua casa.

Tutte le notti ormai, sogna la sua fine, quella dei suoi famigliari, quella delle sue creature marine. Non si capacita di come gli uomini siano riusciti a mandare in malora in pochissimo tempo, ciò che lui protegge da così tanto. Non si capacità di come non siano mossi a compassione quando vedono una tartaruga imprigionata nelle reti o una balena che muore per la troppa plastica ingerita.

Esce dal suo palazzo di corallo per andare a fare un’ispezione, anche quella mattina cercherà di capire come fermare gli umani e il loro inquinamento. Fallirà, come tutti i giorni, ma non può fermarsi, non può abbandonare il suo regno. Finché l’acqua riuscirà a resistere lui non l’abbandonerà, finché anche solo una creatura sopravvivrà lui non mollerà. Perché quello è il suo regno e la sua casa e non permetterà a niente e nessuno di distruggerla senza che lui abbia lottato fino allo stremo delle sue forze.

 



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Teseo rutta forte senza curarsi di essere in mezzo ad altre persone e poi si gratta la pancia non fregandosene del chitone sporco di alcol e cibo in più punti. Ha i capelli quasi completamente bianchi e le sue membra hanno perso da un pezzo il loro vigore, appendendosi alle ossa come panni stracci.

Gli occhi ancora conservano quell’intrepido guizzo giovanile così come il sorriso spavaldo, ma tutto sommato non bastano a contrastare l’aria di vecchio eroe caduto in disgrazia che emana da ogni poro della sua pelle.

Piritoo, suo amico decennale, non è da meno. Se ne stanno entrambi seduti scompostamente a bere birra a raccontarsi le avventure dei bei tempi andati, come fanno ormai tutti i giorni e quando ormai le avventure sono già state tutte raccontate passano ad insultare le nuove generazioni. Da bravi anziani quali sono, in che altro modo avrebbero potuto passare il tempo?

«Questi giovani d’oggi sono dei debosciati. Non fanno nulla tutto il giorno. Io non stavo due minuti fermo, ero sempre in viaggio», si lamenta Teseo, «Pensano alla politica, alla repubblica. Cazzate. Tutte cazzate. Ai miei tempi non c’era tempo per pensare a queste stupidaggini, bisognava combattere mostri veri, sconfiggere divinità malvage».

«Hai ragione, i nostri sì che erano bei tempi. Uccidevi un toro e ti davano una moglie e se non te la volevano dare uccidevi il padre e ti prendevi moglie e trono, e il toro te lo cucinavi per cena. Erano proprio bei tempi»

«Prima si faceva tutto per la gloria, e invece ora? Questi debosciati se ne stanno nelle loro case a fare gli innamorati, i casti, i puri. Non avrebbero neanche le palle per abbandonare una donna in un’isola e andarsene a prendere un’altra. Un braco di smidollati», continua sicuro delle sue parole Teseo, sbraitando e sputando tutto intorno.

«Sì, sì hai ragione, ma sai cosa? È che queste donne d’oggi non sono come le nostre. Vogliono essere amate, avere dei diritti, cose che le fanno diventare brutte, arcigne. E poi mi hanno detto che puzzano pure, capisci? Non ne vale neanche più la pena di andarle a rapire. Ti levano tutto il divertimento».

«Ho sentito, ho sentito. Cose dell’altro mondo.» conclude Teseo, solo per poi sgranare gli occhi colto da un improvviso lampo di genio. «L’altro mondo!», esclama eccitato.

Piritoo lo guarda confuso.

«Dovremmo andarci a prendere delle donne dall’altro mondo. Per dimostrare a questa gioventù d’oggi quali sono le vere donne e come si comportano i veri uomini.»

«Ma è un’idea pazzesca. Sei un genio»

«Lo so, lo so. Non per niente sono riuscito ad uscire dal labirinto costruito da Dedalo da solo»

Piritoo si guarda bene dal fargli notare che è stato tutto grazie ad Arianna e che altrimenti sarebbe diventato concime per minotauro, meglio non porre troppa attenzione su quel piccolo particolare della divinizzazione di Arianna.

*

Ade e Persefone se ne stanno tranquilli nel loro palazzo nero e buio come il Tartaro a leggere i rispettivi libri, sulle rispettive poltrone, con una mano intrecciata a quella dell’altro, quando Thanatos seguito da Hypnos entra nel loro salotto con una notizia.

«Stanno arrivando due eroi a chiederti qualcosa, Ade», dice senza troppi giri di parole, con il solito tono affilato.

Ade alza gli occhi dal libro. «Ma ancora eroi al giorno d’oggi? Non si sono rotti il cazzo di fare sempre le stesse cose?»

Thanatos fa spallucce. «Che faccio? Li faccio entrare?»

Ade lascia da parte il suo libro e si mette più composto sulla poltrona. Persefone fa lo stesso.

Teseo e Piritoo entrano ridendo tra di loro, con passi incerti, portando un forte puzzo di alcol e sudore che fa rabbrividire Persefone.

«Guarda, Piritoo. Le è bastato vederti per essere scossa. È già fatta ti dico io», ride Teseo dando di gomito all’amico.

«Siete venuti nella mia casa, a disturbarmi, per quale motivo esattamente?»

«Dio degli inferi, più odiato e disprezzato di tutti gli dei, siamo venuti a prendere in moglie la tua sposa», comincia Teseo, Piritoo sembra davvero troppo ubriaco per dire alcunché.

Ade alza un sopracciglio. «La mia sposa? E cosa vi fa pensare di avere diritto alla mia sposa, di grazia?»

«L’oracolo! L’abbiamo interrogato e ci ha detto che sarebbe stato così. Quindi ora daccela».

Persefone se ne sta tranquilla sulla sua poltrona, aspettando il momento in cui Ade li avrebbe rimandati da dove sono venuti.

«Un oracolo, capisco. E cosa li avreste offerto? Così giusto per essere sicuri»

«Ovviamente l’onore e la gloria di servirci. Noi siamo Teseo e Piritoo, grandi eroi!»

«Ah ecco, perché mi ricordavo di te», esclama Persefone, «Sei il porco che ha lasciato Arianna sull’isola».

«Non ti preoccupare piccola, potrai avere anche tu un assaggio di Teseo», gli risponde tentando di ammiccare sensualmente, finendo per sembrare di avere un tic all’occhio.

«Non vedo l’ora», dice Persefone con il sorriso serafico, incrociando le mani sulle ginocchia e guardando il marito.

«Beh ma potevate dirlo subito, allora. Che siete Teseo e Pirito»

«Piritoo»

«Sì, Piritoo. Accomodatevi su queste comodissime poltrone mentre io vado a prendere le scartoffie per concedervi la mia bella moglie», dice Ade affettato, rimanendo immobile.

I due eroi si danno di gomito di nuovo e poi si siedono senza troppe cerimonie. I due sovrani dell’Ade li osservano e poi si rimettono a leggere.

«Beh e adesso?» chiede Teseo.

«E adesso rimarrete qui per l’eternità. Thanatos ci pensate voi a portarli più lontani possibile dalla mia vista?»

«Ci pensiamo noi, ma poi voglio il weekend libero»

«Accordato, nessuno morirà questo weekend»

«Ehi ma che?», si domanda Teseo cercando di alzarsi dalla sedia appena tramutatasi in carne umana che lo imprigiona.

«Ma cosa?», gli risponde Piritoo per lo stesso motivo.

«Aspettate, ci avete ingannato! Aspettate» urlano mentre Hypnos e Thanatos si avviano verso il posto più oscuro del castello.

«Penso che chiamerò Arianna, deve sapere che debosciato è diventato Teseo. Le farà piacere»

«Eh, sì. Non ci sono più gli eroi di una volta. Menomale», conclude Ade tornando a leggere.

 

 

 



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Fandom: mitologia greca
warning: rating verde, modern!AU
Prompt: Mitologia greca, m2


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Ulisse manda giù un'altra lunga sorsata di birra beandosi del sapore amarognolo e dissetante del liquido che gli scende in gola. Dopo una lunga giornata di lavoro è proprio quello che ci vuole.

«… E quindi alla fine sono riuscito a farle fare il lavoro che mi ha assegnato il capo facendole pure credere di essere stata lei a proporsi», dice ad un tono decisamente troppo alto Diomede, concludendo il tutto con una risata fragorosa alla quale Ulisse si accoda sommessamente.

Tutto il locale si gira a guardarli male, ma nessuno dice loro nulla, come sempre.

«Sì, è sempre divertente quando non si accorgono di essere stati raggirati» conviene Ulisse mandando giù un altro lungo sorso, arrivando così alla fine della sua terza pinta di birra e annunciando il suo essere a posto con un fragoroso rutto.

«Salute, amico, salute», dice Diomede alzando la sua pinta e finendo anche lui il boccale.

«Tu oggi che hai fatto?»

«Sono riuscito a far assumere un ragazzo che la madre teneva praticamente chiuso in casa architettando una mezza cosa con delle armi e un cumulo di vestiti. La madre una pazza totale lo faceva travestire da donna per non farlo prendere dalle agenzie. È una super fissata con il successo che porta alla morte e quelle cose così», dice Ulisse con il tono un po' annoiato di chi è troppo intelligente per il resto del mondo.

«Ma dai nel 2020 c'è ancora gente che la pensa così?»

«Già, comunque la droga se lo mangerà vivo. Non prima di aver fatto una veloce apparizione come modello e poi una fulminea carriera nel mondo del cinema sotto la guida fedele dell'agenzia per giovani talenti Atridi&Co.» conclude Ulisse come se stesse recitando un copione ormai consolidato nel suo vocabolario.

«L'importante sono i diritti sul nome e sulla figura»

«Sì, infatti. Ne vuoi un'altra?» domanda senza troppa voglia.

Diomede risponde scuotendo la testa assorto. «È una rottura di cazzo essere sempre i più intelligenti vero? Cioè, ringraziando Atena, siamo i più intelligenti - dice più convinto con lo sguardo rivolto verso l'alto- però a volte è noioso»

«Già», risponde Ulisse annoiato e consapevole che è lui che ci va peggio, considerando che neanche Diomede è al suo livello. Ovviamente, però, anche lui ringrazia tutte le sere la sua dea dagli occhi grigi per quel dono.

D'improvviso il volto di Diomede si illumina di quel bagliore che lo colpisce solo quando ha una buona idea e Ulisse, che lo conosce bene, si anima già solo vedendolo così.

«Che c'è?» chiede impaziente.

«Sono venuto a sapere oggi, da fonti che non posso rivelarti…»

«Ti scopi Crissy della segreteria, lo sappiamo tutti».

«Tutti chi?» chiede leggermente allarmato. Ulisse si limita a rispondere scuotendo la mano.

«Comunque no. – continua un po’ corrucciato – Cioè, sì me la scopo ma non è lei che mi ha dato l’informazione»

Ulisse assume un’espressione pensierosa pensando a chi potrebbe essere che Diomede si sta scopando, deve essere qualcuno di interessante che gli dà delle buone informazioni. Probabilmente nessuno dell’agenzia per cui lavorano.

«Sono venuto a sapere che nell’ufficio dei capi della Bright Ilium srl c’è una statuadi inestimabile valore che ritrae la nostra bellissima dea. Dicono sia il loro vanto e il loro orgoglio, che i capi si sono quasi indebitati del tutto per averla…»

«Mi sembra alquanto impossibile questo, considerando le entrate che hanno» interviene Ulisse interrompendolo, ma Diomede lo ignora.

«E la cosa più bella è che mi ha detto Cass… Cioè il mio informatore, che da quando ce l’hanno le loro entrate si sono centuplicate».

«Che mi sembra un’altra cosa impossibile»

Diomede alza gli occhi al cielo. «Non stai capendo qual è il punto»

«Sì che l’ho capito. C’è una cosa impossibile da fare, noi siamo ubriachi e annoiati e sicuramente ci butteremo in questa nuova avventura per provare l’ebbrezza di fare qualcosa che non sappiamo già a priori come andrà a finire»

Diomede lo guarda sorridente per quell’analisi accurata. Ulisse invece sa che anche quella volta riusciranno di sicuro a portare a termine ciò che si sono prefissati e alla fine torneranno ad essere annoiati esattamente come prima, ma decide comunque di dare credito all’idea del suo migliore amico, del resto è l’unico che gli proponga cose interessanti e stimolanti.

«Che stiamo aspettando allora? Andiamo».

Diomede si alza e in un attimo sono fuori.

 

*

 

Sono mesi in realtà che Ulisse tiene d’occhio la Bright Ilium srl, perché qualcosa gli puzza. Devono essere protetti da qualche divinità perché per quanto loro giochino sporco, non riescono a strappargli neanche una delle loro azioni, né a far salire il loro valore in borsa, e questo Ulisse non lo può tollerare. Non tanto per le lamentele complete del loro capo, ma soprattutto perché non capire il motivo di qualcosa lo rende terribilmente nervoso.

Il custode a quell’ora della notte è solo uno, ma i vari sistemi di allarme sono tutti attivi e Ulisse non si aspetta nulla di semplice. Per questo, all’improvviso, senza avvertire il suo amico lo colpisce forte in pieno fianco facendolo piegare di lato con un gemito di dolore e continuandolo a colpire proprio di fronte il gabbiotto del custode.

«Urla quanto più puoi», suggerisce Ulisse all’amico diminuendo di gran lunga la forza dei colpi che gli sta infliggendo.

Fortunatamente la sede della loro agenzia prevede un pacchetto completo di lotta greco-romana che Ulisse e Diomede frequentano entrambi.

Non ci vuole molto perché il custode venga in soccorso del povero uomo e Ulisse non perde tempo a fuggire sul retro mentre sente le lamentele di Diomede che forse dovrebbe considerare la carriera da attore oltre a quella di talent scout.

Lo aspetta accanto alla porta sul retro dopo aver oscurato la telecamera che gli punta in viso. Passano una decina di minuti e Diomede riappare dall’altro lato con le chiavi della porta.

«Mi potevi almeno avvertire», si lamenta mentre apre la porta.

«Non sarebbe sembrato vero», si giustifica Ulisse mentre una volta dentro si dirige velocemente alla sala di controllo delle telecamere e dopo aver appurato che è Paride, il figlio del capo della Bright Ilium a occuparsene – grazie a tutti i “Paride è stato qui” che ci sono nella stanza – non ci mette molto a trovare la password per entrare nel sistema e mettere in pausa tutte le registrazioni delle telecamere.

«Un gioco da ragazzi», annuncia, dirigendosi verso i piani alti con un Diomede ancora dolorante ma molto eccitato.

Arrivano all’ultimo piano con l’ascensore e con tutta la calma del mondo, almeno per quanto riguarda Ulisse, Diomede è ancora eccitato come un cucciolo.

«Quindi ti scopi Cassandra», cerca di fare conversazione Ulisse.

«Che? No, ma che dici», cerca di divincolarsi Diomede. Ulisse gli risponde con un sopracciglio alzato. «Sì mi scopo Cassandra», capitola Diomede.

Sul volto di Ulisse si dipinge un’espressione vittoriosa.

L’ultimo piano dell’agenzia nemica è un enorme open space pieno di piante, statue e quadri che Ulisse osserva ammirato. Quasi quasi vengo a fare domanda qui il prossimo anno.

Diomede con passo spedito si dirige verso la stanza più lontana con una porta nera lucida, decorata con una targhetta d’oro che recita: “Re di Ilio”.

«Stanno messi peggio di noi, questi. Almeno Agamennone si è fatto scrivere solo “Comandante” sulla porta dell’ufficio», commenta Ulisse ripensando alla sua idea di trasferimento.

Diomede tenta di aprire la porta ma la trova ovviamente chiusa. «E adesso che facciamo?»

Ulisse alza gli occhi al cielo. «Cassandra è la nipote di Priamo, possibile non ti abbia dato nessun altro indizio?»

Diomede pare incerto. «Ma sai lei parla un sacco, dice un po’ di cose sconclusionate. Non la ascolto davvero…Anche se…» si avvicina di soppiatto ad un quadro con rappresentato una chiave. «Ricordo qualcosa circa il disegno di una chiave che non è la chiave stessa, o qualcosa giù di lì»

«Ma non è la citazione di un film?»

«Sì, ma dice che l’idea l’hanno presa da qui» ed infatti mette una mano sul disegno della chiave e sente un metallo freddo sotto le dita.

«Ta-da», dice trionfante.

«Un vero colpo di genio», si complimenta Ulisse.

Aprono la porta dell’ufficio di Priamo ridacchiando tra di loro come due adolescenti. La statua d’oro della loro dea attrae subito la loro attenzione. Nel buio dell’ufficio è l’unica cosa che splende di luce di propria.

Non appena però la prendono in mano uno schiocco secco alle loro spalle li fa trasalire.

«Che cazzo state facendo?»

Atena, quella vera, in carne ossa ed elmo scintillante li guarda dall’alto dei suoi due metri e mezzo con un gli occhi torvi.

«Niente, mia bellissima dea dagli occhi grigi»

«Odisseo non provare neanche per sbaglio ad adularmi che te l’ho insegnata io quella tecnica – e poi rivolgendosi a Diomede che cercava di dileguarsi nel buio -  e tu come ti sei permesso di approfittarti della povera Cassandra così bassamente?»

«Ma io… in realtà…»

«Niente ma! Rimettete immediatamente a posto la statua e la prossima volta che vi vedo sgattaiolare furtivamente nella Bright Ilium srl vi sequestro tutto l’intelletto che vi ho donato e lo do ad Aiace»

Ulisse sgrana gli occhi.

«Vuol dire che noi diventeremmo come Aiace?» chiede Diomede.

La dea annuisce con uno sguardo serio e malvagio.

«Scusaci mia sapiente dea, non lo faremo mai più», interviene Ulisse ancora un po’ bianco in volto al solo pensiero di diventare come uno qualsiasi dei suoi colleghi.

«E adesso filate a letto, che siete uomini non bambini»

«Sì dea. Scusaci dea», dice Diomede rimettendo a posto la statua ma nel farlo urta la mano di Ulisse che era andato in suo soccorso per cercare di rimetterla a posto al meglio, con il risultato di farla cadere rovinosamente a terra.

Passa un istante di gelo in cui nessuno parla, poi insieme i due uomini si girano verso la dea infuriata che li guarda dall’alto in basso con l’elmo pericolosamente calato, pronta ad infilzarli con la prima sarissa che le capita sotto mano.

«Sparite dalla mia vista prima che vi tramuti in due babbuini»

Ulisse e Diomede scappano a gambe levate senza farselo ripetere due volte.

Atena, rimasta sola, si massaggia le tempie. «La prossima volta che mi viene in mente di prendere sotto la mia ala protettiva due umani solo per andare contro ad Afrodite mi faccio brillare in pieno Olimpo», dice con un umore cupo a sé stessa raccogliendo la statua che la ritrae ormai in pezzi.

«Chissà se Efesto me la può riaggiustare, forse se gli dico dove Afrodite e Ares si incontrano segretamente riesco a farglielo fare gratis…» e così dicendo si dirige verso la fucina di suo fratello con il ghigno di chi sa di essere l’essere più intelligente mai esistito.

 

 

 

 

 

 

 



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Fandom: Mitologia greca
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Prompt: m2, mitologia greca

Questa storia partecipa al cowt10 di Lande di fandom



Ade non ha mai avuto problemi con il compito che gli è stato assegnato all’inizio dei tempi, quando suo fratello Zeus ha sconfitto Crono e li ha liberati tutti dal giogo perverso del loro stesso padre. Non gli è mai importato di essere il più odiato e disprezzato degli dei, perché tutto sommato il suo lavoro gli piace. Gli è sempre piaciuto.

Ha la possibilità di avere un regno tutto per sé, un castello enorme da gestire come più gli aggrada, sottoposti che fanno ogni cosa che gli chiede e soprattutto nessuno dei suoi famigliari che gira libero intorno a lui.

Nonostante questo, ci sono alcune volte in cui il cupo nero che assorbe le anime di coloro che perdono la vita gli sembra troppo scuro e troppo tetro, così tanto da sembrare ingiusto. Come signore dell’Oltretomba è più che consapevole dell’ineluttabilità della morte e nessuno come lui capisce il mistero e il profondo bisogno che vi si cela dietro. Eppure, ci sono stati momenti nella storia dell’umanità in cui Ade stesso si è chiesto se la morte fine a sé stessa che gli uomini procuravano ai loro simili fosse davvero necessaria e inevitabile come ha sempre pensato.

A nulla è mai valso il suo sforzo di portare il problema alle orecchie degli altri dei dell’Olimpo, perché da troppo tempo non si interessavano più degli affari degli uomini, stanchi e debilitati com’erano dall’assenza di sacrifici.

Mentre però agli altri basta chiudere un occhio e non pensarci, lui sente ogni singolo pianto, ogni singolo lamento, ogni singola supplica. Non è tanto il lamento dei morti a segnargli l’anima, quanto più quello dei vivi.

La triste nenia di coloro che hanno perso un caro ingiustamente, portato via da un attacco a sorpresa in un centro abitato, oppure da un assassino senza scrupoli o ancora dalla sua stessa mano.

In quei momenti, in cui non riesce a zittire le voci supplicanti degli umani è Persefone che gli viene incontro. Lo abbraccia e lo fa sentire al sicuro già solo con il suo tocco lieve, con la pelle che sa di melograno e con le labbra così gentili che sembrano iniettargli calma nelle vene ad ogni tocco.

In quel momento però Persefone non c’è, Ade è solo, nel suo castello, con lo sguardo fisso sul pavimento nero lucido e gli occhi vuoti. Ci sono voci agonizzanti di sorelle, madri, mariti, figli e genitori che si chiedono perché i loro cari sono stati portati via in un modo così improvviso. Chiedono al loro Dio di dargli pace, di dargli forza e vendetta e nonostante non sia al centro di queste preghiere Ade le sente comunque e lo fanno sprofondare nello sconforto.

Ha la mente invasa di lacrime non sue, di grida altrui che minacciano di farlo impazzire se non riesce a zittirle, ma riesce a stento a muoversi dalla sua posizione. Un brivido freddo lo blocca e lo inchioda, non può agire. Non potrebbe farlo neanche se avesse tutte le sue facoltà motorie. Può solo rimanere ad ascoltare quelle lamentele tetre finché non si affievoliranno, del resto qualcuno dovrà pur farlo, qualcuno dovrà pur dare credito al dolore degli uomini. Non importa che a farlo debba essere proprio lui, il più disprezzato tra gli dei.

Così come capisce profondamente la morte ha sempre capito altrettanto profondamente il dolore che ne deriva e se ascoltare è l’unica cosa che può fare allora ascolterà. Anche a costo di rimanere immobile finché Persefone non giungerà ad alleviare il peso che troppi anni fa ha deciso di portare sulle spalle.



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