Feb. 18th, 2020

Brianna

Feb. 18th, 2020 08:45 pm
smile_92: (Default)
Fandom: Outlander
Prompt: M1, neonato
Warning: rating verde

Questa storia partecipa al cowt10 di Lande di Fandom

Claire sente il suono acuto e costante del macchinario attaccato al suo braccio in maniera chiara e distinta, cosa che non può dire per il resto di ciò che la circonda. La vista è leggermente appannata, come in quelle mattine di nebbia in cui le Highlands scozzesi erano immerse in una nuvola. Attorno a lei ci sono altri rumori, persone che si muovono ma non riesce a cogliere cosa si dicano, né perché si agitino tanto.

Il macchinario accanto a lei invece continua a suonare ostinato, è un suono fastidioso ed in qualche modo confortante, vuol dire che va tutto bene eppure c’è qualcosa che le sfugge e che non riesce a cogliere.

Con la forza di un macigno buttatole in pieno petto la consapevolezza la colpisce e le torna in mente perché si trova attaccata al macchinario e contemporaneamente ogni muscolo del suo corpo torna a richiedere la sua attenzione con fitte lancinanti e persistenti. Non ha il tempo di dar troppo peso al dolore però.

Stringe gli occhi sperando di schiarire la vista, ci deve essere qualcuno che conosce accanto a lei. Il primo nome che le viene in mente non riesce a pronunciarlo perché la gola le duole e la bocca è impastata. Finalmente la vista si fa meno offuscata e la stanza dell’ospedale l’accoglie, così come la figura di suo marito accanto al letto.

«Frank», dice con la voce più roca di quello che si aspettasse.

Vede l’uomo voltarsi verso di lei con un sorriso aperto, che scema non appena si posa sul suo viso, in braccio ha un fagotto immobile.

Claire sente ogni cellula del suo corpo anelare per un contatto con la creatura che Frank tiene in braccio, stretta al suo petto. Tende le mani e aspetta che lui le dia il figlio appena partorito. Per un istante, uno solo fugace istante, Claire ha la sensazione che il marito voglia non passarglielo, ma alla fine Frank si riscuote, guarda il fagotto tra le sue braccia un’ultima volta e glielo porge.

«È una bambina», le dice rimettendosi al suo posto accanto al letto.

Claire prende il fagotto di coperte che le porge con la delicatezza con cui si maneggia un fiore fragile, bellissimo ed unico. Non appena vede il viso di sua figlia una felicità mai provata, una gioia invadente e totalizzante la pervadono, facendole dimenticare qualsiasi dolore e qualsiasi fatica.

La bimba ha il viso rilassato, la boccuccia minuscola è atteggiata ad una piccolissima “o” che si trova proprio al di sotto del nasino tondo. Attraverso una coperta si intravede una minuscola manina che si stringe attorno alla copertina bianca in cui è stata avvolta.

Guarda oltre la bimba per condividere la sua gioia, ma non trova colui con il quale avrebbe dovuto e voluto passare quel momento. Una fitta di dolore si insinua in tutta quella serenità, ma cerca di ricacciarla via, di espellere quella scheggia che gli si è conficcata nel cuore.

«È bellissima», le viene in aiuto Frank, che forse non immagina e non può capire del tutto ciò che le passa per la mente in quel momento.

Claire annuisce, accantonando del tutto i pensieri cupi di poco prima. Ignorando la scheggia che gli si è conficcata nel cuore, torna a posare gli occhi sulla bimba. Le scopre la testa e un ciuffetto di capelli sottilissimi e inconfondibilmente rossi le si para davanti. È il rosso del tramonto scozzese che dipinge i capelli di sua figlia.

Tenta di reprimere qualsiasi espressione cerchi di farsi largo sul suo volto in quel momento. Si concentra su Frank, sul suo sguardo rassegnato ma deciso. Poi prende un respiro e da un bacio sulla fronte alla bimba così leggero da sfiorarla appena.

Un’infermiera entra nella stanza, interrompendo il momento intimo che si è venuto a creare. «È davvero una bellissima bambina. Come avete intenzione di chiamarla?»

Frank guarda Claire, incerto sul da farsi. Da quando è tornata nel suo tempo hanno parlato poco e male di tutto ciò che stava succedendo. Anche se alla fine Frank aveva accettato di riconoscere il figlio come proprio.

Claire guarda la bimba, la manina stretta forte alla coperta e i capelli rosso fuoco, e con una sicurezza che non credeva possibile risponde: «Brianna. Il suo nome è Brianna Randall».

 



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Fandom: Anne with an E!
Warning: Modern!AU, College!AU
Prompt: M3, Frase sull'oblio/Teatro/Weird text

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Gilbert Blythe scarta di lato per evitare una ragazza che sta uscendo dalla porta del teatro dove lui stesso si sta dirigendo. La consueta penombra lo accoglie e nonostante i suoi occhi ancora non sono del tutto abituati a quella luce non ha problemi a recarsi al centro della platea e scendere velocemente le scale.

Alla fine di queste ci sono già varie persone che parlottano tra di loro ed altrettante si affrettano sul palco nel tentativo di sistemare il tutto nel più breve tempo possibile.

Gilbert scende l’ultimo gradino e saluta velocemente due ragazze che gli sono andate incontro, per poi dirigersi verso il ristretto gruppo che discute un po’ in disparte e nel quale si trova anche la persona che sta cercando.

«Buongiorno a tutte», dice cordiale ma con una certa urgenza nella voce, «Anna, posso parlarti un attimo?»

La ragazza che ha interpellato lo guarda con quei suoi occhi chiari tondi e innocenti, i capelli rossi raccolti in una morbida treccia che le ricade sulla spalla destra e l’atteggiamento di chi è pronto ad una battaglia. Scende con un salto dal palco su cui era seduta e si discosta di qualche passo dal suo gruppo di amiche.

«Che c’è Blythe?»

Gilbert alza un sopracciglio scettico. «Che c’è? – chiede incredulo – Ti sembra normale tutto questo?» dice mettendole davanti gli occhi il cellulare con la chat con Anna stessa aperta. Sul display si intravede un numero di messaggi che nessuno sano di mente si metterebbe a contare davvero, nei quali si alternano link esterni, insulti velati ed anche un file dal nome “Come ho migliorato il tuo bruttissimo copione.docx”.

«Perché non dovrebbe essere normale?» chiede Anna ostentando un’innocenza e una pacatezza che sa bene non appartenerle in quel momento.

«Perché me li hai mandati dalle tre di questa mattina fino alle quattro e mezza, mi sono svegliato in preda la panico pensando che qualcuno si fosse sentito male e invece eri tu con il tuo delir…»

«Tranquillo, nessuno ti scriverebbe se si sentisse male», risponde la ragazza portando il peso su una gamba e incrociando le braccia al petto.

«Sono serio, Anna», asserisce abbassando improvvisamente il tono. «Mi sono spaventato».

Anna alza gli occhi al cielo e sospira. «Va bene, scusa», gli concede. Gilbert è già visibilmente più calmo. «La prossima volta ti scrivo ad ora di pranzo per renderti partecipe di quanto sia scritto male il tuo copione», e così dicendo fa per allontanarsi senza neanche aspettare una risposta.

«Si può sapere che ha di così male il mio copione?» chiede esasperato.

Anna si volta, con un sorriso compiaciuto in volto, come se non aspettasse altro. «Se avessi letto i miei messaggi invece di lamentarti e basta, lo sapresti. Dal momento, però che me lo chiedi, mi devi proprio spiegare che cosa diamine vuol dire quella specie di frase filosofica sull’oblio e le chiavi e non so che altro ci hai messo in mezzo».

Gilbert la guarda con la fronte corrucciata, cercando di ripescare nella sua memoria la frase a cui Anna si sta riferendo. «Intendi: Non è vero che l’oblio non esiste. La testa seleziona, fa archivio continuamente e molto scarta.  Fa spazio, compatta. Magari non elimina del tutto ma comprime in un formato illeggibile. Anche se ti sforzi non trovi la chiave, non lo puoi decifrare più»

«Sì, sì esatto. Proprio quella»

«Beh, questa viene detta nel momento in cui il protagonista è convinto di poter ricordare il proprio passato in maniera esaustiva e…»

«Sì, in realtà questo non è importante al momento. È importante che la cambi però, il pubblico non riuscirà mai a starci dietro, se è così complessa».

«Dipende dalla bravura di chi la recita», risponde semplicemente Gilbert con un’alzata di spalle.

Gli occhi di Anna sembrano lanciare saette e se davvero avessero potuto forse Gilbert sarebbe stato incenerito all’istante.

«Che c’è?»

«Sono io a doverla recitare», ammette con l’umore sempre più cupo.

«È per questo che sei così arrabbiata? Perché non riesci a recitare il copione che ho scritto io?» chiede il ragazzo con un mezzo sorriso che inizia ad affiorare sul suo volto.

«Non sono arrabbiata. – afferma con un tono inequivocabilmente arrabbiato –  Solo non capisco perché dobbiamo recitare anche un tuo pezzo quando il mio è già esaustivo di per sé».

Gilbert non le risponde, si limita a guardarla. Un piccolo ciuffo ramato è sfuggito dal giogo dell’elastico e ricade dolcemente sul suo viso cingendole dolcemente una guancia. Nonostante i messaggi in piena notte e le critiche assurde sul suo lavoro, Gilbert non riesce ad avercela con lei. Anche se non la capisce e se lo insulta la maggior parte delle volte, la stima. Il copione scritto da lei è davvero bello, in pieno stile Anna Shirley-Cuthbert.

«Se vuoi ti aiuto con la tua parte, così non avrai più il timore che il pubblico non capisca ciò che dici».

Per l’ennesima volta Anna alza gli occhi al cielo. «Non ho bisogno del tuo aiuto».

L’insegnate di recitazione fa il suo ingresso sul palco attirando l’attenzione dei ragazzi con un leggero colpo di tosse.

«Buongiorno a tutti e benvenuti, come ben sapete lo spettacolo è tra pochi giorni. Ora, sebbene siamo a buon punto ho bisogno di rivedere alcune parti dell’ultimo atto, quindi pregherei coloro che sono coinvolti in questo preciso atto di venire dietro le quinte. Tutti gli altri possono esercitarsi tra di loro».

Anna sta già per dirigersi da una delle sue amiche quando la professoressa la richiama. «Ah Anna, perché non rivedi con Gilbert tutti quei problemi nel suo copione che mi hai mandato per mail questa mattina ad un orario davvero insolito?»

Qualcuno degli altri ragazzi ridacchia a quell’affermazione.

«Va bene, professoressa», risponde con un tono di voce bassissimo dirigendosi nuovamente verso il ragazzo.

«Quindi non sono l’unico a cui scrivi in piena notte – la prende in giro Gilbert mentre vanno insieme in un posto un po’ distante dal palco per parlare senza dar fastidio – un po’ mi dispiace».

«Se vuoi posso continuare a mandarti nuove versioni del tuo copione, così ti puoi rendere conto di ciò che intendo», gli risponde a tono Anna, lasciandosi cadere su una delle poltroncine rosse, lasciando uno spazio per Gilbert.

«Se mi volessi rendere partecipe dei tuoi pareri seri e non sconclusionati come quei messaggi, sarei lieto di ascoltarli».

Anna alza un sopracciglio. «Davvero?»

«Certo. Il tuo copione è molto bello. Un vero manifesto femminista, l’ho trovato davvero utile in alcuni punti. Sono certo che la storia di Cordelia entrerà nel cuore di tutti».

Anna si lascia un po’ cullare da quelle parole e il suo viso cosparso da piccole e leggere lentiggini si arrossa leggermente. «Grazie. Mi piacerebbe se la storia di Cordelia potesse ispirare qualche ragazza nel pubblico e farle capire che non è sola. Che nessuna di noi lo è».

«Sono certo che sortirà l’effetto sperato».

Anna sorride ancora, lasciando vagare lo sguardo sul palco dove i suoi compagni stanno iniziando a provare le loro parti.

«Sono certa che anche il tuo piacerà».

«Non devi dirlo per forza».

«Non lo faccio. Lo penso davvero».

«Anche quella frase sull’oblio, come la chiami tu?»

«No, quella non riesco proprio a capirla», si arrende la ragazza. «Ma se ti va, sarei felice se mi aiutassi ad interpretarla al meglio»

Gilbert la guarda, alza un angolo della bocca divertito e compiaciuto. «Va bene, Anna Shirley-Cuthbert. Che ne dici di venire con me al bar del campus per bere un caffè insieme e parlare dei nostri copioni, nonché per imparare la battuta che tanto ti risulta ostica. Ti va?»

Anna arrossisce visibilmente e spera che il ragazzo non se ne sia accorto. Poi annuisce e cercando di recuperare un po’ di contegno lo guarda di nuovo negli occhi: «Va bene alle quattro?»

«Di pomeriggio voglio sperare»

Anna alza gli occhi al cielo ma stavolta sorride. «Sì, di pomeriggio».

«Perfetto, allora. A dopo».

«A dopo», dice Anna mentre lo guarda andare uscire dal teatro, con un sorriso sul volto che fa pendant con il proprio.

 

 



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Fandom: Mitologia greco romana/RPF storici
Warning: rating verde
Prompt: M2, Mitologia greco-romana

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Venere se ne sta seduta nel peristilio del suo tempio tra le nuvole, con il seno prosperoso che a stento riesce a star coperto al di sotto del leggero abito che le ricade morbido sulle curve e un broncio concentrato che fa assomigliare le labbra ancor più ad una fragola matura.

Sta vegliando su una situazione, o meglio su di una persona, che da un po' di giorni le stuzzica la mente. Il giovane uomo che attira i suoi pensieri è un’artista con un raro talento se si ascolta il parere dei suoi compagni mortali. È stimato, richiesto e fa sempre ciò che gli si domanda di fare, soprattutto se a chiederlo è la famiglia che gli fa da mecenate.

Non è solo il suo estro artistico a interessarla, di uomini e donne di talento ne è pieno il mondo, ciò che davvero le interessa è il suo sguardo sul mondo. Il modo in cui reclina la testa di lato quando osserva un oggetto o una persona che stuzzica la sua fantasia. Si è trovata a fantasticare anche sul modo in cui fa uscire la lingua, accarezzandosi il labbro superiore, quando è molto concentrato.

Se fosse stato solo per questo però non si sarebbe data tanta pena e avrebbe continuato ad osservarlo da lontano come ha fatto con tutti gli altri. Il punto è che Sandro Botticelli – questo il nome dell’uomo – ha fatto in modo di attirare la sua attenzione di dea dell’amore e della bellezza come mai nessuno era riuscito a fare prima. Complice di questo gioco è una ragazza di straordinaria bellezza, una di coloro che lei, Venere, ha graziato con il suo tocco alla nascita.

Il modo in cui Sandro l’ha guardata la prima volta che è riuscito a posare lo sguardo su di lei è stato dolce, ammirato, come un uomo che è posto dinanzi la perfezione, come un religioso che osserva il suo dio, come la guardavano i suoi fedeli quando ancora la adoravano e sacrificavano la propria vita pur di ricevere un fugace sguardo dalla dea della bellezza.

Venere aveva sentito quello sguardo su sé stessa anche se non era rivolto a lei e per la prima volta dopo moltissimi anni si era sentita al centro delle attenzioni di un uomo. Quasi aveva dimenticato cosa volesse dire, cosa le provocasse nell’animo e il modo in cui questa venerazione agiva sul suo potere. Per alcuni giorni era rimasta in disparte, decisa ad usufruire solo marginalmente di quella nuova forza che sentiva scorrere nelle vene, ma lo sguardo di Sandro su Simonetta non l’aveva lasciata in pace. Per questo ora si trova a guardarlo e ad architettare un piano per sentire ancora una volta quello sguardo su di lei, stavolta per davvero.

Da quando gli umani hanno iniziato a credere nell’unico dio, le divinità antiche hanno deciso di non interferire più nelle loro vite e si sono ritirati nelle loro case sulle nuvole, ma la voglia di incrociare davvero il suo sguardo è pressante, la sente formicolare sotto la pelle ed è per questo che accantona qualsiasi giuramento e promessa che ha fatto per raggiungere l’artista.

 

*

Sandro posa i pennelli con uno sbuffo stanco ma soddisfatto. Ha finito di dipingere l’ultima commissione che gli hanno fatto e la stanchezza della concentrazione richiesta inizia a farsi sentire. La bottega è vuota, è rimasto l’unico ancora a lavorare a quell’ora, cosa non rara. Si sta apprestando a spegnere le candele che lo aiutano ad illuminare la stanza, quando sente bussare alla porta.

Con circospezione va ad aprire e la persona che gli si para davanti gli fa asciugare la bocca e trattenere il respiro. Per attimi infiniti si perde a guardare il viso di Simonetta Vespucci ad una distanza che mai avrebbe sognato di raggiungere. Si imprime nella mente i capelli biondi e ramati che ricadono leggeri attorno al suo viso giovane e pieno. Agli occhi dolci, un po’ calanti e al naso dritto che trova perfettamente posto sul suo viso. Sembra scolpita dagli dei, non c’è nulla che Sandro cambierebbe in quel volto armonioso e stupendo.

«Posso entrare?», chiede la ragazza con la voce sottile.

Sandro si riscuote con un brivido e si scansa per farle spazio. La guarda togliersi il cappuccio e liberare completamente la pioggia dorata di capelli sulla schiena coperta da strati di tessuto.

«Spero di non disturbarvi a quest’ora tarda».

Sandro scuote appena la testa, poi finalmente si rende conto che forse è il caso di parlare per non sembrare un perfetto idiota. «Assolutamente no, non preoccupatevi. Cosa vi porta qui?»

«Ho una commissione per voi…»

Sandro alza un sopracciglio interdetto.

«Da parte di mio marito.» si affretta a concludere la ragazza vedendo la perplessità sul viso dell’artista.

«Ditemi».

«Vorrebbe che gli facciate degli arazzi che possano rendere lustro alla nobile casata dei Vespucci».

Sandro, un po’ deluso dalla banalità della richiesta, annuisce sconsolato. Per un attimo, un attimo soltanto ha sperato di poter avere la possibilità di passare più tempo con la donna che affolla i suoi pensieri da qualche tempo a questa parte.

«C’è altro?» chiede infine.

Simonetta non risponde, la vede girare su sé stessa ed iniziare ad ispezionare la stanza. Le bozze lasciate di qua e di là, i colori e gli altri attrezzi posizionati in un ordine sommario. Sandro si sente improvvisamente nudo e spoglio mentre lo sguardo della donna si sofferma su ciò che è tutta la sua vita.

«Vi interessa la pittura?» domanda per interrompere l’imbarazzo che sente fin dentro lo stomaco.

«Sono interessata alla bellezza».

«Vi posso assicurare che non ce n’è mai stata tanta in questa stanza…» si sente dire Sandro prima di rendersi conto dell’azzardo che sta per commettere e di fermarsi bruscamente.

Simonetta lo guarda finalmente in viso e sorride, non sembra offesa dalle sue parole in nessun modo e Sandro si sente più calmo.

C’è qualcosa negli occhi di quella ragazza che gli stuzzica la mente, è una luce diversa, strana, che lo attrae in una maniera che non credeva possibile.

Senza neanche rendersene conto si trova a cercare un foglio e un carboncino, si posiziona su un tavolo e con gli occhi ammirati e pregni della grazia del suo viso le chiede: «Posso disegnarvi, madonna?»

 

Venere, sotto mentite spoglie, si sente accendere ed invadere dalla richiesta di Sandro, dal suo tono sottile e al tempo stesso roco, dai suoi occhi desiderosi e supplichevoli di un consenso. Sente il cuore accelerare, una sensazione di calore cocente invaderle le membra e le labbra farsi umide senza che lei le abbia umettate.

Annuisce lentamente e si inizia a scoprire, pregustando ciò che sarebbe potuto accadere di lì a poco.

«Non c’è bisogno che vi spogliate, ho bisogno solo del vostro viso e delle vostre espressioni».

Venere si blocca interdetta, nessuno mai aveva rifiutato i suoi favori eppure non riesce ad avercela con quell’artista così strano. Perché avere il suo sguardo sul viso e poi tra le pieghe delle vesti che le coprono il corpo, la sta facendo sentire molto più eccitata e desiderata di mille altre volte in cui ha provato un piacere fisico.

Si perde a fissare il volto assorto che la squadra. Il suo sguardo è una carezza dolce e pacata che le fa venire brividi su tutto il corpo. Il leggero grattare del carboncino sul foglio ruvido si mescola ai loro respiri che all’unisono creano un crescendo di ansiti.

 

Ogni nuova curva che Sandro segna sul foglio lo fa sentire più importante, più fortunato, più responsabile del lavoro che sta portando avanti: regalare ai posteri l’immagine della bellezza eterna che il fato gli ha posto dinanzi.

Disegna la linea di quello sguardo ultraterreno che sembra trapassarlo da parte a parte e che sembra renderlo immortale già solo grazie al fatto che si sia posato su di lui. Cerca di restituire ai capelli la grazia e l’impalpabilità della luce stessa, del fulgore di un raggio di sole.

Accenna al disegno delle leggiadre mani di Simonetta che in quel momento sono strette attorno al velo che le copriva i capelli e che adesso le ricade sulle spalle morbido, andando a creare una sorta di aura divina attorno al corpo. Quello stesso corpo che Sandro non ha cuore di scoprire per non deflorarlo con la sua umanità grezza.

L’ultimo segno è per le labbra rosate, piene al punto giusto, alla loro curvatura perfetta, all’arco di cupido perfettamente disegnato sul suo viso e che su carta non rende un decimo di ciò he ha davanti.

Non appena termina di disegnare il volto della giovane donna nella stanza il tempo sembra fermarsi per un attimo. Il carboncino non gratta più sul foglio, il loro contatto si è interrotto. Rimangono solo i loro respiri affannati che si intrecciano ancora come un tutt’uno.

Sandro non sa che dire, non sa cosa fare, sa solo che rimarrebbe tutta la notte a disegnare il suo viso e il suo corpo, immaginandolo attraverso le vesti.

È Simonetta che gli viene in aiuto interrompendo l’imbarazzante silenzio che si è venuto a creare tra di loro.

«Si è fatto tardi, devo tornare a casa».

«Aspettate», si sente di re Sandro facendo un passo verso la ragazza che si blocca immobile, impaurita forse da quello slancio improvviso, eppure qualcosa al di sotto della sua coscienza gli urla che non è spaventata affatto. «Perdonate la mia irruenza, non volevo spaventarvi».

Simonetta scuote la testa facendogli poi segno di continuare.

«Mi chiedevo se possiamo rivederci ancora», Simonetta lo guarda con occhi imperscrutabili come se sotto il suo sguardo si stesse svolgendo il destino del mondo che non può rivelare ad anima viva. «Ho bisogno di disegnarvi ancora una volta, di profilo. Vi giuro che non vi chiederò null’altro».

 

Venere sente nuovamente il fuoco del desiderio ardere nel cuore dell’uomo dinanzi a lei ma questa volta sa perfettamente che non è nulla di carnale, non è un desiderio così banale quello di Sandro. Lui vuole solo adorare la sua infinita bellezza e rendere giustizia alla donna più bella che sia mai esistita.

Mai avrebbe creduto che un desiderio così puro avrebbe potuto accenderla più dell’atto fisico in sé. Per questo in quel momento è presa alla sprovvista dalla richiesta improvvisa, non tanto per la risposta da dare, perché sa già che avrebbe fatto tutto quanto sia in suo potere per provare nuovamente quella sensazione, ma perché non si aspettava un simile trasporto e una simile passione da un uomo che riesce a scindere la carnalità da un sentimento così divino e trascendentale.

In un certo senso, è più che convinta che Sandro sia quanto di più divino ci sia tra gli esseri umani.

Venere annuisce alla richiesta di Sandro. «Domani, alla stessa ora».

Sandro sorride apertamente, con gli occhi che gli brillano di emozione e aspettativa. «Passerò le mie ore ad attendere il vostro arrivo».

Venere gli sorride nuovamente, un sorriso voluto e sincero che parte direttamente dal petto. Si copre nuovamente i capelli e si dirige verso la porta della bottega.

«Fate attenzione», sono le ultime parole che Sandro le riserva e Venere si sente umana e divina al tempo stesso come non le era mai capitato prima.

Aspetta di uscire dal campo visivo di Sandro per appoggiarsi ad una colonna e respirare piano, ripassando nella mente tutte le sensazioni che lo sguardo dell’uomo sulla sua pelle le hanno fatto provare.

Poi così com’è scesa nel mondo degli umani ritorna nel suo tempio sulle nubi. Ha nuovamente le sue sembianze, i seni sono tornati quelli di prima, le labbra anche. Si sofferma nuovamente ad osservare Sandro che giù sulla terra non riesce a dormire e febbrilmente continua a disegnare il volto di Simonetta.

Una stilla di gelosia le si insinua nel petto, Sandro non saprà mai chi è lei veramente ma l’unica ad amarlo davvero sarà lei sola e con la promessa di far innamorare Simonetta di qualcun altro va a dormire, nell’attesa del loro prossimo incontro in cui sarà nuovamente contemplata dagli occhi sognanti e voluttuosi del suo artista quasi divino.

 

 

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