Soar (Capitolo 2)
Mar. 29th, 2020 08:08 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Warning: Wing!fic, Highschool!AU, Slash, terapia psicologica, hint!difficult-past
Prompt: M4, Dark Horse
Questa storia partecipa al cowt10 di Lande di Fandom
This love will make you levitate
Like a bird
Like a bird without a cage
But down to earth
Tom si guarda allo specchio un’alta volta. Le ali sono in ordine e pulite. I capelli sono a posto. I vestiti gli stessi di sempre ma puliti e stirati perfettamente.
«Toooom, svegliati farai tardi», grida la madre come ogni mattina.
«Sono qui, mamma», dice Tom che è appena sceso con un battito d’ali.
«Oh», esclama la madre voltandosi di scatto con le ali che si arruffano appena. «Credevo fossi ancora a letto»
Tom sorride e afferra un toast. La sua mente è completamente concentrata su ciò che deve fare quel giorno, cioè farsi notare da Timothée.
Ha messaggiato con Zendaya fino a notte fonda il giorno prima per decidere infine che la migliore tecnica d’attacco è non avere assolutamente nessuna tecnica d’attacco. Punto sul quale hanno discusso moltissimo ma che alla fine ha visto Zendaya vincitrice. Tom invece l’ha spuntata sul punto che riguarda il suo aiuto.
Il cellulare si illumina mostrandogli un messaggio di Zendaya che lo avverte che è già uscita di casa. Tom si alza velocemente prendendo un’altra fetta di pane e volando di sopra per prendere la tracolla.
«Ciao, mamma. Oggi torno più tardi che ho l’incontro per lo spettacolo».
«Va bene. Non volare troppo veloce».
Tom non fa in tempo ad ascoltare tutte le raccomandazioni della madre che si è già chiuso la porta alle spalle ed è nella corsia per alati che passa proprio davanti casa.
Zendaya lo aspetta già all’incrocio.
«Buongiorno», la saluta felice ed emozionato scrollando un po’ le ali per l’adrenalina.
«Ma che hai fatto ai capelli?», chiede Zendaya facendogli abbassare la testa per guardarlo meglio. «Sembra tu ci abbia messo saliva di mucca sopra, che schifo» dice infine guardandosi la mano e passandosela sui jeans.
«È gel. Sto male?» domanda allarmato.
Zendaya alza un sopracciglio scettica e comincia ad avviarsi sul marciapiede. «Mmm diciamo solo che non stai bene».
«Zee… Ma davvero fanno così schifo?»
«No, dai sto esagerando. È che sono abituata a vederti con i capelli arruffati e tutto questo ordine mi manda in confusione il cervello. In ogni caso, prima della riunione tutto quel gel dovrebbe essersi tolto», dice infine riprendendo a camminare verso scuola, ridendo appena della sua reazione.
Tom passa tutta la mattinata e gran parte del pomeriggio a guardarsi in ogni superficie riflettente che incontra, chiedendo altrettante volte come stiano i suoi capelli a Zendaya che già alla seconda ora si era maledetta per avergli detto che stava male e che adesso, dopo le lezioni pomeridiane ha raggiunto e superato di molto il limite di sopportazione. Tom lo capisce dal modo in cui sta seduta su una delle poltroncine del teatro, con le braccia incrociate, le gambe accavallate e il corpo il più lontano possibile da lui, per quanto le è concesso dalle poltroncine che comunque sono adiacenti.
Ci sono più persone di quelle che Tom avrebbe pensato, il comitato scolastico è riuscito a coinvolgere molte persone quell’anno. Di solito, pochi aderiscono ai festeggiamenti dell’ARIA, tutti troppo impegnati a fare qualsiasi altra cosa, considerando che in primavera c’è una concentrazione di attività non da poco. Comunque, non si possono di certo spostare i festeggiamenti di una ricorrenza che avviene sempre in quel giorno da almeno cinque secoli.
Dopo pochi minuti, i rappresentanti salgono sul palco attirando l’attenzione di tutti gli altri che smettono di parlottare tra di loro per ascoltare ciò che hanno da dire. Tom fissa lo sguardo su Timothée che si trova un passo indietro rispetto agli altri, ha i capelli che gli scendono davanti gli occhi e le mani dietro la schiena. Indossa dei jeans stretti ed una maglia larga che gli ricade morbida sulle spalle.
Simile a ieri, valuta Tom sapendo benissimo che quell’informazione non gli serve proprio a nulla ma non riuscendo a fare a meno di memorizzarla ed archiviarla.
«Benvenuti a tutti e grazie per aver aderito alla celebrazione degli ARIA di quest’anno», inizia Thomas Doherty, rappresentate d’istituto da quando Tom è arrivato a scuola e che tutti ammirano. Thomas ha due ali grandi rispetto al resto degli alunni della scuola ma comunque non è un grande alato come Tom. Come lui c’era solo un ragazzo che l’anno precedente si era diplomato lasciandolo solo ad essere quello con le ali più appariscenti e guardate di tutta la scuola.
Ciò che attrae tutti delle ali di Thomas è il colore. Sono blu sulla sommità per poi sfumare verso il verde smeraldo sul basso. Le piume sono grandi e spesse e sembrano riflettere ogni più piccolo raggio di luce. Tom deve ammettere che sono davvero belle.
«Quest’anno abbiamo deciso di riproporre una versione aggiornata della rappresentazione che facciamo di solito. Probabilmente, però, la maggior parte di voi è qui per il ruolo di comparsa finale, giusto?»
Qualcuno annuisce, qualcun altro risponde ad alta voce. «Bene, se siete qui è grazie a Timothée e Anna che hanno pensato quest’anno di coinvolgere più studenti. Brillantemente, aggiungerei» dice guardando i due ragazzi umani che si trovano ai due lati del gruppo di cinque persone. «Quindi lascio la parola a loro».
Anna Denver, una ragazza della sua età, fa un passo avanti e con un grande sorriso li ringrazia di essere lì. «Sappiamo che molti di voi hanno già altri club a cui partecipare, per questo non vogliamo rubarvi troppo tempo. Sarà sufficiente vederci un paio di volte per farvi capire il tempo di entrata ma non dovrete fare molto altro, quindi poi sarà richiesta la vostra presenza solo alle prove generali. Nonostante questo, se qualcuno di voi ha intenzione di aiutarci con l’allestimento dello spettacolo, può venire da me alla fine di questa riunione così ne parliamo».
Tom si volta verso Zendaya che lo fulmina con lo sguardo. «Non azzardarti, io ho già il club di letteratura».
«Va bene, ma tu dici che io devo iscrivermi? Per stare con Timothée intendo».
«Credo tu faccia meglio a chiedergli direttamente se vuole uscire con te», risponde Zendaya senza guardarlo.
«Ma non ci conosciamo neanche!»
«Per questo gli chiedi di uscire», risponde semplicemente Zendaya.
Tom rotea gli occhi e sbuffa piano, per non farsi sentire.
«Bene, a questo punto possiamo iniziare a dividere le parti tra coloro che parteciperanno alla rappresentazione. Tutti gli altri possono andare. Vi chiediamo solo di passare da Anna se volete anche aiutarci dietro le quinte oppure da Timothée per lasciare il vostro nome e un recapito così sappiamo come contattarvi in caso ci siano avvisi».
Tutti si alzano e iniziano ad andare chi da un rappresentante chi da un altro. Tom ferma Zendaya che si era già alzata per andare da Timothée.
«Che c’è?»
«Andiamo per ultimi»
«Vai tu per ultimo, così ci puoi parlare da solo», propone Zendaya picchiettandosi la tempia con un dito.
Tom la guarda con gli occhi sgranati. «Mi vuoi abbandonare?»
«Ma dai, te la caverai benissimo», dice dandogli una piccola spinta alla spalla. Tom suppone che un po’ lo faccia perché lo pensa davvero, un po’ perché davvero a lei del teatro non frega nulla e già aver perso tutto quel tempo lì l’ha provata. Così decide che tutto sommato ha ragione e che è meglio andarci da solo da Timothée.
«Va bene, va prima tu io ti raggiungo dopo».
«Sì, chiamami quando torni a casa».
«Va bene. Ciao»
Tom alza una mano e la vede andare verso il banchetto dove Timothée sta prendendo i nomi delle comparse. Lo vede salutarla e poi voltarsi verso di lui, trovandolo a parlare – ovviamente per finta – al telefono. Tom ha pensato che potesse essere una buona scusa per giustificare il fatto che Zendaya sia andata a registrarsi prima di lui.
Quando sono finalmente rimasti solo gli attori della rappresentazione e il comitato studentesco, Tom si avvicina al banchetto di Timothée.
«Credevo avessi cambiato idea», dice il ragazzo sorridendogli con un angolo della bocca.
«No, no. Ero al telefono», si giustifica Tom sperando che Timothée non noti le sue ali vibrare per l’imbarazzo e l’emozione.
«A-ah. Allora qual è il tuo cognome?»
«Holland».
Tom rimane a fissare Timothée che con una calligrafia sottile e precisa scrive il suo nome su un foglio, seguita dall’e-mail che Tom gli detta subito dopo.
«Ecco, fatto».
«Timothée», lo chiama Thomas andando loro incontro.
«Mmh?»
«Puoi andare a vedere se la palestra è ancora aperta? Dove ha dimenticato il plico dei copioni lì dopo l’allenamento», dice indicando con il pollice la ragazza bionda che si occupa delle coreografie degli spettacoli.
«Certo, non c’è problema», risponde cordiale alzandosi in piedi.
«Fatti accompagnare da… Tom, giusto? Sei nella stessa classe di Dove».
«Sì, infatti», risponde Tom provando un improvviso moto d’amore verso il rappresentante che gli sta dando l’opportunità di stare finalmente con lui.
«Posso andare anche da solo», dice Timothée prendendo il foglio e mettendolo nella tracolla.
«Per me non è un problema», si affretta ad intervenire Tom che si sente improvvisamente a tre metri da terra anche se ha i piedi ben ancorati al suolo, questa volta. Le sue ali vibrano leggermente.
«Cavolo, non pensavo fosse così tardi», dice Timothée cercando di aprire la porta della palestra. «Il professore deve essere già andato via».
«Aspetta».
Tom ruota attorno all’edificio, aiutandosi con le ali dopo un paio di passi per darsi la spinta. La porta laterale della palestra solitamente rimane aperta perché è rotta.
«Ed infatti ancora non l’aggiustano», dice tra sé e sé.
«Ehi, Timothée, vieni qui», lo chiama Tom uscendo dall’angolo che ha girato prima.
Timothée lo raggiunge a piedi dopo pochi istanti. «Che c’è?»
«La porta laterale resta sempre aperta perché è rotta. Possiamo entrare da qui», dice spingendo piano con le ali che lo accompagnano nel movimento. «Et Voilà», dice facendosi da parte per farlo entrare.
Il viso prima serio di Timothée si apre in un sorriso appena trattenuto, finché non scoppia a ridere. Tom rimane immobile con le ali che si aprono leggermente pronte a scattare nel caso in cui lui decida di volare via alla svelta.
«Scusa. Scusa, non volevo ridere di te» si affretta a dire Timothée cercando di contenersi. «Mi ha fatto solo ridere che te ne sei uscito così dal nulla, sai che sono francese, sì?»
Tom piega la testa di lato. «No, non lo sapevo. Cioè, il tuo nome non è americano è ovvio, ma non pensavo fossi francese».
«Sì i miei si sono trasferiti in America per lavoro quando ero piccolo, ma sono nato in Francia»
«Eri molto piccolo?»
«Avevo quattro anni», dice Timothée dando un’occhiata agli spalti, in cerca dei copioni.
Tom lo imita, cercando i copioni un po’ ovunque e cercando di non farsi distrarre troppo dai jeans strettissimi di Timothée.
«Trovati!» esclama Timothée d’un tratto sventolando i copioni verso Tom che lo vede irrigidirsi per un attimo quando nota che è a mezz’aria.
Immediatamente scende con i piedi per terra. Spesso gli umani lo guardano impauriti, incuriositi o semplicemente male quando usa le sue ali. Di solito non ci fa caso, ma quello che lo guarda stranito al momento è Timothée, e lui ha la netta sensazione di aver già visto quella scena, il viso così serio e la bocca tesa. Nel momento in cui si ricorda di averlo visto così nella sua mente durante il suo volo di venerdì scorso è anche quello in cui si affretta a mettere da parte il suo orgoglio di alato – che in un’altra situazione gli avrebbe consigliato di continuare a volare – e scende.
«Ogni tanto mi viene spontaneo», si giustifica.
Perché poi? Non ha fatto nulla di male.
«Non c’è nulla per cui ti debba scusare», risponde Timothée serio ma distaccato. «Allora grazie, Tom. Adesso riporto questi a teatro. Tu va pure».
Tom si sente improvvisamente a disagio, le sue ali si muovono come a volersi liberare di quella sensazione negativa. «Ehm… Sì, ok», dice seguendolo fuori dalla palestra e poi guardandolo andare verso il teatro senza voltarsi.
*
Timothée sente ancora gli occhi di Tom puntati sulla sua schiena, che sente improvvisamente più pesante del solito. Quando gira l’angolo si sente finalmente libero e tira un sospiro di sollievo.
Non deve mollare proprio adesso, ce la sta facendo. Certo avere Tom intorno non è proprio la situazione ideale considerando i suoi trascorsi ma sta cercando di cambiare e di lasciarsi il passato alle spalle, quindi si deve far forza e andare avanti.
Eppure, se lui fosse diverso avrebbe permesso a sé stesso e al pensiero di Tom di viaggiare molto più liberamente nella sua mente, invece di reprimerlo ogni volta che gli tornano in mente le sue ali e il suo sorriso impacciato.
«Ecco i copioni, Thomas», dice lasciando i copioni su una sedia. «Io torno a casa, ci vediamo domani».
«Ciao Tim, a domani», lo salutano in coro gli altri.
Timothée stringe la cintura della tracolla che porta in spalla, si è reso conto che in quella scuola la tracolla la portano soprattutto gli alti, che usano tenerla su una spalla sola. Effettivamente per chi ha grandi ali non deve essere facile infilare e sfilare le spalline di uno zaino, valuta Timothée mettendo un piede dietro l’altro.
Anche per i medio alati, in realtà, lo corregge la sua mente. Accelera il passo per arrivare il più velocemente possibile a casa e finalmente buttarsi sul letto.
Far parte del consiglio studentesco lo tiene impegnato certo, ma lo stanca anche molto. In più quella giornata è stata parecchio provante emotivamente, Timothée sente di potersi concedere almeno quella definizione nonostante l’austerità che di solito riservava a sé stesso e alle proprie emozioni.
«Ciao, mamma».
«Ciao cherie», risponde la madre dalla cucina. «Tra poco si mangia».
«Va bene, mamma» risponde Timothée salendo le scale per andare in camera sua a lasciare la tracolla e buttarsi sul letto a pancia in giù.
Affonda la testa nel cuscino sospirando e ripensa al viso di Tom quando si sono salutati. Di sicuro si è accorto che qualcosa non andasse. Sicuramente adesso lo ritiene strano, o scontroso o peggio una con la puzza sotto il naso.
Timothée si lamenta mettendosi di lato. Perché mi sto preoccupando così tanto di ciò che pensa quel maledetto pennuto?
Ricorda perfettamente che appena arrivato nella scuola nuova lo aveva notato subito, o meglio, aveva notato le sue ali. Le sue bianchissime, enormi ed ingombranti ali. Aveva visto solo un altro ragazzo avere delle ali così grandi e in generale nella sua vita aveva visto pochissimi grand’alati. Per questo all’inizio aveva maledetto il giorno in cui aveva messo piede in quella scuola e il ragazzo dalle enormi ali.
Senza che potesse accorgersene i vecchi rancori e le vecchie abitudini erano tornate a galla, dopo che aveva fatto tanto per sopire quei sentimenti si sentiva nuovamente sopraffatto dalle sue emozioni negative.
Si era fatto forza però e aveva impiegato tutta l’estate a cercare un modo per reprimere le sue emozioni o a metabolizzarle, come diceva la sua terapeuta. Aveva fatto un buon lavoro ed infatti tornato a scuola era andata molto meglio.
Aveva iniziato a tenersi occupato e farsi nuovi amici, le cose stavano andando così bene che era stato lui stesso a proporre di aggiungere Tom alla rappresentazione. Era il modo per dimostrare a sé stesso che ce l’aveva fatta, che aveva sconfitto i pensieri bui. Ed era anche il modo che aveva scelto per chiedere tacitamente scusa al ragazzo con le grandi ali, per averlo insultato mentalmente per i primi mesi che si trovava nella scuola.
Ovviamente non aveva immaginato che Tom fosse così… Tom. O che avesse la capacità attirare la sua attenzione non solo per le sue ali.
Timothée mette a tacere la sua mente, al momento non ha voglia di rispondere all’insistente domanda che lo costringe a pensare più del necessario al suo stato d’animo.
I giorni successivi passano veloci e pieni di cose da fare per il comitato studentesco. Ogni giorno c’è qualcosa da aggiustare e qualcos’altro che si rompe. Il palco è un casino e ci sono da organizzare le altre attività per la festa di primavera, come se lo spettacolo non fosse già abbastanza.
Se non altro, grazie a tutto questo, Timothée non ha tempo e forza per fermarsi a pensare a Tom o a come gli sorride ogni volta che lo guarda e lo saluta oppure a come le sue ali siano candide e bianche come le vette delle montagne innevate, o come odia il fatto che la sua mente raccolga tutte queste informazioni proprio su di lui senza che lui lo ordini.
Su mille ragazzi presenti a scuola, su di lui proprio non avrebbe voluto fissarsi eppure più passano i giorni più si rende conto che Tom ha il sorriso gentile e gli occhi dolci e lui odia immensamente la voce che gli sussurra tutte queste cose giornalmente.
È impegnato in uno dei suoi discorsi con sé stesso quando sente una voce famigliare venire da dietro la sua schiena.
«Ciao, Timothée».
Timothée si volta di scatto e ci mette un po’ a rispondere dopo che si rende conto di chi sia ad averlo chiamato. «Ciao, Tom. Come va?»
«Tutto bene», risponde il ragazzo con le ali che non stanno ferme un attimo.
Ma non si stanca mai?, pensa valutando che effettivamente le sue spalle sono molto larghe così come la schiena e che magari è dovuto proprio a tutto quel movimento da sostenere. Inconsapevolmente si stringe tra le sue spalle invece piccole e minute, nonostante sia di un anno più grande del ragazzo davanti a lui – in quei giorni in cui aveva cercato di tenerlo fuori dalla sua testa era finito per informarsi su vari aspetti della sua vita, non ultima l’età e le cose che amava fare.
«Tu?» chiede Tom con un sottile imbarazzo che lo fa intenerire un po’.
«Bene anche io, un po’ stanco per tutte le attività del comitato. Hai bisogno di qualcosa?»
«Ehm… Sì, cioè no. Cioè volevo solo salutarti»
Timothée rimane per un attimo senza parole, sbatte per un paio di volte le palpebre e poi risponde: «Oh», con il cuore che sussulta appena e una stretta leggera allo stomaco.
«E chiederti se ti va di venire a bere qualcosa con me dopo la scuola. Se non hai da fare con il comitato, ovvio», si affretta a dire alla fine.
Timothée rimane per un attimo senza parole. La sua mente diventa presto un guazzabuglio di idee che gli urlano cosa fare o meno.
Una gli dice di fuggire. Un’altra di rispondere di no. Un’altra lo prega di dire di sì e un’altra ancora è sotto shock e non dice nulla, esattamente come lui in quel momento. Finalmente si riprende e senza che abbia scelto razionalmente quale voce far vincere, annuisce.
Tom si apre in un sorriso enorme. «Davvero? Cioè, è un sì giusto?»
Timothée sorride per il suo modo di fare leggermente infantile. «Finisco tra una mezz’oretta. Mi aspetti?»
Anche lui è leggermente sorpreso della sua risposta, non che non sia più che consapevole dell’effetto di Tom su di lui, però non pensava che si sarebbe permesso davvero di uscire con lui, o meglio, non credeva affatto che lui avrebbe trovato il coraggio di chiederglielo nonostante facesse di tutto per evitarlo.
«Certo. Certo che ti aspetto, se vuoi ti aiuto anche», dice Tom con un trasporto che gli scalda il cuore e lo fa sorridere.
«Va bene. Dobbiamo portare questi cartelloni in teatro», dice affidandone un po’ a Tom che li prende allargando le ali grandi e possenti.
Una minuscola parte dell’animo di Timothée si spegne ma lui decide di non farci caso perché tutto il resto del suo corpo sembra volare ad un centimetro da terra adesso che è accanto a lui e sa che Tom non si è lasciato scoraggiare dal suo essere distaccato.
Timothée lo guarda di sottecchi di tanto in tanto, sorridendo quando i loro sguardi si incontrano. È possibile che tutti quegli anni che ha passato ad evitare gli alati e a prendere quanto possibile le distanze da loro, siano stati uno spreco di tempo. Che tutto ciò che aveva bisogno di fare era lasciare che qualcuno gli si avvicinasse?
«Conosco un bar poco distante che fa sia frullati che tè, che ne dici?», propone Tom con le piume inferiori delle ali che si muovono piano come scosse da un leggero vento che sentono solo loro, mentre escono dal teatro.
«Va benissimo», dice Timothée seguendolo verso il locale.
«Ti sei trasferito da poco, quindi?» chiede Tom una volta che si sono seduti e hanno ordinato, uno il tè l’altro un frappè.
«L’anno scorso a metà anno, all’inizio non mi è stato molto semplice ambientarmi. Arrivare in una nuova scuola ad anno già iniziato non è semplice».
Tom lo ascolta rapito, bevendo di tanto in tano il suo frappè senza mai interromperlo e Timothée si meraviglia di come riesca a parlargli facilmente di sé stesso e di come lo fanno sentire alcune cose che lui gli dice.
«Mi sono detto che se volevo ambientarmi nella nuova scuola avrei dovuto fare io un passo avanti e così ho iniziato a fare amicizia e a farmi notare a quanto pare, visto che a dicembre mi hanno eletto come quinto membro del comitato studentesco».
«Mi meraviglio di non averti mai visto», valuta Tom e Timothée non capisce se sta parlando a sé stesso o a lui. «Forse non ci siamo proprio incrociati, altrimenti mi sarei di sicuro ricordato di te»
Timothée sente di nuovo una leggerezza nel petto che sembra farlo librare in aria come non gli succedeva da un po’ di tempo. Le parole di Tom sembrano sincere e non sono per nulla smielate ed il fatto che le pronunci guardandolo dritto negli occhi, con quel sorriso confortante acuisce la sensazione di volare a centimetri dal pavimento.
Tom lo guarda improvvisamente imbarazzato, forse si è reso conto delle implicazioni di ciò che ha detto e si affretta a cambiare discorso.
«Ti manca mai la Francia?»
Timothée rimane interdetto per il cambio repentino di argomento ma si affretta a trovare una risposta. «Mi manca il me stesso che viveva in Francia».
«Da bambini siamo sempre più felici», valuta Tom prendendo un altro sorso dal bicchiere enorme.
«Già. Tu invece sei sempre vissuto qui?»
«Un vero cittadino di Aletonia, nato e cresciuto qui», risponde Tom. «Anche se… ti posso confessare una cosa stupida?»
Timothée si fa attento e incuriosito. Il tono che ha usato sembra il preludio di un segreto.
«Ti è mai capitato di pensare di appartenere ad un altro posto?» comincia Tom con la voce bassa e gli occhi che puntano sul tavolo dove sta giocherellando con un pezzo di carta. Le ali sono basse e tendenzialmente ferme, per una volta.
«Ti è mai capitato di non sentirti davvero te stesso e di aver avuto in dono una vita che in realtà non è la tua, nella quale non potrai mai esprimerti a pieno ma non sai come cercare il posto cui appartieni, non sai neanche se esiste o se davvero potrai mai farne parte e tutto ti urla che è un enorme cavolata?»
Le ali Tom hanno iniziato a vibrare vistosamente man mano che proseguiva con il suo discorso. Timothée cerca di stargli dietro e contemporaneamente di mettere a tacere quell’unico punto buio della sua coscienza che sembra voler richiedere proprio ora la sua parte di attenzione.
«A volte sento che questo non sia il mio posto. Che le mie ali enormi non siano fatte per questi luoghi, che dovrei andarmene ma non in un altro luogo. Proprio in un altro tempo. Quando gli alati vivevano al nord, tra le montagne e non c’erano restrizioni sul loro volo», finisce Tom alzando solo in quel momento lo sguardo.
Timothée rimane senza parole, cercando di reprimere le sensazioni che cerca di mettere a tacere da anni e che adesso sembrano voler prendere di nuovo il sopravvento su di lui. Prende un respiro profondo e mette a tacere tutto.
«Scusami, se mi sono messo a vaneggiare», si affretta a dire Tom come se si fosse reso conto solo in quel momento delle parole che ha pronunciato.
Forse si è accorto del suo viso, forse sta capendo i suoi pensieri, forse…
Timothée riprende possesso dei pensieri e nuovamente padrone di sé stesso scuote la testa. «No, è comprensibile per un alato come te».
«Ti ho messo a disagio. Non volevo tirar fuori le mie ali è che sento sempre di non poterne parlare con nessun umano ma con te ho avuto la sensazione di poterlo fare».
Timothée si sente stringere lo stomaco per mille motivi diversi. Quello su cui cerca di focalizzarsi è il modo in cui Tom ha detto che con lui sente di poter parlare. E sullo sguardo che gli ha lanciato subito dopo, quasi supplichevole. Come se abbia davvero bisogno di qualcuno che lo comprenda e lo capisca. Come se voglia con tutto sé stesso che quel qualcuno sia proprio lui.
Si sente di nuovo volare ad un centimetro di altezza da terra e sorride spontaneamente, invaso ancora una volta da quella sensazione di cui si rende conto di avere davvero bisogno. «Non mi hai messo a disagio. Mi fa piacere che tu voglia parlarne con me», dice sorridendo.
Tom si rilassa, così come le sue ali che tornano placide dietro la sua schiena a vibrare in maniera impercettibile.
Il punto buio della sua coscienza si allarga di qualche centimetro, gli stessi che lui sente di avere dal pavimento, ma si oppone e non ci fa caso. Per una volta vuole godersi una cosa bella che gli sta accadendo, senza rovinarla e senza farla divenire nera e buia.
Per una volta vuole essere felice e provare a stare di nuovo a qualche centimetro da terra.
*
È successo di nuovo e questa volta nel suo sogno c’era anche Tom, era lontano, un’ombra nel buio che non lui non poteva raggiungere e che non riusciva a sentirlo.
Quel giorno Timothée si è tenuto alla larga da tutti, anche e soprattutto Tom, finché finalmente la scuola non è finita ed è potuto andare più velocemente possibile al suo incontro abituale con la psicologa.
La dottoressa Malcolm ha lunghi capelli ricci e neri che le ricadono sulla schiena morbidi. È un’umana, come avevano ritenuto fosse meglio per lui e per la sua situazione i genitori. Timothée era stato d’accordo.
Si muove sulla comoda sedia all’interno dello studio privato della dottoressa mentre racconta il sogno che lo ha spaventato quel giorno, quantomeno per la novità di vederci Tom dentro.
«Quando l’ho visto nel sogno, mi sono sentito sollevato perché ho pensato che finalmente avrebbe potuto aiutarmi, anche se era solo nel sogno, capisce?»
La psicologa annuisce comprensiva, incoraggiandolo a proseguire.
«Quando mi sono accorto che non mi sentiva e non si avvicinava mi sono sentito peggio di prima. Ero devastato per… per… - Timothée non riesce a dire quella parole e prosegue, consapevole che la dottoressa lo avrebbe capito – e per il fatto di essermi illuso che lui avrebbe potuto salvarmi. Mi sono svegliato in preda al panico e… e…», Timothée si ferma con lo sguardo febbrile che va da una parte all’altra senza guardare nulla.
«Timothée, lasciarci avvicinare dalle persone è sempre una cosa che causa timore e spavento, ed è giusto sentirsi così».
«Sì, ma capisce? Io non me lo posso permettere e se lui si avvicinasse e rimanesse bruciato? O peggio se lui mi vedesse per come sono e non sopportasse la mia vista? Cosa potrei fare? Cosa mi rimarrebbe?»
«Se invece proibissi a te stesso di avvicinarti a lui, cosa perderesti? È questa la domanda a cui devi rispondere».
Timothée esce dallo studio ancora scosso, stringe forte la mano attorno alla cintura della tracolla e a passo svelto si dirige verso casa.
Ripensa alle parole della terapeuta e al terrore che ancora prova. Sa che non dovrebbe lasciarsi abbattere dalla paura di essere rifiutato e che la paura che sente è un sentimento come un altro e non deve lasciargli prendere il sopravvento. Ci ha lavorato per mesi ed è quasi riuscito a ridimensionarlo e a tenerlo a bada.
Lentamente e a fatica ci stava riuscendo anche con Tom, ma quel sogno lo ha inquietato davvero ed ha incrementato il punto oscuro che sente nel suo animo.
Il cellulare vibra nella sua tasca posteriore. Lo prende e legge un messaggio di Tom che gli chiede come sta e se fosse successo qualcosa.
È il solito messaggio preoccupato di Tom che lo fa sentire importante e protetto. Un po’ della paura di poco prima si affievolisce e risponde rassicurandolo. Glissando su tutto ciò che è successo e sui pensieri che gli affollano la mente, semplicemente li mette a tacere, annegandoli nel suo animo, in un posto buio e lontano dalla sua vista e dalla sua attenzione.
Senza che possa rendersene conto il punto buio e oscuro dentro di lui diventa ogni giorno più grande.