Mar. 2nd, 2019

Sisters

Mar. 2nd, 2019 04:41 pm
smile_92: (Default)

Fandom: The Umbrella Academy
Warning: Gen, Angst, Fluff

Questa storia partecipa al cow-t 9 di Lande di Fandom


Vanya si sveglia con la mente ancora impigliata nei sogni. Immagini sparse le si riversano davanti agli occhi.

Vede Allison intimarle di uscire dalla sua stanza, mentre Luther le tiene una mano sulla gamba. Diego che fa i suoi esercizi con la mamma. Klaus e Ben che si rincorrono giocando tra di loro e Cinque che scompare nell’esatto istante in cui lei apre la porta della stanza.

Le immagini della sua infanzia ancora la perseguitano, soprattutto in quei giorni in cui non sta prendendo le pillole.

Sente le emozioni gonfiarsi e riempirla, i ricordi riaffiorare dolorosi dopo che l’onda si è abbattuta sulla riva della sua coscienza.

Rivive i momenti in cui la voce del padre le ripeteva che lei è ordinaria, non come gli altri suoi fratelli e per questo meno meritevole di attenzioni e di amore.

Ha perso il conto delle volte in cui ha provato ad essere speciale ma ogni cosa non era mai abbastanza, tutto era troppo poco o troppo banale e di conseguenza anche lei non era abbastanza per meritarsi l’attenzione del padre, tantomeno dei suoi fratelli.

Piano piano aveva iniziato a crederci davvero che non era speciale, che non meritava di essere amata, che non meritava le attenzioni che ricercava.

E ci crede ancora.

Ogni volta che si guarda allo specchio vede un viso anonimo, una faccia smunta, i capelli e gli occhi di un colore banale.

La sua voce è anonima e banale allo stesso modo del suo aspetto fisico.

Tutto in lei è anonimo e banale, ogni singolo pensiero, ogni singola movenza e il mondo è troppo affollato per tenere conto di coloro che sono uguali a tutti gli altri.

Nessuno si interessa a te se non sei speciale, nessuno ti vorrà mai bene.

Vanya aveva finito per crederci e a fare di quegli insegnamenti la sua vita. Persino il libro che aveva scritto, nessuno era interessato alle sue parole, a lei.

Tutti cercavano particolari scabrosi sulla vita dei suoi fratelli, tutti cercavano di carpire informazioni circa quei ragazzini così diversi da loro.

Perché mai avrebbero dovuto essere interessati a lei, che non aveva niente più niente meno di ciò che era stato dato in dotazione a tutti?

Le sue parole erano interessanti solo perché svelavano la vita dei suoi fratelli speciali, altrimenti non lo sarebbero state affatto. Come era sempre stato.

 

Si stringe le ginocchia al petto e poggia il mento su di esse, la bolla di emozioni non vuole accennare a ridimensionarsi.

Inspira.

Espira.

Inspira.

Espira.

Ins..

«Vanya?», la voce di Allison gli arriva attutita dalla cucina. «Dormi ancora? Ho portato la colazione».

Prima che lei possa rispondere Allison è in camera. Tra le mani stringe un sacchetto di carta e un sostegno con due caffè.

Anche in quel momento, con la colazione stretta tra le mani, un jeans e una maglietta addosso, sua sorella le sembra tutto meno che ordinaria.

«Pensavo fossi andata via»

«No», il suo tono è stupito, come se non capisse perché mai avesse potuto pensare una cosa del genere, «Non lo avrei mai fatto senza salutarti e poi di là non ti è rimasto nulla per fare colazione, quindi…»

Vanya sorride appena. Non sa come comportarsi in una situazione del genere. Nessuno a parte sua madre le aveva mai preparato o portato la colazione a letto. Tantomeno uno dei suoi fratelli, che la maggior parte delle volte arrivavano a tavola, parlando di questa o quella missione, di quanto uno fosse migliore dell’altro, di cosa avrebbero fatto la prossima volta che sarebbero andati in missione tutti insieme.

Nessuno si preoccupava mai del fatto che lei nelle missioni non era coinvolta e che stare lì ad ascoltarli era doloroso, soprattutto perché nessuno di loro sembrava notare la sua presenza, come se fosse invisibile.

«Vieni di là?» incalza Allison.

Scuote la testa. Non ha voglia di mangiare, non ha voglia di alzarsi. Vuole solo rimanere a letto ad aspettare che la bolla si dissolva.

La sorella allora si leva le scarpe e si siede sul letto, con le gambe incrociate davanti a sé. «Vorrà dire che faremo colazione a letto.» dice sorridendo.

Le passa il caffè caldo e poi apre il sacchetto bianco.

«Non sapevo cosa ti piacesse, così ho preso uno di tutto. Scegli tu.»

Vanya la guarda perplessa, da quando sono andate entrambe via di casa non hanno mai preso neanche un caffè insieme, figurarsi fare una colazione completa.

«Prendo la donut, se per te va bene».

«Va benissimo».

Sorride prendendo il muffin.

Per qualche istante stanno entrambe in silenzio.

«Non mangio sul letto da anni. È una delle cose più confortanti del mondo»

«Confortanti?» ride sommessamente Vanya.

«Sì, puoi stenderti, cullarti, appoggiarti allo schienale. È comodissimo, dovremmo farlo più spesso».

«Dovremmo?»

«Certo, io e te. E gli altri magari, anche se Klaus non credo si sia mai riuscito a svegliare prima di pranzo, per Luther ci vorrebbe un letto solo per lui…»

«Perché lo stai facendo?»

«Cosa?»

«Questo. Q-questo…comportarti come una sorella».

«Perché tu sei mia sorella».

«Te lo sei ricordato un po’ tardi.», non avrebbe voluto rispondere davvero in quel modo. Sa che Allison non ha tutta la colpa di ciò che è accaduto e ne paga anche lei le conseguenze, come tutti.

«Hai ragione, ma vorrei rimediare se me lo permetti».

La guarda negli occhi scuri e affusolati. Le sembra sincera e istintivamente qualcosa dentro di lei le dice di crederle e di fidarsi, probabilmente è colpa del bisogno di essere amata e apprezzata che si porta dietro, ma non ha voglia adesso di lasciarsi portare a terra da pensieri cupi.

«Cosa prevede la tua giornata da sorelle, dopo la colazione?»

Allison sorride felice.

«Ho comprato le maschere, per il viso e per i capelli. Ti va?»

Vanya si lascia coinvolgere nella sua allegria e dal suo sorriso, annuisce.

Qualche tempo più tardi, Allison le sta impiastricciando i capelli bagnati con una maschera rigenerante o qualcosa del genere, non si è preoccupata troppo di capire quale fosse la sua funzione.

Le sta raccontando un aneddoto su Claire e intanto le tocca i capelli gentilmente, prendendosene cura, come se fosse la cosa più naturale del mondo e come se l’avessero sempre fatto.

È la prima volta che Allison si prende cura di lei o comunque che si interessa a lei in qualche modo e una sensazione di calore le si spande nel petto, una sensazione che non ha mai sperimentato prima.

Ride ad una battuta della sorella e d’un tratto si rende conto che non la bolla di emozioni che la riempiva prima è scomparsa, lasciando il posto a tante piccole farfalle che volano libere e leggere ad ogni risata che condividono.

Sa che nel momento in cui sarebbero diventate troppo potrebbe lasciarle andare facilmente, ma per adesso si limita a tenerle dentro di lei e a bearsi dello sfarfallio leggero delle loro ali.

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Fandom: Mitologia Greca
Pairing:
Ade x Persefone

Questa storia partecipa al cow-t 9 di Lande di Fandom


Persefone alza lo sguardo dal libro che sta leggendo per spingerlo oltre il vetro, al di là della pianura degli asfodeli sperando di scorgere la figura del signore degli inferi.

Un sottile velo di preoccupazione le avvolge il cuore e non le permette di concentrarsi sul libro che sta leggendo: un giallo davvero appassionante su uno di quegli scrittori che tanto piacciono ai mortali.

Riprende la lettura, cercando di quietarsi ma nuovamente la mente vaga altrove e gli occhi si ritrovano di nuovo persi ad indagare l’aldilà che si intravede dal palazzo che Ade le ha costruito per darle una degna casa.

Chiude il libro stizzita, poggiandolo sul mobiletto e prendendo tra le mani il bicchiere di succo di melograno che aveva riempito poco prima, quell’attesa la sta distruggendo.

Suo marito è uscito quella mattina presto per una riunione ai piani alti, sembrava ci fosse qualche emergenza con i mortali. Un’emergenza più impellente di quelle che giornalmente li impegnano. Cercare di far andare avanti la specie e la vita sulla Terra è molto più difficile di quanto Persefone si fosse aspettata. Gli esseri umani hanno questa strana tendenza all’autodistruzione che non è semplice da intercettare, sono sempre alle prese con nuovi modi per farsi fuori con le proprie mani.

A volte rimane affascinata dalla loro capacità di prendere sempre le decisioni più sbagliate e quasi le viene la curiosità di rimanere a guardare in quanti giorni riuscirebbero a mandare tutto a rotoli se loro non intervenissero. 

Il problema è che tutto quel lavoro in più non aiuta i nervi già tesi di Ade e lei ha davvero bisogno di un po’ di tempo con suo marito senza essere disturbati da epidemie o guerre o quel che è.

Proprio nel momento in cui sente il nervosismo salire irrimediabilmente, sente Cerbero abbaiare festoso e la voce di Ade risuonare nel giardino.

È teso e arrabbiato, lo capisce dalla posizione delle spalle, le porta sempre innaturalmente su verso le orecchie quando è adirato per qualcosa.

Lo vede salire le scalinate che portano al portico e armeggiare con le chiavi, prima di spalancare la porta in un gesto plateale.

«Ciao caro, come è andata la riunione?»

«Buona sera, amore mio. Probabilmente tua madre deve morire.», è la risposta datale con voce serafica, un sorriso finto in volto e ogni cellula del suo corpo che sembra poter avere un crollo da un momento all’altro.

Persefone ride sommessamente per la riuscita finale di quella scenetta, ma si ricompone subito vedendo gli occhi afflitti del marito.

«Che ha fatto questa volta?»

Intanto si alza e lo aiuta a disfarsi del soprabito e della valigetta.

«Dice che i sei mesi che abbiamo concordato sono diventati obsoleti.»

Persefone lo guarda interrogativa, mentre prepara un bicchiere di succo di melograno anche per lui.

«Obsoleti?»

«Sì. Obsoleti. Dice che poiché il surriscaldamento globale ha portato al cambiamento delle stagioni, tu devi salire in superficie da lei già da ora. Capisci? È a stento finito febbraio e ti vuole già con lei. Ah! E poi ovviamente ritiene che fino a novembre sia ancora estate e quindi è giusto che tu ritorni qui dopo la festa di Halloween.»

Persefone ascolta tutto il suo discorso con l’animo tra il divertito per le espressioni di Ade e il preoccupato per le pretese di sua madre.

Ancora non si arrende al fatto che lei lì sta bene ed è felice.

«Zeus non glielo ha accordato, vero?»

«Fortunatamente no. Per una volta quel pallone gonfiato di mio fratello ha avuto la risposta pronta. Ha detto che tutti i morti che ci sono ultimamente ho bisogno di te più che mai», si gira verso di lei, abbassando di poco la voce e portandola a quel tono tenero che di solito usa quando le si rivolge, «Ed è vero. Già passare sei mesi senza di te è uno strazio, non possono portarti via per più tempo».

Il cuore di Persefone si scioglie davanti la dolcezza del suo volto e delle sue parole. Si avvicina a lui abbracciandolo e mettendo il viso nell’incavo del suo collo, inspirando il suo profumo.

«Ti prometto che parlerò con mia madre, un’atra volta

Gli lascia un bacio leggero sulle labbra. «Che ne dici adesso di andare di là e allentare un po’ la tensione?» chiede maliziosa e lasciva.

Ade la stringe forte e la bacia con passione. Le questioni sono rimandate a dopo, adesso si vuole dedicare solo a lei e al suo piacere.

 

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Fandom: BeF
Warning: Childhood!AU

Questa storia partecipa al cow-t 9 di Lande di Fandom


Federico ha cercato di trovare una scusa per non uscire quella sera ma proprio non è riuscito a trovare una scusa plausibile per i suoi amici.

Daddo si è subito preoccupato, pensando chissà a quale catastrofico scenario poteva celarsi dietro le sue parole, Fra ha messo su il muso mentre Riky ha iniziato a prenderlo in giro dicendo che sapeva che era perché aveva paura e che non era vero che gli era passata.

Federico aveva sbattuto i piedi per terra e chiuso le mani a pugno, rispondendo a tono a Riccardo che quindi lo aveva sfidato a partecipare alla serata senza dargli la possibilità di tirarsi indietro.

È così che Federico si trova in quel momento nel grande parcheggio, lasciato libero per metà dalle macchine insieme ai suoi amici. C’è anche Benjamin quella sera e finché non è arrivato il momento di andare a prendere i posti migliori per lo spettacolo, si è divertito un sacco. Gli piace sempre tanto quando c’è anche Benjamin, è simpatico, fanno la raccolta dello stesso album di figurine e quando giocano insieme a calcio sono fortissimi. Neanche Riky e Fra che sono tre anni più grandi loro riescono a batterli.

Federico è convinto che Benjamin sia il suo migliore amico ma ancora non ha il coraggio di dirglielo, prima di tutto perché non sa se anche per lui è così e in secondo luogo perché di certo gli altri lo prenderebbero in giro, dicendo che quelle sono cose da femminucce.

Federico non sa cosa ci sia di male a fare le cose da femminucce, molte sue compagne di classe gli stanne simpatiche e fanno delle cose bellissime, come Paola che crea dei braccialetti bellissimi con dei fili colorati e Fede più di una volta ha provato a farli insieme lei senza grandi successi, però. Paola è molto più brava di lui.

 

La folla ha iniziato ad accalcarsi e loro cinque sono in prima fila insieme agli altri bambini. Sono tutti con il naso all’insù, mentre aspettano che il cielo si illumini di luci colorate.

Federico invece si guarda intorno, cerca i suoi genitori tra gli adulti dietro di loro ma non li vede.

È così agitato e preso da altro che il primo sparo lo fa letteralmente saltare sul posto e spaventare così tanto che inizia a correre lontano dagli altri alla ricerca di un riparo.

Lo trova dietro una macchina dove si nasconde con il petto che si alza e si abbassa velocemente per al corsa e il cuoricino che batte all’impazzata. Un altro colpo forte come il precedente lo fa sobbalzare e Fede si preme le manine sulle orecchie chiudendo gli occhi forte e ritirando le ginocchia al petto, sperando che tutto passi al più presto.

Sente una mano sulla spalla e quando apre gli occhi, attraverso lo sguardo umido scorge il viso di Benjamin.

«Sei qui. Che succede?», chiede sedendosi vicino a lui.

Federico non sa che risponde, tira su con il naso e le lacrime gli riempiono lo sguardo.

«Perché piangi? Qualcuno ti ha preso in giro? È stato Riccardo? Dimmi chi è che ci penso io», dice Ben convinto, con lo sguardo serio e sicuro.

Fede scuote la testa. «Non è stato nessuno…», la frase viene interrotta da un altro sparo che lo fa tornare a chiudere gli occhi e rannicchiarsi.

«Hai paura dei fuochi d’artificio?», chiede Ben piegando la testa di lato.

Fede non risponde e continua a tenere la testa bassa e le mani premute ai lati della testa. Alza lo sguardo solo perché Benjamin richiama la sua attenzione mettendogli una mano sulla spalla.

«Ho un’idea. Alzati», dice mettendosi in piedi e porgendogli la mano.

Fede lo guarda titubante ma poi prende la mano e si alza.

«Voltati e fidati di me».

Fa come gli ha detto l’altro e si gira, puntando gli occhi dove di lì a poco sarebbe apparso il prossimo fuoco d’artificio.

Sente Ben avvicinarsi al suo orecchio. «Metti le tue mani sulle mie».

Fede rimane un attimo confuso, finché non sente le mani di Benjamin premergli sulle orecchie e allora capisce.

Preme anche le sue mani su quelle dell’amico e quando il fuoco d’artificio esplode in aria il rumore non gli fa paura come gli altri, lo fa sobbalzare solo un poco.

«Va meglio vero?», gli chiede Benjamin scoprendo un poco l’orecchio.

Fede annuisce in risposta e poi gli sorride. Anche Benjamin gli sorride in risposta e Fede a quel punto ne è proprio sicuro: Ben è il suo migliore amico e prima o poi troverà il coraggio di dirglielo.

Piuma

Mar. 2nd, 2019 04:55 pm
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Fandom: Urban Strangers
Warning: Indian!AU

Questa storia partecipa al cow-t 9 di Lande di Fandom


Genn se ne stava con la pancia appoggiata a terra, coperto dall’ombra che gettavano gli alberi sul suo corpo, ad attendere che la transazione che stava avvenendo a qualche metro da lui terminasse.

Non si permetteva di scostare le piante per vedere meglio ciò che stava accadendo per non turbare la pace di quel momento. Era un momento così teso che bastava una minima cosa per far andare mesi e mesi di trattative all’aria.

Gli indiani, guidati dal figlio del capo tribù portavano cibo, i soldati inglesi, i suoi commilitoni, portavano vestiti e utensili in ferro.

Gennaro trattenne il fiato nel momento in cui i rappresentati delle due fazioni si guardarono negli occhi e si scambiarono un gesto d’accordo, stringendo ognuno l’avambraccio dell’altro.

Era andata a buon fine.

La sua idea era andata a buon fine. Era riuscito a far trovare un accordo tra la sua gente e i selvaggi.

Storse il naso alla parola che gli venne in mente per identificarli e si stupì di sé stesso. Pochi mesi prima non avrebbe portato alcun tipo di riguardo nei loro confronti, né tantomeno avrebbe avallato con così tanto trasporto l’ipotesi di una congiunzione tra di loro.

Aveva sempre sentito storie circa quanto il Nuovo Mondo cambiasse le persone, portando novità, ma non pensava che questo avrebbe interessato lui in prima persona.

I protagonisti dello scambio erano già tornati da un po’ ognuno alle proprie case, quando sentì un fruscio dietro di lei.

«Sapevo tu qui», in un inglese stentato un ragazzo che aveva più o meno la sua età ma che non poteva essere più diverso si era avvicinato e seduto accanto a lui.

Genn sorrise alla sua vista. «Ciao».

«Spiavi me?»

«Ti controllavo, sì. Avevo paura che qualcosa andasse storto».

Il ragazzo lo accarezzò piano, guardandolo profondamente negli occhi, soffermandosi su ogni dettaglio e facendolo sentire come mai prima.

«Tu…», attese qualche minuto cercando la parola adatta, «preoccupato?» disse infine.

Genn sorrise imbarazzato, abbassando lo sguardo senza mai interrompere il contatto con la sua mano sulla guancia.

«Sì ero un po’ preoccupato»

«Perché tu ami», non era una domanda. Gennaro attese qualche istante prima di rispondere.

Da quando lo aveva conosciuto il suo mondo e il suo modo di pensare avevano subito un drastico cambiamento e lui si era trovato costretto a rivedere alcune delle sue priorità nonché alcune delle sue convinzioni più radicate.

Prima tra tutte quella che alla fine lo aveva portata ad innamorarsi del figlio di uno dei capi delle tribù indiane che avevano il villaggio a poca distanza dal loro accampamento e con il quale stavano cercando di far stabilire un rapporto ai loro popoli, che permettesse la prosperità di entrambi.

Sebbene l’idea gli continuasse a sembrare assurda e strana, la passione che vi metteva l’altro era tale da travolgerlo e renderlo totalmente incapace di dirgli di no.

Si avvicinò piano al suo viso, mise una mano tra i suoi capelli cercando di non staccare le piume che glieli adornavano e che erano simbolo del suo essere figlio del capo.

«Sì, perché ti amo».

E così dicendo lo baciò con trasporto, in un incontro di lingue e passione, senza rendersi conto che nella foga del momento una delle piume si era staccata dai suoi capelli e veniva portata dal vento verso l'alto e chissà dove.

 

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