Mar. 21st, 2020

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Fandom: Originale
Warning: from enemies to lovers
Prompt: M5, Potius sero quam numquam

Questa storia partecipa al cowt10 di Lande di Fandom



«Posso sapere perché ce l’hai tanto con me?» chiese nel silenzio più totale Maser.

Reyka si limitò ad alzare un sopracciglio e a far schioccare la lingua, per poi rigirarsi con lo sguardo fisso nel buio dinanzi a lei.

«Sono serio. Non capisco perché tu ce l’abbia con me. Non ho fatto nulla per meritarmi…»

«Mi stai sul cazzo e basta» sbottò.

«Quindi ce l’hai con me perché ti sto su una parte del corpo che nemmeno hai. Molto maturo da parte tua»

«Come fai a sapere che non ce l’ho»

Maser sogghignò maliziosamente. «Non dovresti fare il bagno nei laghi»

«Coglione» sputò assestandogli un pugno sulla spalla. «Sei davvero un coglione» un altro pugno. «E mi chiedi anche perché mi stai sul cazzo» caricò il colpo a mano aperta ma non andò a buon fine. Una mano grande e forte le aveva fermato il braccio prendendola per il polso.

«In faccia no» sorrise il ragazzo con un’ombra strana negli occhi, senza mollare la presa.

«Lasciami» cercò di divincolarsi, strattonando il braccio, ma la presa era troppo stretta e si stava solo facendo male.

«Se ti lascio mi prometti di non tirarmi uno schiaffo in faccia?»

«Se non mi lasci subito ti arriva un calcio in mezzo alle gambe» sibilò.

«Lo prenderò per un “no”» e per buona misura incatenò le gambe a quelle di lei impedendole di muoversi.

Reyka cercò nuovamente di liberarsi, invano. D’un tratto buttò indietro la schiena, cercando in questo modo la forza necessaria a liberare almeno il poso, ma si ritrovò distesa a terra con il polso ancora imprigionato, così come le gambe, e Maser addosso. Erano così vicini che poteva sentire il suo respiro sulle labbra, la fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco ricominciò a farsi sentire. Il ragazzo la guardava dritto negli occhi, senza battere ciglio. I suoi occhi di pioggia si strinsero e con un sorriso pieno e sincero, che fece sobbalzare il suo stomaco già in subbuglio, sussurrò un «Sei davvero bella, Reyka».

Il suo nome detto da lui sembrava diverso, aveva una sonorità strana, qualcosa che le fece venire i brividi. Voleva opporsi, voleva toglierselo di dosso e mandarlo a quel paese un’altra volta. Ma a cosa sarebbe servito? Sapeva che non era davvero ciò che desiderava, sapeva che in realtà anelava un contatto con quelle labbra dal primo momento in cui le aveva viste e voleva affondare le dita tra i ricci ingarbugliati per tenerlo stretto a sé il più possibile.

Maser dovette intuire che le sue difese si stavano abbassando, perché delicatamente prese ad accarezzarle una guancia con il pollice. La sua mano era calda e ruvida. Reyka continuava a fissarlo, non riusciva a togliere gli occhi dai suoi ora che li aveva così vicini.

Si sentì bloccata in quel momento per una vita intera, come se da quando si erano conosciuti erano sempre stati bloccati in quella situazione: immobili a guardarsi negli occhi senza che nessuno avesse il coraggio di fare nulla.

Con lentezza assoluta, tanto che Reyka avrebbe potuto giurare che non si stesse muovendo affatto, Maser iniziò a farsi avanti, senza mai distogliere gli occhi color della pioggia dai suoi verdi come i prati di primavera, e finalmente, senza che nessuno dei poté trovare le forze per interrompere ciò che stava accadendo, si baciarono come avrebbero voluto fare dalla prima che si erano visti.

Reyka sentì le sue membra vibrare tutte insieme e la necessità di abbracciarlo e baciarlo con passione come se tutto quel temo a stuzzicarsi e a odiarsi fosse servito ad acuire fino allo sfinimento il bruciante desiderio.

Maser la ricambiò allo stesso modo, accarezzandole i capelli e beandosi delle labbra piene, morbide e dolci che finalmente era riuscito ad assaggiare.

Dopo minuti che sembrarono ore si staccarono con il fiato corto e gli occhi ancora allacciati.

«Non pensavo ce lo saremmo mai permesso»

«Meglio tardi che mai», replicò Maser ricominciando a baciarla teneramente come a godersi ogni singolo contatto.

Reyka non si poté trovare più d’accordo. Adesso che si era permessa di abbandonarsi al tocco di Maser non se ne sarebbe mai più privata per sua volontà ed esattamente come aveva detto Maser, nonostante il tempo perso era molto, sempre meglio tardi che mai.

 

 



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Fandom: Originale
Warning: hint!torture
Prompt: M5, Semper idem

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Arya è chinata davanti la figura che ha tutta l’aria di essere chiunque meno che Ruth. Tanto per cominciare non ha la presenza piena di Ruth, che spesso sembra riempire qualsiasi luogo in cui si trova senza fare alcunché.

Quella che ha davanti è la figura rannicchiata ed esigua di qualcuno che vuole sparire dal mondo, niente a che vedere con la Ruth che conosce lui.

In secondo luogo, sembra emanare un fitto odore di morte e disperazione che Vault non le ha mai sentito addosso, nemmeno nei momenti più bui.

Eppure, Arya continua a ripetere come una cantilena il suo nome, pregandola di tanto in tanto di svegliarsi e Vault sente la necessità di dirle che quella non è la loro amica, non quella che li ha convinti tutti a partire per quella missione, non quella che ha continuato a tenerli insieme anche quando Caleb e Beryl li avevano lasciati.

«Non abbiamo tutto il giorno!» interviene Jefeo agitato e con la voce piena di urgenza. «Dobbiamo caricarcela…»

Non appena Vault percepisce Jefeo e Tommeus farsi avanti per prenderla, dal mucchietto di ossa dinanzi a lui si leva un mugolio appena accennato e Ruth si muove appena accompagnando il suono.

Arya si porta istintivamente le mani alla bocca, rilasciando un «Cosa ti hanno fatto» sottile e terrorizzato.

La paura sembra passare dalla ragazza a lui e sente gli organi imprigionati tutti in una morsa di terrore che non pensava avrebbe potuto mai provare in una situazione del genere.

Fa un passo avanti in modo da scorgere ciò che l’altra ha davanti agli occhi. Da sopra la sua spalla scorge il volto emaciato e livido di Ruth ed il cuore gli si stringe dolorosamente nel petto.

Non sono tanto le labbra tumefatte e spaccate, né gli occhi cerchiati di nero a sconvolgerlo ed attirare la sua attenzione, quanto piuttosto le due ferite che le tracciano il viso dall’alto verso il basso.

Dai suoi occhi calano come lacrime di sangue due graffi profondi che passano accanto gli angoli della sua bocca e finiscono sul mento. Sono di un rosso acceso e quasi innaturale soprattutto per il buio e l’oscurità della cella.

Vault trattiene il fiato senza riuscire a formulare alcun pensiero se non quello ovvio e martellante che nel suo cervello sembra sbattere da una parete all’altra creando un’eco spettrale: il marchio di Pheles.

«A…» la sente rantolare, ma i suoi occhi sono spenti e distaccati e Vault si sente avvilito e impotente come mai.

«Ci siamo noi, non preoccuparti. Ci pensiamo noi», continua a ripeterle Arya, accarezzandole la testa piegata verso di lei.

Tommeus e Jefeo la liberano e Ruth si lascia trascinare come Vault non l’aveva mai vista fare. Non l’ha mai vista completamente abbandonato al volere e alle mani di nessuno, di solito sono gli altri che si fanno trascinare da lei.

Vault invece rimane in disparte, come escluso da ciò che sta accadendo. Questo perché continua ad isolarsi dagli altri e fare terra bruciata attorno a lui e anche adesso che vorrebbe fare qualcosa per la ragazza davanti a lui invece è l’unico che non sa che fare e che non sa come comportarsi, come sempre.

Tutto ciò di che riesce a fare è notare che i loro sguardi non si incrociano mai, non sa neanche se Ruth si è accorta che c’è anche lui in quella cella umida e buia, se sa che anche lui è andato a salvarla per ripotarla alle persone cui appartiene.

Escono tutti dalla cella e velocemente Jefeo si prepara per trasportarli tutti di nuovo al campo.

È arrabbiato e terrorizzato come non si è mai sentito prima e l’ultimo pensiero che gli attraversa la mente prima che lascino la cella è la tacita promessa di radere al suolo quel luogo che ha fatto del male ad una delle poche persone importanti della sua vita.

Non dà peso al pensiero che si insinua subdolo tra le sue tempie, che gli sussurra che anche in quell’occasione si sta comportando come sempre, cioè facendo promesse vane e vuote al suo io, come a voler tenere a bada il senso di colpa.

 

 

Atterrano nel campo che hanno allestito e protetto grazie agli incantesimi di Jefeo. Tommeus non perde neanche un secondo e aiuta Arya a trascinare Ruth nella tenda che hanno montato prima di partire, mentre Jefeo si accascia esausto esattamente dove sono arrivati con l’incantesimo di migrazione.

Si tiene il petto all’altezza del cuore stringendo le dita attorno la maglia di lino grezzo che indossa, mentre la bocca è aperta nell’atto di prendere più aria possibile.

Si china accanto a lui istintivamente ma blocca a metà la mano che sta andando a poggiarsi sulla sua spalla, ricordandosi improvvisamente che Jefeo odia essere avvicinato quando è in quello stato.

Così ferma il gesto e dopo un attimo con un fil di voce gli chiede se ha bisogno che lui faccia qualcosa. L’amico scuote la testa.

Lascia cadere lo sguardo verso il basso, frustrato ed emotivamente sfinito. È stato un giorno lunghissimo per tutti ma lui si è rivelato inutile, come sempre.

 



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Fandom: Originale
Warning: Dialogo
Prompt: M5, Vivas ut possis, quando non quis ut velis.


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«La verità è questa» inizia sbuffando «avremo tutti una vita di merda e non solo. Per riuscire ad averla dobbiamo anche farci il culo. La felicità te la insegnano da piccolo, quando ti dicono di concentrarti sulle cose belle e ti nascondono quelle brutte. Ecco forse è proprio questa la felicità, non vedere le cose negative che accadono ogni giorno, fare finta che non esistano, ignorarle, vedi un po’ tu. Il punto è che devi eliminarle dalla tua mente e dai tuoi occhi, non importa come ci riesci, e poi devi andare avanti per la tua strada e non permetterti mai e poi mai di soffermarti sullo schifo che ti circonda. Se ci ricaschi è un attimo, tutto torna ad ingrigirsi. Devi far fuori tutta la merda che hai intorno e nasconderla sotto al tappeto se necessario e non alzare mai e poi mai il tappeto.

A te lo avevano insegnato, a non guardare sotto al tappeto. Nel modo migliore, per giunta. Ti avevano messo davanti agli occhi un’illusione, milioni forse. Ti avevano detto che era la realtà, ti avevano fatto credere di essere forte perché riuscivi sempre ad andare avanti. In realtà andavi avanti perché non vedevi quanto facesse schifo. Non eri forte, eri solo felice.

Poi, non so perché in realtà, hai iniziato a stracciare il velo che ti copriva gli occhi. Te la sei andata a cercare. Volevi capire, apprendere – ride amaramente – ma non hai capito la cosa più importante, che non c’è ritorno dalla verità. Una volta che guardi al di là del velo sei costretta a viverci.»

Lei lo guarda senza parlare e senza fiatare.

«Lo so cosa stai pensando. Non te ne sei accorta all’inizio, avevi ancora davanti agli occhi tutta quella luce, tutta quella bellezza, la sicurezza. Hai pensato di poterlo rimettere a posto lo schifo che ti circondava, ma sai cosa? Non puoi rimettere a posto una cosa che è nata già così. Non puoi cambiare qualcosa che è stata creata apposta per essere così. Sarebbe come voler cambiare il corso della terra attorno al sole, oppure lo scorrere del tempo. Non puoi farlo. Puoi solo accettarlo.

Sai quando ti ho vista la prima volta avevo capito già a che punto ti trovi. Sei nel bel mezzo dello schifo, vedi in fondo quella piccola luce che ti dice che andrà bene ma in realtà hai già capito che non esiste. È un miraggio. Lo crea la mente quando inizia a delirare per il caldo e la mancanza d’acqua. In questo caso lo crea per la sofferenza. Siamo esseri che tendono a rifuggire il dolore. La nostra mente in questo modo pensa di poterci alleviare le pene. Forse, però, solo chi ha provato cosa vuol dire illudersi su sé stessi può capire la sofferenza che si prova nel constatare che sono tutte menzogne e che avremmo di gran lunga preferito rimanere a soffrire e assuefarci al dolore che vederlo alleviato per un periodo finito, tornando a risoffrire nuovamente.

So che lo hai capito, perché non sei stupida, nonostante ultimamente hai desiderato di esserlo. L’intelligenza è stata la ricompensa che hai avuto in cambio della felicità. Ed hai capito, anche se troppo tardi, che l’intelligenza è un’arma a doppio taglio. Nel momento stesso in cui la prendi in mano ti tagli. Perché l’intelligenza non serve a nulla se non hai tutto il resto a farti andare avanti. Non serve a niente se non hai dei guanti a proteggerti le mani dalla lama che non prevede impugnature.

L’intelligenza ti farà sanguinare finché non avrai più neanche una goccia che ti scorra nelle vene. È la maledizione che dobbiamo accettare per aver cercato di capire e conoscere più di quanto ci è stato concesso. Qualcuno direbbe che è Dio stesso ad avercela mandata, ma tu sai perfettamente che Dio è uno di quei miraggi che si mettono in fondo alla strada buia e ti promettono la luce. È creato solo dalla paura e dall’istinto a rifuggire la sofferenza: se non possiamo annientarla qui che almeno ci sia qualcosa al di là di tutto questo in cui non potremo soffrire. È una bella menzogna non trovi? Credere che la sofferenza possa non esistere è una delle più grandi illusioni della nostra specie.»

«So che non esiste la felicità, l’ho capito. Esiste l’accontentarsi al massimo e comunque non è concesso a tutti. Ma c’è una cosa che non mi è chiara, se la sofferenza è la verità e se non esiste nient’altro perché ogni volta che tento di accontentarmi di una vita mediocre, fatta su misura per me, normale e monotona sento ogni cellula del mio corpo piangere. Sento una sofferenza dentro immane e qualcosa che urla di non soffocarla e nonostante io ci provi sempre, costantemente, nonostante le tolga aria, nonostante tanti di ucciderla quella continua a urlare di non soffocarla. Se morisse non soffrirebbe più. Invece non si arrende, continua a soffrire. Se rifuggiamo tutti naturalmente la sofferenza perché questa voce dentro me non mi abbandona e non se ne va? Smetterebbe di soffrire»

La guarda per qualche istante e poi prendendo una boccata di fumo riprende a parlare, sorride appena, solo con un angolo della bocca. «Ti è toccata la cosa peggiore. Quella voce che senti dentro di te è un’illusione che ti vive dentro. I più fortunati, tra gli infelici, sono abitati da illusioni deboli, che si esauriscono naturalmente. Le illusioni forti di solito abitano chi è felice e vive la sua vita senza guardare al di là del velo.

C’è però una terza categoria di cui tu fai parte. Quella di coloro che sono al di là del velo e hanno illusioni forti. È probabile che tu l’abbia alimentata così tanto mentre eri giovane che ora abbia preso vita propria e residenza dentro di te. Non puoi liberartene facilmente. Le devi corrompere le illusioni.

Le anneghi di alcol, le soffochi di fumo, le stordisci con le droghe, oppure le illudi a loro volta.

Devi convincerle a lavorare a qualcosa. Devi metterle al tuo servizio ed usarle, non farti usare da loro. Solo in questo modo potrai riuscire a trovare una strada.

Ah! Un’altra cosa! Ti illudi ancora di fandonie. Nessuno ha una strada prestabilita che ci viene data a prescindere. Chiunque deve farsi il culo. Sia i felici sia chi è oltre il velo. Questo vuol dire, mia cara, che dal momento in cui sei qui, tra noi curiosi, devi farti il culo per cercarti una strada che non sia già occupata, che tu possa raggiungere con le tue gambe e continuare a percorrerla.

Quindi, sì, è esattamente come stai pensando. Non puoi avere la vita che vuoi, devi accontentarti di ciò che hai. Devi farti il culo per costruirti una vita di merda».

 



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