Mar. 29th, 2020

smile_92: (Default)
Fandom: RPF Cinema, Tom Holland/Timothée Chalamet
Warning: Wing!fic, Highschool!AU, Slash
Prompt: M6, Gloriose ali spiegate

Questa storia partecipa al cowt10 di Lande di Fandom


Tom si sveglia di soprassalto, sbattendo prepotentemente le grandi ali che lo portano a qualche centimetro dal letto, ricadendo poi sul materasso con un verso stanco e il gomito che va a coprire gli occhi.

Con l’atra mano spegne la sveglia martellante e per buona misura si rigira ancora nel letto.

«Tom, muoviti. Farai tardi», la voce di sua madre gli arriva attutita dal piano di sotto insieme ai rumori della cucina.

Avrebbe fatto volentieri a meno di alzarsi se non avesse sentito l’odore dei pancake di sua madre che lo attirano come il nettare con le api. Le ali gli danno un’altra piccola spinta ed è finalmente in piedi. Con gli occhi mezzi chiusi si lava e si veste e poi finalmente scende.

«Buongiorno, ma’».

«Buongiorno», risponde sua madre con un grande sorriso e due pancake che cadono caldi ed invitanti nel suo piatto.

«Che fame», dice prima di addentarne uno dei due infilzandolo tutto intero con la forchetta e mangiandolo direttamente.

«Tom, mangia con calma», dice la madre senza voltarsi.

Tom mugugna una specie di assenso che ovviamente non segue. Sua madre ha piccole ali marroni sulla schiena, sono piumate come quelle di Tom ma più discrete. Le sue invece sono di un bianco candido interrotto solo da alcune radici di poco più scure. Questo lo costringe a prendersene cura come nient’altro nella sua vita. Le lava tutte le sere prima di andare a letto, passandoci sopra un unguento fatto a posta per detergerle senza aggredirle. Lo fa sin da quando hanno perso il piumaggio infantile, cinque o sei anni fa, assumendo più o meno l’aria che hanno adesso che ha sedici anni. Ormai si sono quasi stabilizzate, come Tom spera. Anche se sa per certo che a molti alati hanno continuato a crescere sino a ventun anni, ad altri addirittura a ventitré.

Nonostante ami le sue ali come niente in vita sua, deve ammettere che grandi come le sue comportano non pochi fastidi. Prima di tutto ha bisogno che tutto sia fatto su misura. Difatti casa sua è stata progettata apposta per contenere un alato di grandi dimensioni. Quando i suoi si sono resi conto del problema gli hanno ceduto la loro stanza matrimoniale, spostandosi in quella che era prima di Tom.

Nessuno di loro due, benché siano alati entrambi, ha le ali dei grandi alati come lui. Suo padre gli dice sempre che ha ripreso la stazza da quelle di suo nonno, che erano grandi e forti esattamente come le sue. Lui invece ha ereditato quelle della madre, la nonna di Tom, che sono ali medie, come anche quelle della moglie.

Per uno come lui senza grandi talenti sportivi, né un’intelligenza particolare, le grandi ali rappresentano la sua stessa identità, il suo essere e ciò che lo rende pienamente sé stesso: un grande alato.

«Un grande alato che è terribilmente in ritardo», commenta sua madre.

Deve aver pensato di nuovo ad alta voce, valuta Tom alzando gli occhi al cielo e dandosi una spinta sopra le scale per andare a prendere la sua roba.

 

 

La scuola che frequenta si trova a pochi chilometri di distanza da casa sua. Come tutti gli alati sedicenni Tom non può ancora volare alto, però è concesso loro di spostarsi usando le apposite corsie di volo rasoterra, in questo modo riesce ad essere a scuola sempre un minuto prima che la campanella suoni.

«Un giorno non ti faranno entrare se continui ad arrivare sempre sulla campanella», valuta Zendaya, la sua vicina di banco, nonché migliore amica. È un’alata anche lei, forse per quello è una delle poche che sopporta di avere le ali ingombrati di Tom sempre tra i piedi. Capisce le sue difficoltà, o forse lo sopporta perché gli vuole bene e sa quanto le sue ali siano il suo più grande orgoglio e cordoglio al tempo stesso.

Nonostante gli alati siano la metà della popolazione mondiale, i grandi alati non sono che una minuscola percentuale di questi, perciò non tutte le strutture sono attrezzate per questo problema. C’è chi dice che si estingueranno presto, considerando che sono rimasti in pochissimi. Nonostante questo, le porte sono spaziose abbastanza affinché Tom ci passi senza troppi problemi, gli basta stringere le ali dietro la schiena per qualche istante, mentre i banchi non sono abbastanza spaziosi per lui. Per questo avere accanto Zendaya alla quale non importa che lui invada di tanto in tanto – diciamo anche per buona parte della giornata scolastica – il suo spazio vitale è una vera fortuna.

Il professore di storia entra con il solito passo strascicato, posa la borsa da lavoro sulla scrivania ed accende la lavagna elettronica. È un umano giovane rispetto agli altri professori, con i capelli che tendono leggermente al grigio topo e degli occhiali sottili senza montatura ben calcati sul naso dritto.

«Bene, ricominciamo da dove ci eravamo lasciati la scorsa volta. Breslin, ce lo vuole dire lei?»

Abigail alza la testa dal banco e ruotando la matita tra le dita inizia: «Sì, professore. Siamo arrivati a studiare la prima alleanza tra alati e umani che è avvenuta intorno al Trecento se non sbaglio…»

«Trecentodue, continua pure»

«Sì, a seguito della discesa degli alati dal nord al sud»

«Sì esatto. Bene, dopo la discesa come abbiamo detto l’altra volta, le cose non furono semplici per la convivenza. Gli umani erano restii ad accettare degli uomini che ai loro occhi sembravano più simili ad animali o creature extra terrene. Per molti anni la popolazione si è divisa tra coloro che credevano fossero delle bestie e coloro che credevano fossero degli angeli mandati dal divino. Solo alcuni anni dopo, il grande scienziato Leonardo da Vinci, dimostrò che gli umani e gli alati fanno parte della stessa identica popolazione, con l’unica differenza che gli alati hanno sviluppato degli arti in più a causa della conformità dei territori del nord, particolarmente impervi e per questo più vivibili grazie alle ali».

Tom ascolta quelle storie con noia e noncuranza, ormai è la terza volta che deve studiare la storia degli alati e degli umani e di come hanno capito di essere la stessa cosa, solo con differenze nella conformazione dello scheletro.

Ha perso il conto di quante volte ha dovuto studiare la storia e tutte le lotte che hanno dovuto portare avanti i suoi antenati per essere accettati come tutti gli altri. Non che Tom sottovaluti i loro sforzi, oppure quanto dura doveva essere la difficile convivenza prima degli ARIA – Accordi per la Regolamentazione e Integrazione degli Alati, stilati ormai qualche secolo fa.

Tom si perde a guardare i giardini della scuola fuori dalla finestra. È una giornata calda di fine marzo, il sole risplende placido nel cielo azzurro. Il panorama tende a conferirgli una calma serena che viene interrotta dal passaggio di alcune persone nel cortile antistante l’edificio scolastico.

È gruppetto di studenti, sia alati che umani. Tom stringe gli occhi per distinguerli anche a quella distanza. Non ne è sicuro ma dovrebbe essere il comitato dei rappresentanti di istituto.

«Zendaya», sussurra cercando di non farsi udire dal professore, il fatto che sono in ultima fila a causa delle sue ali lo aiuta nell’intento.

«Mmh?» risponde la ragazza distogliendo lo sguardo dagli appunti di storia.

«Chi è quello?»

Zendaya si sporge un po’ per vedere meglio. Il gruppetto di ragazzi ora è fermo dinanzi l’entrata della scuola e sembra impegnato in una discussione importante.

«Mi sembrano i rappresentati», valuta Zendaya.

«Sì, sì ma ce n’è uno che non ho mai visto», continua Tom.

Zendaya guarda meglio, allungandosi come può senza attirare l’attenzione del professore.

«Ah, è il nuovo rappresentante. Si è trasferito qui a metà dell’anno scorso. È riuscito in pochissimo tempo a riscuotere un sacco di consensi e ad essere nominato alle elezioni studentesche che si sono tenute questo dicembre. Quelle a cui tu ti sei rifiutato di partecipare per restare a dormire», finisce Zendaya con il tono accusatorio e lo sguardo semichiuso.

Tom la ignora, continuando a guardare il ragazzo che si passa una mano nei capelli scuri mentre parla con gli altri. Tutto ciò che riesce a valutare dalla finestra della sua aula è che è magro, ha i capelli scuri ed un umano.

«Sai come si chiama?»

«Timothée Calamaio… Calamité... Qualcosa del genere», dice l’amica tornando a prestare attenzione ai suoi appunti.

Non un nome delle loro parti, valuta Tom continuando a fissarlo insistentemente.

«Holland hai intenzione di fissare il vuoto ancora per molto o ci degni della tua attenzione?», chiede retorico e autoritario il professore.

«Scusi», dice Tom distogliendo finalmente lo sguardo ma continuando ad essere distratto.

 

 

Le lezioni finalmente terminano e Tom stiracchia le ali in cortile facendo attenzione a non colpire nessuno. Stare seduto tutto il giorno è già difficile. Stare seduto con le ali ripiegate è una tortura, ma Tom ci è ormai abituato.

Si lascia cadere a terra dando un colpo di ali che lo fa cadere piano.

«Ma non ti stanchi ad usarle sempre?», chiede Zendaya sedendosi normalmente.

«Che?»

«Le ali. Ogni tanto puoi muoverti normalmente», nella sua voce non c’è un’accusa, è una semplice domanda, volta a capire immagina Tom. Zendaya è sempre stata una persona curiosa.

«Per me questo è normalmente, perché tu non le usi?»

«Non sono abbastanza grandi per planare come le tue, cadrei di culo per terra e mi romperei qualcosa», valuta sincera con una scrollata di spalle.

Tom ride appena ad immaginarsi la scena. Si distende e guarda in alto verso il cielo. Piccoli passerotti giocano allegri cinguettando e rincorrendosi in volo. Tom si perde a guardarli. Sono piccoli, poco ingombranti e nessuno dice loro come e quando usare le loro ali.

A volte, si chiede come doveva essere la vita dei primi alati che vivevano a nord. Cosa dovesse significare volare da una cima all’altra delle montagne, ingabbiare i venti tra le piume e sorvolare i boschi e i laghi.

Di tanto in tanto, si permette di pensare che un tempo, in un’altra vita forse, era stato uno di loro. Uno dei gloriosi cacciatori che con le loro enormi ali planavano sulle pianure alla ricerca di prede per sfamare il popolo. Di tanto in tanto, si permetteva di lamentarsi del mondo così com’era, con gli alati legati a terra a vivere come se non fossero nati per attraversare il cielo. Non si azzardava mai a farne parola a nessuno, però. Neanche ad altri alati, neanche a Zendaya. Come gli insegnano a scuola, la parità e l’uguaglianza sono i pilastri sui quali si fonda la loro società e non è bene mettere in imbarazzo coloro che sono nati senza ali.

Tom sbuffa, le ali sono schiacciate sotto il suo corpo e creano una base morbida sulla quale si sente protetto e a suo agio.

«Perché sbuffi?»

«Così, pensavo».

«A Timothée?»

Improvvisamente l’immagine del ragazzo gli torna in mente prepotentemente. «Non proprio», risponde Tom.

«Bene, perché sta venendo da questa parte e sarebbe stato davvero imbarazzante se tu stessi pensando ai modi per fartelo proprio in questo momento».

«Che?» dice Tom rimettendosi a sedere con le ali che seguono il movimento e si dispiegano leggermente.

Effettivamente Zendaya aveva ragione, il ragazzo che ha visto poco prima dalla finestra sta venendo con un sorriso calmo verso di loro.

Tom valuta velocemente che è più alto di quello che gli era sembrato dalla finestra, forse qualche centimetro in più rispetto a lui. È magro e proporzionato, ha il viso affilato che termina in un mento appuntito. Il naso è dritto e ai suoi lati trovano spazio due occhi non molto grandi ma di un verde acuito dal riflesso del prato primaverile.

«Ciao», dice aprendosi in un largo sorriso quando è abbastanza vicino a loro.

«Ciao», rispondono lui e Zendaya guardando verso l’alto con i visi corrucciati a causa del sole.

«Tu sei Tom, giusto?»

Le ali di Tom sbattono un paio di volte sentendo il suo nome pronunciato dalla sua voce per la prima volta e si affretta ad annuire.

«Mi chiamo Timothée – dice allungando una mano – Faccio parte del consiglio studentesco».

Tom si limita a stringergli la mano, non trovando nient’altro di intelligente da dire.

«Per la riunione di primavera stiamo organizzando una rappresentazione teatrale dove rievocheremo il momento in cui sono stati stilati gli ARIA».

Tom alza un sopracciglio. «Io non recito», dice prima che Timothée possa chiedere altro.

«Non fa nulla, cioè non c’è bisogno che tu sappia recitare. Per la scena finale volevamo far uscire vari alati e umani della nostra scuola. Devi fare solo presenza non c’è bisogno tu dica nulla», spiega Timothée alzando le spalle.

Tom guarda Zendaya che sembra sul punto di scoppiare a ridere alla sola idea che lui possa salire su un palco a recitare.

Mettersi in mostra non è mai stato il suo obiettivo, le sue ali ci pensano già da sole ad attirare l’attenzione, ma una voce al fondo del suo cervello gli dice che potrebbe essere un buon modo per conoscere Timothée - che da vicino è ancora più bello.

«Può partecipare anche lei?», chiede indicando Zendaya.

«Che?! No! Aspetta…» risponde la ragazza smettendo il ghigno divertito e sgranando gli occhi per la sorpresa.

«Va bene», dice Timothée accondiscendente e sorridendole, ed ignorando il suo evidente dissenso.

«Che? Ma…» inizia Zendaya.

«Perfetto, allora ci siamo entrambi», afferma Tom cercando di risultare il meno imbarazzato possibile, anche se le sue ali come sempre sono autonome e adesso vibrano leggermente. Spera davvero tanto che Timothée non se ne accorga.

«Magnifico. Facciamo una prova per conoscerci tutti domani pomeriggio alle diciassette, così organizziamo anche i successivi incontri. Considerando che siete solo comparse non vi chiederemo di venire troppe volte in teatro, domani però è necessario per capire come agire eccetera».

Tom annuisce, ignorando lo sguardo assassino con cui sta sicuramente cercando di ucciderlo Zendaya.

«Ci vediamo domani allora», li saluta Timothée andando via.

Tom si volta a guardarlo. Hai i fianchi stretti e le spalle minute, cammina leggiadro ed elegante. Le sue ali si muovono eccitate mentre il suo sguardo si posa sui jeans che gli aderiscono alle cosce.

Uno schiaffo dietro la nuca di Zendaya lo riporta alla realtà.

«Che c’è?»

«Smettila di scodinzolare come un cane davanti al cibo e concentrati su ciò che hai fatto».

«E dai, Zee, mi dispiace ma non potevo andarci da solo. Per favore, non essere arrabbiata con me. È solo una prova, lo hai sentito Timothée, no? Non ci impegnerà molto».

Zendaya alza gli occhi al cielo. «Tu ringrazia che io sia una persona accondiscendente».

«Io ringrazio ogni giorno della mia vita per la fortuna che ho avuto nell’incontrarti», dice Tom abbracciandola di slancio, esagerando nel tono per darle fastidio e prenderla in giro al contempo. Nonostante questo, è vero che si ritiene molto fortunato ad averla conosciuta, ma non glielo dirà mai sul serio.

«Sì, sì va bene. Ora scollati. Le tue ali enormi mi fanno caldo», risponde la ragazza ostentando la sua irritazione. Tom non se la prende, quello è il loro modo di scherzare e dirsi che si vogliono bene. L’unica che può scherzare sulle sue ali senza che lui ci rimanga male è appunto lei.

«A proposito di ali enormi… Oggi è venerdì!», dice Tom improvvisamente preso da un’euforia che non tarda ad essere palesata dalle sue ali.

Zendaya gli sorride, accantonando l’espressione falsamente infastidita di poco prima.

«Mi accompagni vero?»

«Come sempre!»

 

Tom non sta nella pelle, come ogni venerdì. Cammina senza usare le ali, ma in realtà si sente ad un metro di altezza tanto è felice.

Ogni venerdì, il parco aereo accanto casa di Zendaya permette ai minorenni accompagnati di dispiegare le loro ali e fare un breve volo planando sugli alberi. I genitori di Zendaya lavorano entrambi lì e così loro possono usufruirne senza troppi problemi.

Sebbene per Zendaya non sia una cosa così importante volare, si diverte ad accompagnare Tom e a vederlo sorridere come un bambino sin da quando sono piccoli.

«Salve, signor Coleman. Signora Coleman», saluta cordiale i due signori che lavorano rispettivamente al botteghino e alla rimessa dei caschetti.

«Ciao Tom. Ciao cara», risponde la signora Coleman dando un bacio a Zendaya. «Come è andata oggi a scuola?»

«Tutto bene, finché Tom non ci ha iscritto al dannato gruppo di teatro», risponde Zendaya lasciando la tracolla nella biglietteria, tendendo poi la mano a Tom per prendere la sua.

«Non ci ho iscritto», inizia Tom passandole la sua tracolla.

«Mi sembra una bella cosa. Quando farete la rappresentazione? Io e tuo padre verremo a vedervi».

«Faremo solo le comparse all’ennesima rappresentazione in ricordo degli ARIA», si affretta a specificare Zendaya rendendosi conto dell’enorme errore che ha fatto a rivelarlo ai genitori solo in quel momento.

«Oh, beh verremo lo stesso», annuncia la madre con il classico tono che non ammette repliche che usa anche la figlia molto spesso.

Zendaya alza gli occhi al cielo e per buona misura guarda di nuovo male Tom, in caso non sia già abbastanza consapevole della sua irritazione per quell’avvenimento infausto in cui l’ha trascinata senza remore.

«Muoviamoci prima che passi il tramonto», dice Zendaya trascinando Tom verso il chioschetto dei caschetti.

«Non trovi che sia ridicolo indossare dei caschi? Abbiamo le ali proprio per volare in sicurezza, è una cosa innata per noi, non ci succederà nulla», si lamenta Tom prendendo il suo caschetto.

«Sono le regole, Tom. E comunque né io né tantomeno tu siamo abituati a volare a quelle altezze, quindi è il caso di non fare i deficienti e attenerci alle regole».

«Come se uno stupido caschetto possa proteggerci da un volo di trenta metri di altezza», bofonchia Tom allacciandoselo sotto il mento.

Zendaya lo ignora. Ormai ha imparato che su certi argomenti Tom non vuole sentire ragioni e lei lo fa sfogare, come può. Tom gliene è grato il più delle volte anche se altre – come quella ad esempio – si sente trattato come un bambino capriccioso che viene lasciato a sfogare i suoi piagnistei.

Raggiungono la terza pista di lancio, quella che parte da una piccola altura dalla quale possono lanciarsi e planare per tutta la durata del percorso.

Non gli è consentito spiccare voli di molto più in alto, difatti il caschetto è dotato di sistemi di sicurezza che gli bloccherebbero le ali se provassero ad alzarsi troppo. Tom lo ha imparato sulla sua pelle quando era più piccolo, ricorda ancora la fastidiosa sensazione delle ali attraversate dalla corrente elettrica a basso voltaggio che gliele ha bloccate. Più che il dolore è stata la sensazione di non averne più il controllo a terrorizzarlo di più.

«Sei pronto?»

Tom annuisce, si avvicina al precipizio che dà il via alla pista di volo che più preferiscono tra tutte. In particolare, quella gli dà la possibilità di volare esattamente verso il sole, come se si dirigessero verso l’orizzonte, lontano dalla città che si sviluppa alle loro spalle.

Il panorama in quel punto non è in nessun modo ostacolato da palazzi o grattacieli, ma solo da una distesa infinita di alberi che crescono nel parco.

Tom sente la brezza leggera agitargli i vestiti e le piume. Le ali si dispiegano lentamente, come se si stiano godendo anche loro la sensazione piacevole del vento primaverile. Quando finalmente le apre del tutto e si sente pronto a volare fa un balzo e si butta di sotto.

Cade per pochi metri, con le ali disposte verticalmente lungo la schiena. Sente lo stomaco in subbuglio e un sorriso aprirsi sul viso. I capelli che fuoriescono dal caschetto sono scossi violentemente dal vento che genera la picchiata.

Si gode quegli istati di volo in picchiata con gli occhi chiusi e la mente concentrata sul suo istinto.

Quando si sente pronto dispiega le enormi ali bianche e, subendo il contraccolpo al quale è abituato, arresta la sua caduta verso il basso. Distende le braccia ad imitazione delle ali e con un paio di battiti raggiunge Zendaya che è rimasta più su e vola tranquilla.

«Un giorno ti ammazzerai e io dovrò ricogliere pezzetti di Tom dagli alberi», valuta quando lui torna a volarle accanto.

Tom ride e continua a bearsi del panorama senza risponderle. Quei momenti sono gli unici in cui si sente davvero libero e sé stesso. Più di una volta si è detto che forse è quella la sensazione che dovevano provare i suoi antenati nel nord. Quella soverchiante vibrazione delle ali che si estende a tutta la schiena e che sembra farti vibrare l’anima.

Si domanda spesso se gli altri alati si sentano come lui quando volano, gli piacerebbe sapere se è una cosa che riguarda lui oppure tutti gli alati solo perché tali. Ha provato a parlarne a volte con Zendaya ma le non sembra pensarla come lui, o comunque non sembra trascinata da quella sensazione come lui.

Per Tom è un sentimento inconfondibile, come se il suo cuore facesse “click” e gli permettesse finalmente di essere felice.

Il sole davanti a loro sta per tramontare ed il cielo diventa arancione, rosso e rosa. Di un’infinità di sfumature diverse e tutte stupende. Tom chiude gli occhi e si immagina a volare così con altri uguali a lui.

Si vede volare insieme ai grandi alati del passato. Una distesa infinita di enormi ali spiegate che volano liberi nel cielo verso il tramonto. Sotto di loro solo alberi e acqua e sopra solo il cielo a dettare i limiti di quanto in alto possano o meno volare.

Lo stomaco gli si chiude e le ali vibrano appena emozionate al pensiero. Si immagina essere parte di qualcosa che comprende e che capisce e che al tempo stesso comprende e capisce lui.

Poco prima di distaccarsi da quel sogno, la sua mente cambia scenario e davanti a sé vede Timothée che lo guarda serio. È fermo all’arrivo e lo guarda volare senza espressione alcuna sul volto.

Riapre gli occhi leggermente scosso dall’immagine di Timothée che gli ha mostrato la sua mente e nota che hanno già raggiunto la pista d’arrivo. Zendaya atterra facendo qualche passo per attutire la velocità, lui invece va prima di poco verso l’alto, sapendo che alla partenza e all’arrivo il limite di altezza consentito si alza di un po’, smorzando di colpo la sua velocità che ancora è in aria e poi planando piano verso il basso.

«Non riuscirò mai a capire come fai a governarle così bene, secondo me ti alleni di notte», valuta Zendaya liberandosi del caschetto.

Tom alza le spalle. «Mi viene naturale».

 

 






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Fandom: RPF Cinema, Tom Holland/Timothée Chalamet
Warning: Wing!fic, Highschool!AU, Slash, terapia psicologica, hint!difficult-past
Prompt:  M4, Dark Horse

Questa storia partecipa al cowt10 di Lande di Fandom

This love will make you levitate
Like a bird
Like a bird without a cage
But down to earth




Tom si guarda allo specchio un’alta volta. Le ali sono in ordine e pulite. I capelli sono a posto. I vestiti gli stessi di sempre ma puliti e stirati perfettamente.

«Toooom, svegliati farai tardi», grida la madre come ogni mattina.

«Sono qui, mamma», dice Tom che è appena sceso con un battito d’ali.

«Oh», esclama la madre voltandosi di scatto con le ali che si arruffano appena. «Credevo fossi ancora a letto»

Tom sorride e afferra un toast. La sua mente è completamente concentrata su ciò che deve fare quel giorno, cioè farsi notare da Timothée.

Ha messaggiato con Zendaya fino a notte fonda il giorno prima per decidere infine che la migliore tecnica d’attacco è non avere assolutamente nessuna tecnica d’attacco. Punto sul quale hanno discusso moltissimo ma che alla fine ha visto Zendaya vincitrice. Tom invece l’ha spuntata sul punto che riguarda il suo aiuto.

Il cellulare si illumina mostrandogli un messaggio di Zendaya che lo avverte che è già uscita di casa. Tom si alza velocemente prendendo un’altra fetta di pane e volando di sopra per prendere la tracolla.

«Ciao, mamma. Oggi torno più tardi che ho l’incontro per lo spettacolo».

«Va bene. Non volare troppo veloce».

Tom non fa in tempo ad ascoltare tutte le raccomandazioni della madre che si è già chiuso la porta alle spalle ed è nella corsia per alati che passa proprio davanti casa.

Zendaya lo aspetta già all’incrocio.

«Buongiorno», la saluta felice ed emozionato scrollando un po’ le ali per l’adrenalina.

«Ma che hai fatto ai capelli?», chiede Zendaya facendogli abbassare la testa per guardarlo meglio. «Sembra tu ci abbia messo saliva di mucca sopra, che schifo» dice infine guardandosi la mano e passandosela sui jeans.

«È gel. Sto male?» domanda allarmato.

Zendaya alza un sopracciglio scettica e comincia ad avviarsi sul marciapiede. «Mmm diciamo solo che non stai bene».

«Zee… Ma davvero fanno così schifo?»

«No, dai sto esagerando. È che sono abituata a vederti con i capelli arruffati e tutto questo ordine mi manda in confusione il cervello. In ogni caso, prima della riunione tutto quel gel dovrebbe essersi tolto», dice infine riprendendo a camminare verso scuola, ridendo appena della sua reazione.

Tom passa tutta la mattinata e gran parte del pomeriggio a guardarsi in ogni superficie riflettente che incontra, chiedendo altrettante volte come stiano i suoi capelli a Zendaya che già alla seconda ora si era maledetta per avergli detto che stava male e che adesso, dopo le lezioni pomeridiane ha raggiunto e superato di molto il limite di sopportazione. Tom lo capisce dal modo in cui sta seduta su una delle poltroncine del teatro, con le braccia incrociate, le gambe accavallate e il corpo il più lontano possibile da lui, per quanto le è concesso dalle poltroncine che comunque sono adiacenti.

Ci sono più persone di quelle che Tom avrebbe pensato, il comitato scolastico è riuscito a coinvolgere molte persone quell’anno. Di solito, pochi aderiscono ai festeggiamenti dell’ARIA, tutti troppo impegnati a fare qualsiasi altra cosa, considerando che in primavera c’è una concentrazione di attività non da poco. Comunque, non si possono di certo spostare i festeggiamenti di una ricorrenza che avviene sempre in quel giorno da almeno cinque secoli.

Dopo pochi minuti, i rappresentanti salgono sul palco attirando l’attenzione di tutti gli altri che smettono di parlottare tra di loro per ascoltare ciò che hanno da dire. Tom fissa lo sguardo su Timothée che si trova un passo indietro rispetto agli altri, ha i capelli che gli scendono davanti gli occhi e le mani dietro la schiena. Indossa dei jeans stretti ed una maglia larga che gli ricade morbida sulle spalle.

Simile a ieri, valuta Tom sapendo benissimo che quell’informazione non gli serve proprio a nulla ma non riuscendo a fare a meno di memorizzarla ed archiviarla.

«Benvenuti a tutti e grazie per aver aderito alla celebrazione degli ARIA di quest’anno», inizia Thomas Doherty, rappresentate d’istituto da quando Tom è arrivato a scuola e che tutti ammirano. Thomas ha due ali grandi rispetto al resto degli alunni della scuola ma comunque non è un grande alato come Tom. Come lui c’era solo un ragazzo che l’anno precedente si era diplomato lasciandolo solo ad essere quello con le ali più appariscenti e guardate di tutta la scuola.

Ciò che attrae tutti delle ali di Thomas è il colore. Sono blu sulla sommità per poi sfumare verso il verde smeraldo sul basso. Le piume sono grandi e spesse e sembrano riflettere ogni più piccolo raggio di luce. Tom deve ammettere che sono davvero belle.

«Quest’anno abbiamo deciso di riproporre una versione aggiornata della rappresentazione che facciamo di solito. Probabilmente, però, la maggior parte di voi è qui per il ruolo di comparsa finale, giusto?»

Qualcuno annuisce, qualcun altro risponde ad alta voce. «Bene, se siete qui è grazie a Timothée e Anna che hanno pensato quest’anno di coinvolgere più studenti. Brillantemente, aggiungerei» dice guardando i due ragazzi umani che si trovano ai due lati del gruppo di cinque persone. «Quindi lascio la parola a loro».

Anna Denver, una ragazza della sua età, fa un passo avanti e con un grande sorriso li ringrazia di essere lì. «Sappiamo che molti di voi hanno già altri club a cui partecipare, per questo non vogliamo rubarvi troppo tempo. Sarà sufficiente vederci un paio di volte per farvi capire il tempo di entrata ma non dovrete fare molto altro, quindi poi sarà richiesta la vostra presenza solo alle prove generali. Nonostante questo, se qualcuno di voi ha intenzione di aiutarci con l’allestimento dello spettacolo, può venire da me alla fine di questa riunione così ne parliamo».

Tom si volta verso Zendaya che lo fulmina con lo sguardo. «Non azzardarti, io ho già il club di letteratura».

«Va bene, ma tu dici che io devo iscrivermi? Per stare con Timothée intendo».

«Credo tu faccia meglio a chiedergli direttamente se vuole uscire con te», risponde Zendaya senza guardarlo.

«Ma non ci conosciamo neanche!»

«Per questo gli chiedi di uscire», risponde semplicemente Zendaya.

Tom rotea gli occhi e sbuffa piano, per non farsi sentire.

«Bene, a questo punto possiamo iniziare a dividere le parti tra coloro che parteciperanno alla rappresentazione. Tutti gli altri possono andare. Vi chiediamo solo di passare da Anna se volete anche aiutarci dietro le quinte oppure da Timothée per lasciare il vostro nome e un recapito così sappiamo come contattarvi in caso ci siano avvisi».

Tutti si alzano e iniziano ad andare chi da un rappresentante chi da un altro. Tom ferma Zendaya che si era già alzata per andare da Timothée.

«Che c’è?»

«Andiamo per ultimi»

«Vai tu per ultimo, così ci puoi parlare da solo», propone Zendaya picchiettandosi la tempia con un dito.

Tom la guarda con gli occhi sgranati. «Mi vuoi abbandonare?»

«Ma dai, te la caverai benissimo», dice dandogli una piccola spinta alla spalla. Tom suppone che un po’ lo faccia perché lo pensa davvero, un po’ perché davvero a lei del teatro non frega nulla e già aver perso tutto quel tempo lì l’ha provata. Così decide che tutto sommato ha ragione e che è meglio andarci da solo da Timothée.

«Va bene, va prima tu io ti raggiungo dopo».

«Sì, chiamami quando torni a casa».

«Va bene. Ciao»

Tom alza una mano e la vede andare verso il banchetto dove Timothée sta prendendo i nomi delle comparse. Lo vede salutarla e poi voltarsi verso di lui, trovandolo a parlare – ovviamente per finta – al telefono. Tom ha pensato che potesse essere una buona scusa per giustificare il fatto che Zendaya sia andata a registrarsi prima di lui.

Quando sono finalmente rimasti solo gli attori della rappresentazione e il comitato studentesco, Tom si avvicina al banchetto di Timothée.

«Credevo avessi cambiato idea», dice il ragazzo sorridendogli con un angolo della bocca.

«No, no. Ero al telefono», si giustifica Tom sperando che Timothée non noti le sue ali vibrare per l’imbarazzo e l’emozione.

«A-ah. Allora qual è il tuo cognome?»

«Holland».

Tom rimane a fissare Timothée che con una calligrafia sottile e precisa scrive il suo nome su un foglio, seguita dall’e-mail che Tom gli detta subito dopo.

«Ecco, fatto».

«Timothée», lo chiama Thomas andando loro incontro.

«Mmh?»

«Puoi andare a vedere se la palestra è ancora aperta? Dove ha dimenticato il plico dei copioni lì dopo l’allenamento», dice indicando con il pollice la ragazza bionda che si occupa delle coreografie degli spettacoli.

«Certo, non c’è problema», risponde cordiale alzandosi in piedi.

«Fatti accompagnare da… Tom, giusto? Sei nella stessa classe di Dove».

«Sì, infatti», risponde Tom provando un improvviso moto d’amore verso il rappresentante che gli sta dando l’opportunità di stare finalmente con lui.

«Posso andare anche da solo», dice Timothée prendendo il foglio e mettendolo nella tracolla.

«Per me non è un problema», si affretta ad intervenire Tom che si sente improvvisamente a tre metri da terra anche se ha i piedi ben ancorati al suolo, questa volta. Le sue ali vibrano leggermente.

 

«Cavolo, non pensavo fosse così tardi», dice Timothée cercando di aprire la porta della palestra. «Il professore deve essere già andato via».

«Aspetta».

Tom ruota attorno all’edificio, aiutandosi con le ali dopo un paio di passi per darsi la spinta. La porta laterale della palestra solitamente rimane aperta perché è rotta.

«Ed infatti ancora non l’aggiustano», dice tra sé e sé.

«Ehi, Timothée, vieni qui», lo chiama Tom uscendo dall’angolo che ha girato prima.

Timothée lo raggiunge a piedi dopo pochi istanti. «Che c’è?»

«La porta laterale resta sempre aperta perché è rotta. Possiamo entrare da qui», dice spingendo piano con le ali che lo accompagnano nel movimento. «Et Voilà», dice facendosi da parte per farlo entrare.

Il viso prima serio di Timothée si apre in un sorriso appena trattenuto, finché non scoppia a ridere. Tom rimane immobile con le ali che si aprono leggermente pronte a scattare nel caso in cui lui decida di volare via alla svelta.

«Scusa. Scusa, non volevo ridere di te» si affretta a dire Timothée cercando di contenersi. «Mi ha fatto solo ridere che te ne sei uscito così dal nulla, sai che sono francese, sì?»

Tom piega la testa di lato. «No, non lo sapevo. Cioè, il tuo nome non è americano è ovvio, ma non pensavo fossi francese».

«Sì i miei si sono trasferiti in America per lavoro quando ero piccolo, ma sono nato in Francia»

«Eri molto piccolo?»

«Avevo quattro anni», dice Timothée dando un’occhiata agli spalti, in cerca dei copioni.

Tom lo imita, cercando i copioni un po’ ovunque e cercando di non farsi distrarre troppo dai jeans strettissimi di Timothée.

«Trovati!» esclama Timothée d’un tratto sventolando i copioni verso Tom che lo vede irrigidirsi per un attimo quando nota che è a mezz’aria.

Immediatamente scende con i piedi per terra. Spesso gli umani lo guardano impauriti, incuriositi o semplicemente male quando usa le sue ali. Di solito non ci fa caso, ma quello che lo guarda stranito al momento è Timothée, e lui ha la netta sensazione di aver già visto quella scena, il viso così serio e la bocca tesa. Nel momento in cui si ricorda di averlo visto così nella sua mente durante il suo volo di venerdì scorso è anche quello in cui si affretta a mettere da parte il suo orgoglio di alato – che in un’altra situazione gli avrebbe consigliato di continuare a volare – e scende.

«Ogni tanto mi viene spontaneo», si giustifica.

Perché poi? Non ha fatto nulla di male.

«Non c’è nulla per cui ti debba scusare», risponde Timothée serio ma distaccato. «Allora grazie, Tom. Adesso riporto questi a teatro. Tu va pure».

Tom si sente improvvisamente a disagio, le sue ali si muovono come a volersi liberare di quella sensazione negativa. «Ehm… Sì, ok», dice seguendolo fuori dalla palestra e poi guardandolo andare verso il teatro senza voltarsi.

 

*

Timothée sente ancora gli occhi di Tom puntati sulla sua schiena, che sente improvvisamente più pesante del solito. Quando gira l’angolo si sente finalmente libero e tira un sospiro di sollievo.

Non deve mollare proprio adesso, ce la sta facendo. Certo avere Tom intorno non è proprio la situazione ideale considerando i suoi trascorsi ma sta cercando di cambiare e di lasciarsi il passato alle spalle, quindi si deve far forza e andare avanti.

Eppure, se lui fosse diverso avrebbe permesso a sé stesso e al pensiero di Tom di viaggiare molto più liberamente nella sua mente, invece di reprimerlo ogni volta che gli tornano in mente le sue ali e il suo sorriso impacciato.

«Ecco i copioni, Thomas», dice lasciando i copioni su una sedia. «Io torno a casa, ci vediamo domani».

«Ciao Tim, a domani», lo salutano in coro gli altri.

 

Timothée stringe la cintura della tracolla che porta in spalla, si è reso conto che in quella scuola la tracolla la portano soprattutto gli alti, che usano tenerla su una spalla sola. Effettivamente per chi ha grandi ali non deve essere facile infilare e sfilare le spalline di uno zaino, valuta Timothée mettendo un piede dietro l’altro.

Anche per i medio alati, in realtà, lo corregge la sua mente. Accelera il passo per arrivare il più velocemente possibile a casa e finalmente buttarsi sul letto.

Far parte del consiglio studentesco lo tiene impegnato certo, ma lo stanca anche molto. In più quella giornata è stata parecchio provante emotivamente, Timothée sente di potersi concedere almeno quella definizione nonostante l’austerità che di solito riservava a sé stesso e alle proprie emozioni.

«Ciao, mamma».

«Ciao cherie», risponde la madre dalla cucina. «Tra poco si mangia».

«Va bene, mamma» risponde Timothée salendo le scale per andare in camera sua a lasciare la tracolla e buttarsi sul letto a pancia in giù.

Affonda la testa nel cuscino sospirando e ripensa al viso di Tom quando si sono salutati. Di sicuro si è accorto che qualcosa non andasse. Sicuramente adesso lo ritiene strano, o scontroso o peggio una con la puzza sotto il naso.

Timothée si lamenta mettendosi di lato. Perché mi sto preoccupando così tanto di ciò che pensa quel maledetto pennuto?

Ricorda perfettamente che appena arrivato nella scuola nuova lo aveva notato subito, o meglio, aveva notato le sue ali. Le sue bianchissime, enormi ed ingombranti ali. Aveva visto solo un altro ragazzo avere delle ali così grandi e in generale nella sua vita aveva visto pochissimi grand’alati. Per questo all’inizio aveva maledetto il giorno in cui aveva messo piede in quella scuola e il ragazzo dalle enormi ali.

Senza che potesse accorgersene i vecchi rancori e le vecchie abitudini erano tornate a galla, dopo che aveva fatto tanto per sopire quei sentimenti si sentiva nuovamente sopraffatto dalle sue emozioni negative.

Si era fatto forza però e aveva impiegato tutta l’estate a cercare un modo per reprimere le sue emozioni o a metabolizzarle, come diceva la sua terapeuta. Aveva fatto un buon lavoro ed infatti tornato a scuola era andata molto meglio.

Aveva iniziato a tenersi occupato e farsi nuovi amici, le cose stavano andando così bene che era stato lui stesso a proporre di aggiungere Tom alla rappresentazione. Era il modo per dimostrare a sé stesso che ce l’aveva fatta, che aveva sconfitto i pensieri bui. Ed era anche il modo che aveva scelto per chiedere tacitamente scusa al ragazzo con le grandi ali, per averlo insultato mentalmente per i primi mesi che si trovava nella scuola.

Ovviamente non aveva immaginato che Tom fosse così… Tom. O che avesse la capacità attirare la sua attenzione non solo per le sue ali.

Timothée mette a tacere la sua mente, al momento non ha voglia di rispondere all’insistente domanda che lo costringe a pensare più del necessario al suo stato d’animo.

I giorni successivi passano veloci e pieni di cose da fare per il comitato studentesco. Ogni giorno c’è qualcosa da aggiustare e qualcos’altro che si rompe. Il palco è un casino e ci sono da organizzare le altre attività per la festa di primavera, come se lo spettacolo non fosse già abbastanza.

Se non altro, grazie a tutto questo, Timothée non ha tempo e forza per fermarsi a pensare a Tom o a come gli sorride ogni volta che lo guarda e lo saluta oppure a come le sue ali siano candide e bianche come le vette delle montagne innevate, o come odia il fatto che la sua mente raccolga tutte queste informazioni proprio su di lui senza che lui lo ordini.

Su mille ragazzi presenti a scuola, su di lui proprio non avrebbe voluto fissarsi eppure più passano i giorni più si rende conto che Tom ha il sorriso gentile e gli occhi dolci e lui odia immensamente la voce che gli sussurra tutte queste cose giornalmente.

È impegnato in uno dei suoi discorsi con sé stesso quando sente una voce famigliare venire da dietro la sua schiena.

«Ciao, Timothée».

Timothée si volta di scatto e ci mette un po’ a rispondere dopo che si rende conto di chi sia ad averlo chiamato. «Ciao, Tom. Come va?»

«Tutto bene», risponde il ragazzo con le ali che non stanno ferme un attimo.

Ma non si stanca mai?, pensa valutando che effettivamente le sue spalle sono molto larghe così come la schiena e che magari è dovuto proprio a tutto quel movimento da sostenere. Inconsapevolmente si stringe tra le sue spalle invece piccole e minute, nonostante sia di un anno più grande del ragazzo davanti a lui – in quei giorni in cui aveva cercato di tenerlo fuori dalla sua testa era finito per informarsi su vari aspetti della sua vita, non ultima l’età e le cose che amava fare.

«Tu?» chiede Tom con un sottile imbarazzo che lo fa intenerire un po’.

«Bene anche io, un po’ stanco per tutte le attività del comitato. Hai bisogno di qualcosa?»

«Ehm… Sì, cioè no. Cioè volevo solo salutarti»

Timothée rimane per un attimo senza parole, sbatte per un paio di volte le palpebre e poi risponde: «Oh», con il cuore che sussulta appena e una stretta leggera allo stomaco.

«E chiederti se ti va di venire a bere qualcosa con me dopo la scuola. Se non hai da fare con il comitato, ovvio», si affretta a dire alla fine.

Timothée rimane per un attimo senza parole. La sua mente diventa presto un guazzabuglio di idee che gli urlano cosa fare o meno.

Una gli dice di fuggire. Un’altra di rispondere di no. Un’altra lo prega di dire di sì e un’altra ancora è sotto shock e non dice nulla, esattamente come lui in quel momento. Finalmente si riprende e senza che abbia scelto razionalmente quale voce far vincere, annuisce.

Tom si apre in un sorriso enorme. «Davvero? Cioè, è un sì giusto?»

Timothée sorride per il suo modo di fare leggermente infantile. «Finisco tra una mezz’oretta. Mi aspetti?»

Anche lui è leggermente sorpreso della sua risposta, non che non sia più che consapevole dell’effetto di Tom su di lui, però non pensava che si sarebbe permesso davvero di uscire con lui, o meglio, non credeva affatto che lui avrebbe trovato il coraggio di chiederglielo nonostante facesse di tutto per evitarlo.

«Certo. Certo che ti aspetto, se vuoi ti aiuto anche», dice Tom con un trasporto che gli scalda il cuore e lo fa sorridere.

«Va bene. Dobbiamo portare questi cartelloni in teatro», dice affidandone un po’ a Tom che li prende allargando le ali grandi e possenti.

Una minuscola parte dell’animo di Timothée si spegne ma lui decide di non farci caso perché tutto il resto del suo corpo sembra volare ad un centimetro da terra adesso che è accanto a lui e sa che Tom non si è lasciato scoraggiare dal suo essere distaccato.

Timothée lo guarda di sottecchi di tanto in tanto, sorridendo quando i loro sguardi si incontrano. È possibile che tutti quegli anni che ha passato ad evitare gli alati e a prendere quanto possibile le distanze da loro, siano stati uno spreco di tempo. Che tutto ciò che aveva bisogno di fare era lasciare che qualcuno gli si avvicinasse?

 

«Conosco un bar poco distante che fa sia frullati che tè, che ne dici?», propone Tom con le piume inferiori delle ali che si muovono piano come scosse da un leggero vento che sentono solo loro, mentre escono dal teatro.

«Va benissimo», dice Timothée seguendolo verso il locale.

«Ti sei trasferito da poco, quindi?» chiede Tom una volta che si sono seduti e hanno ordinato, uno il tè l’altro un frappè.

«L’anno scorso a metà anno, all’inizio non mi è stato molto semplice ambientarmi. Arrivare in una nuova scuola ad anno già iniziato non è semplice».

Tom lo ascolta rapito, bevendo di tanto in tano il suo frappè senza mai interromperlo e Timothée si meraviglia di come riesca a parlargli facilmente di sé stesso e di come lo fanno sentire alcune cose che lui gli dice.

«Mi sono detto che se volevo ambientarmi nella nuova scuola avrei dovuto fare io un passo avanti e così ho iniziato a fare amicizia e a farmi notare a quanto pare, visto che a dicembre mi hanno eletto come quinto membro del comitato studentesco».

«Mi meraviglio di non averti mai visto», valuta Tom e Timothée non capisce se sta parlando a sé stesso o a lui. «Forse non ci siamo proprio incrociati, altrimenti mi sarei di sicuro ricordato di te»

Timothée sente di nuovo una leggerezza nel petto che sembra farlo librare in aria come non gli succedeva da un po’ di tempo. Le parole di Tom sembrano sincere e non sono per nulla smielate ed il fatto che le pronunci guardandolo dritto negli occhi, con quel sorriso confortante acuisce la sensazione di volare a centimetri dal pavimento.

Tom lo guarda improvvisamente imbarazzato, forse si è reso conto delle implicazioni di ciò che ha detto e si affretta a cambiare discorso.

«Ti manca mai la Francia?»

Timothée rimane interdetto per il cambio repentino di argomento ma si affretta a trovare una risposta. «Mi manca il me stesso che viveva in Francia».

«Da bambini siamo sempre più felici», valuta Tom prendendo un altro sorso dal bicchiere enorme.

«Già. Tu invece sei sempre vissuto qui?»

«Un vero cittadino di Aletonia, nato e cresciuto qui», risponde Tom. «Anche se… ti posso confessare una cosa stupida?»

Timothée si fa attento e incuriosito. Il tono che ha usato sembra il preludio di un segreto.

«Ti è mai capitato di pensare di appartenere ad un altro posto?» comincia Tom con la voce bassa e gli occhi che puntano sul tavolo dove sta giocherellando con un pezzo di carta. Le ali sono basse e tendenzialmente ferme, per una volta.

«Ti è mai capitato di non sentirti davvero te stesso e di aver avuto in dono una vita che in realtà non è la tua, nella quale non potrai mai esprimerti a pieno ma non sai come cercare il posto cui appartieni, non sai neanche se esiste o se davvero potrai mai farne parte e tutto ti urla che è un enorme cavolata?»

Le ali Tom hanno iniziato a vibrare vistosamente man mano che proseguiva con il suo discorso. Timothée cerca di stargli dietro e contemporaneamente di mettere a tacere quell’unico punto buio della sua coscienza che sembra voler richiedere proprio ora la sua parte di attenzione.

«A volte sento che questo non sia il mio posto. Che le mie ali enormi non siano fatte per questi luoghi, che dovrei andarmene ma non in un altro luogo. Proprio in un altro tempo. Quando gli alati vivevano al nord, tra le montagne e non c’erano restrizioni sul loro volo», finisce Tom alzando solo in quel momento lo sguardo.

Timothée rimane senza parole, cercando di reprimere le sensazioni che cerca di mettere a tacere da anni e che adesso sembrano voler prendere di nuovo il sopravvento su di lui. Prende un respiro profondo e mette a tacere tutto.

«Scusami, se mi sono messo a vaneggiare», si affretta a dire Tom come se si fosse reso conto solo in quel momento delle parole che ha pronunciato.

Forse si è accorto del suo viso, forse sta capendo i suoi pensieri, forse…

Timothée riprende possesso dei pensieri e nuovamente padrone di sé stesso scuote la testa. «No, è comprensibile per un alato come te».

«Ti ho messo a disagio. Non volevo tirar fuori le mie ali è che sento sempre di non poterne parlare con nessun umano ma con te ho avuto la sensazione di poterlo fare».

Timothée si sente stringere lo stomaco per mille motivi diversi. Quello su cui cerca di focalizzarsi è il modo in cui Tom ha detto che con lui sente di poter parlare. E sullo sguardo che gli ha lanciato subito dopo, quasi supplichevole. Come se abbia davvero bisogno di qualcuno che lo comprenda e lo capisca. Come se voglia con tutto sé stesso che quel qualcuno sia proprio lui.

Si sente di nuovo volare ad un centimetro di altezza da terra e sorride spontaneamente, invaso ancora una volta da quella sensazione di cui si rende conto di avere davvero bisogno. «Non mi hai messo a disagio. Mi fa piacere che tu voglia parlarne con me», dice sorridendo.

Tom si rilassa, così come le sue ali che tornano placide dietro la sua schiena a vibrare in maniera impercettibile.

Il punto buio della sua coscienza si allarga di qualche centimetro, gli stessi che lui sente di avere dal pavimento, ma si oppone e non ci fa caso. Per una volta vuole godersi una cosa bella che gli sta accadendo, senza rovinarla e senza farla divenire nera e buia.

Per una volta vuole essere felice e provare a stare di nuovo a qualche centimetro da terra.

 

*

È successo di nuovo e questa volta nel suo sogno c’era anche Tom, era lontano, un’ombra nel buio che non lui non poteva raggiungere e che non riusciva a sentirlo.

Quel giorno Timothée si è tenuto alla larga da tutti, anche e soprattutto Tom, finché finalmente la scuola non è finita ed è potuto andare più velocemente possibile al suo incontro abituale con la psicologa.

La dottoressa Malcolm ha lunghi capelli ricci e neri che le ricadono sulla schiena morbidi. È un’umana, come avevano ritenuto fosse meglio per lui e per la sua situazione i genitori. Timothée era stato d’accordo.

Si muove sulla comoda sedia all’interno dello studio privato della dottoressa mentre racconta il sogno che lo ha spaventato quel giorno, quantomeno per la novità di vederci Tom dentro.

«Quando l’ho visto nel sogno, mi sono sentito sollevato perché ho pensato che finalmente avrebbe potuto aiutarmi, anche se era solo nel sogno, capisce?»

La psicologa annuisce comprensiva, incoraggiandolo a proseguire.

«Quando mi sono accorto che non mi sentiva e non si avvicinava mi sono sentito peggio di prima. Ero devastato per… per… - Timothée non riesce a dire quella parole e prosegue, consapevole che la dottoressa lo avrebbe capito – e per il fatto di essermi illuso che lui avrebbe potuto salvarmi. Mi sono svegliato in preda al panico e… e…», Timothée si ferma con lo sguardo febbrile che va da una parte all’altra senza guardare nulla.

«Timothée, lasciarci avvicinare dalle persone è sempre una cosa che causa timore e spavento, ed è giusto sentirsi così».

«Sì, ma capisce? Io non me lo posso permettere e se lui si avvicinasse e rimanesse bruciato? O peggio se lui mi vedesse per come sono e non sopportasse la mia vista? Cosa potrei fare? Cosa mi rimarrebbe?»

«Se invece proibissi a te stesso di avvicinarti a lui, cosa perderesti? È questa la domanda a cui devi rispondere».

 

Timothée esce dallo studio ancora scosso, stringe forte la mano attorno alla cintura della tracolla e a passo svelto si dirige verso casa.

Ripensa alle parole della terapeuta e al terrore che ancora prova. Sa che non dovrebbe lasciarsi abbattere dalla paura di essere rifiutato e che la paura che sente è un sentimento come un altro e non deve lasciargli prendere il sopravvento. Ci ha lavorato per mesi ed è quasi riuscito a ridimensionarlo e a tenerlo a bada.

Lentamente e a fatica ci stava riuscendo anche con Tom, ma quel sogno lo ha inquietato davvero ed ha incrementato il punto oscuro che sente nel suo animo.

Il cellulare vibra nella sua tasca posteriore. Lo prende e legge un messaggio di Tom che gli chiede come sta e se fosse successo qualcosa.

È il solito messaggio preoccupato di Tom che lo fa sentire importante e protetto. Un po’ della paura di poco prima si affievolisce e risponde rassicurandolo. Glissando su tutto ciò che è successo e sui pensieri che gli affollano la mente, semplicemente li mette a tacere, annegandoli nel suo animo, in un posto buio e lontano dalla sua vista e dalla sua attenzione.

Senza che possa rendersene conto il punto buio e oscuro dentro di lui diventa ogni giorno più grande.





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