Soar (Capitolo 1)
Mar. 29th, 2020 08:02 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Warning: Wing!fic, Highschool!AU, Slash
Prompt: M6, Gloriose ali spiegate
Questa storia partecipa al cowt10 di Lande di Fandom
Tom si sveglia di soprassalto, sbattendo prepotentemente le grandi ali che lo portano a qualche centimetro dal letto, ricadendo poi sul materasso con un verso stanco e il gomito che va a coprire gli occhi.
Con l’atra mano spegne la sveglia martellante e per buona misura si rigira ancora nel letto.
«Tom, muoviti. Farai tardi», la voce di sua madre gli arriva attutita dal piano di sotto insieme ai rumori della cucina.
Avrebbe fatto volentieri a meno di alzarsi se non avesse sentito l’odore dei pancake di sua madre che lo attirano come il nettare con le api. Le ali gli danno un’altra piccola spinta ed è finalmente in piedi. Con gli occhi mezzi chiusi si lava e si veste e poi finalmente scende.
«Buongiorno, ma’».
«Buongiorno», risponde sua madre con un grande sorriso e due pancake che cadono caldi ed invitanti nel suo piatto.
«Che fame», dice prima di addentarne uno dei due infilzandolo tutto intero con la forchetta e mangiandolo direttamente.
«Tom, mangia con calma», dice la madre senza voltarsi.
Tom mugugna una specie di assenso che ovviamente non segue. Sua madre ha piccole ali marroni sulla schiena, sono piumate come quelle di Tom ma più discrete. Le sue invece sono di un bianco candido interrotto solo da alcune radici di poco più scure. Questo lo costringe a prendersene cura come nient’altro nella sua vita. Le lava tutte le sere prima di andare a letto, passandoci sopra un unguento fatto a posta per detergerle senza aggredirle. Lo fa sin da quando hanno perso il piumaggio infantile, cinque o sei anni fa, assumendo più o meno l’aria che hanno adesso che ha sedici anni. Ormai si sono quasi stabilizzate, come Tom spera. Anche se sa per certo che a molti alati hanno continuato a crescere sino a ventun anni, ad altri addirittura a ventitré.
Nonostante ami le sue ali come niente in vita sua, deve ammettere che grandi come le sue comportano non pochi fastidi. Prima di tutto ha bisogno che tutto sia fatto su misura. Difatti casa sua è stata progettata apposta per contenere un alato di grandi dimensioni. Quando i suoi si sono resi conto del problema gli hanno ceduto la loro stanza matrimoniale, spostandosi in quella che era prima di Tom.
Nessuno di loro due, benché siano alati entrambi, ha le ali dei grandi alati come lui. Suo padre gli dice sempre che ha ripreso la stazza da quelle di suo nonno, che erano grandi e forti esattamente come le sue. Lui invece ha ereditato quelle della madre, la nonna di Tom, che sono ali medie, come anche quelle della moglie.
Per uno come lui senza grandi talenti sportivi, né un’intelligenza particolare, le grandi ali rappresentano la sua stessa identità, il suo essere e ciò che lo rende pienamente sé stesso: un grande alato.
«Un grande alato che è terribilmente in ritardo», commenta sua madre.
Deve aver pensato di nuovo ad alta voce, valuta Tom alzando gli occhi al cielo e dandosi una spinta sopra le scale per andare a prendere la sua roba.
La scuola che frequenta si trova a pochi chilometri di distanza da casa sua. Come tutti gli alati sedicenni Tom non può ancora volare alto, però è concesso loro di spostarsi usando le apposite corsie di volo rasoterra, in questo modo riesce ad essere a scuola sempre un minuto prima che la campanella suoni.
«Un giorno non ti faranno entrare se continui ad arrivare sempre sulla campanella», valuta Zendaya, la sua vicina di banco, nonché migliore amica. È un’alata anche lei, forse per quello è una delle poche che sopporta di avere le ali ingombrati di Tom sempre tra i piedi. Capisce le sue difficoltà, o forse lo sopporta perché gli vuole bene e sa quanto le sue ali siano il suo più grande orgoglio e cordoglio al tempo stesso.
Nonostante gli alati siano la metà della popolazione mondiale, i grandi alati non sono che una minuscola percentuale di questi, perciò non tutte le strutture sono attrezzate per questo problema. C’è chi dice che si estingueranno presto, considerando che sono rimasti in pochissimi. Nonostante questo, le porte sono spaziose abbastanza affinché Tom ci passi senza troppi problemi, gli basta stringere le ali dietro la schiena per qualche istante, mentre i banchi non sono abbastanza spaziosi per lui. Per questo avere accanto Zendaya alla quale non importa che lui invada di tanto in tanto – diciamo anche per buona parte della giornata scolastica – il suo spazio vitale è una vera fortuna.
Il professore di storia entra con il solito passo strascicato, posa la borsa da lavoro sulla scrivania ed accende la lavagna elettronica. È un umano giovane rispetto agli altri professori, con i capelli che tendono leggermente al grigio topo e degli occhiali sottili senza montatura ben calcati sul naso dritto.
«Bene, ricominciamo da dove ci eravamo lasciati la scorsa volta. Breslin, ce lo vuole dire lei?»
Abigail alza la testa dal banco e ruotando la matita tra le dita inizia: «Sì, professore. Siamo arrivati a studiare la prima alleanza tra alati e umani che è avvenuta intorno al Trecento se non sbaglio…»
«Trecentodue, continua pure»
«Sì, a seguito della discesa degli alati dal nord al sud»
«Sì esatto. Bene, dopo la discesa come abbiamo detto l’altra volta, le cose non furono semplici per la convivenza. Gli umani erano restii ad accettare degli uomini che ai loro occhi sembravano più simili ad animali o creature extra terrene. Per molti anni la popolazione si è divisa tra coloro che credevano fossero delle bestie e coloro che credevano fossero degli angeli mandati dal divino. Solo alcuni anni dopo, il grande scienziato Leonardo da Vinci, dimostrò che gli umani e gli alati fanno parte della stessa identica popolazione, con l’unica differenza che gli alati hanno sviluppato degli arti in più a causa della conformità dei territori del nord, particolarmente impervi e per questo più vivibili grazie alle ali».
Tom ascolta quelle storie con noia e noncuranza, ormai è la terza volta che deve studiare la storia degli alati e degli umani e di come hanno capito di essere la stessa cosa, solo con differenze nella conformazione dello scheletro.
Ha perso il conto di quante volte ha dovuto studiare la storia e tutte le lotte che hanno dovuto portare avanti i suoi antenati per essere accettati come tutti gli altri. Non che Tom sottovaluti i loro sforzi, oppure quanto dura doveva essere la difficile convivenza prima degli ARIA – Accordi per la Regolamentazione e Integrazione degli Alati, stilati ormai qualche secolo fa.
Tom si perde a guardare i giardini della scuola fuori dalla finestra. È una giornata calda di fine marzo, il sole risplende placido nel cielo azzurro. Il panorama tende a conferirgli una calma serena che viene interrotta dal passaggio di alcune persone nel cortile antistante l’edificio scolastico.
È gruppetto di studenti, sia alati che umani. Tom stringe gli occhi per distinguerli anche a quella distanza. Non ne è sicuro ma dovrebbe essere il comitato dei rappresentanti di istituto.
«Zendaya», sussurra cercando di non farsi udire dal professore, il fatto che sono in ultima fila a causa delle sue ali lo aiuta nell’intento.
«Mmh?» risponde la ragazza distogliendo lo sguardo dagli appunti di storia.
«Chi è quello?»
Zendaya si sporge un po’ per vedere meglio. Il gruppetto di ragazzi ora è fermo dinanzi l’entrata della scuola e sembra impegnato in una discussione importante.
«Mi sembrano i rappresentati», valuta Zendaya.
«Sì, sì ma ce n’è uno che non ho mai visto», continua Tom.
Zendaya guarda meglio, allungandosi come può senza attirare l’attenzione del professore.
«Ah, è il nuovo rappresentante. Si è trasferito qui a metà dell’anno scorso. È riuscito in pochissimo tempo a riscuotere un sacco di consensi e ad essere nominato alle elezioni studentesche che si sono tenute questo dicembre. Quelle a cui tu ti sei rifiutato di partecipare per restare a dormire», finisce Zendaya con il tono accusatorio e lo sguardo semichiuso.
Tom la ignora, continuando a guardare il ragazzo che si passa una mano nei capelli scuri mentre parla con gli altri. Tutto ciò che riesce a valutare dalla finestra della sua aula è che è magro, ha i capelli scuri ed un umano.
«Sai come si chiama?»
«Timothée Calamaio… Calamité... Qualcosa del genere», dice l’amica tornando a prestare attenzione ai suoi appunti.
Non un nome delle loro parti, valuta Tom continuando a fissarlo insistentemente.
«Holland hai intenzione di fissare il vuoto ancora per molto o ci degni della tua attenzione?», chiede retorico e autoritario il professore.
«Scusi», dice Tom distogliendo finalmente lo sguardo ma continuando ad essere distratto.
Le lezioni finalmente terminano e Tom stiracchia le ali in cortile facendo attenzione a non colpire nessuno. Stare seduto tutto il giorno è già difficile. Stare seduto con le ali ripiegate è una tortura, ma Tom ci è ormai abituato.
Si lascia cadere a terra dando un colpo di ali che lo fa cadere piano.
«Ma non ti stanchi ad usarle sempre?», chiede Zendaya sedendosi normalmente.
«Che?»
«Le ali. Ogni tanto puoi muoverti normalmente», nella sua voce non c’è un’accusa, è una semplice domanda, volta a capire immagina Tom. Zendaya è sempre stata una persona curiosa.
«Per me questo è normalmente, perché tu non le usi?»
«Non sono abbastanza grandi per planare come le tue, cadrei di culo per terra e mi romperei qualcosa», valuta sincera con una scrollata di spalle.
Tom ride appena ad immaginarsi la scena. Si distende e guarda in alto verso il cielo. Piccoli passerotti giocano allegri cinguettando e rincorrendosi in volo. Tom si perde a guardarli. Sono piccoli, poco ingombranti e nessuno dice loro come e quando usare le loro ali.
A volte, si chiede come doveva essere la vita dei primi alati che vivevano a nord. Cosa dovesse significare volare da una cima all’altra delle montagne, ingabbiare i venti tra le piume e sorvolare i boschi e i laghi.
Di tanto in tanto, si permette di pensare che un tempo, in un’altra vita forse, era stato uno di loro. Uno dei gloriosi cacciatori che con le loro enormi ali planavano sulle pianure alla ricerca di prede per sfamare il popolo. Di tanto in tanto, si permetteva di lamentarsi del mondo così com’era, con gli alati legati a terra a vivere come se non fossero nati per attraversare il cielo. Non si azzardava mai a farne parola a nessuno, però. Neanche ad altri alati, neanche a Zendaya. Come gli insegnano a scuola, la parità e l’uguaglianza sono i pilastri sui quali si fonda la loro società e non è bene mettere in imbarazzo coloro che sono nati senza ali.
Tom sbuffa, le ali sono schiacciate sotto il suo corpo e creano una base morbida sulla quale si sente protetto e a suo agio.
«Perché sbuffi?»
«Così, pensavo».
«A Timothée?»
Improvvisamente l’immagine del ragazzo gli torna in mente prepotentemente. «Non proprio», risponde Tom.
«Bene, perché sta venendo da questa parte e sarebbe stato davvero imbarazzante se tu stessi pensando ai modi per fartelo proprio in questo momento».
«Che?» dice Tom rimettendosi a sedere con le ali che seguono il movimento e si dispiegano leggermente.
Effettivamente Zendaya aveva ragione, il ragazzo che ha visto poco prima dalla finestra sta venendo con un sorriso calmo verso di loro.
Tom valuta velocemente che è più alto di quello che gli era sembrato dalla finestra, forse qualche centimetro in più rispetto a lui. È magro e proporzionato, ha il viso affilato che termina in un mento appuntito. Il naso è dritto e ai suoi lati trovano spazio due occhi non molto grandi ma di un verde acuito dal riflesso del prato primaverile.
«Ciao», dice aprendosi in un largo sorriso quando è abbastanza vicino a loro.
«Ciao», rispondono lui e Zendaya guardando verso l’alto con i visi corrucciati a causa del sole.
«Tu sei Tom, giusto?»
Le ali di Tom sbattono un paio di volte sentendo il suo nome pronunciato dalla sua voce per la prima volta e si affretta ad annuire.
«Mi chiamo Timothée – dice allungando una mano – Faccio parte del consiglio studentesco».
Tom si limita a stringergli la mano, non trovando nient’altro di intelligente da dire.
«Per la riunione di primavera stiamo organizzando una rappresentazione teatrale dove rievocheremo il momento in cui sono stati stilati gli ARIA».
Tom alza un sopracciglio. «Io non recito», dice prima che Timothée possa chiedere altro.
«Non fa nulla, cioè non c’è bisogno che tu sappia recitare. Per la scena finale volevamo far uscire vari alati e umani della nostra scuola. Devi fare solo presenza non c’è bisogno tu dica nulla», spiega Timothée alzando le spalle.
Tom guarda Zendaya che sembra sul punto di scoppiare a ridere alla sola idea che lui possa salire su un palco a recitare.
Mettersi in mostra non è mai stato il suo obiettivo, le sue ali ci pensano già da sole ad attirare l’attenzione, ma una voce al fondo del suo cervello gli dice che potrebbe essere un buon modo per conoscere Timothée - che da vicino è ancora più bello.
«Può partecipare anche lei?», chiede indicando Zendaya.
«Che?! No! Aspetta…» risponde la ragazza smettendo il ghigno divertito e sgranando gli occhi per la sorpresa.
«Va bene», dice Timothée accondiscendente e sorridendole, ed ignorando il suo evidente dissenso.
«Che? Ma…» inizia Zendaya.
«Perfetto, allora ci siamo entrambi», afferma Tom cercando di risultare il meno imbarazzato possibile, anche se le sue ali come sempre sono autonome e adesso vibrano leggermente. Spera davvero tanto che Timothée non se ne accorga.
«Magnifico. Facciamo una prova per conoscerci tutti domani pomeriggio alle diciassette, così organizziamo anche i successivi incontri. Considerando che siete solo comparse non vi chiederemo di venire troppe volte in teatro, domani però è necessario per capire come agire eccetera».
Tom annuisce, ignorando lo sguardo assassino con cui sta sicuramente cercando di ucciderlo Zendaya.
«Ci vediamo domani allora», li saluta Timothée andando via.
Tom si volta a guardarlo. Hai i fianchi stretti e le spalle minute, cammina leggiadro ed elegante. Le sue ali si muovono eccitate mentre il suo sguardo si posa sui jeans che gli aderiscono alle cosce.
Uno schiaffo dietro la nuca di Zendaya lo riporta alla realtà.
«Che c’è?»
«Smettila di scodinzolare come un cane davanti al cibo e concentrati su ciò che hai fatto».
«E dai, Zee, mi dispiace ma non potevo andarci da solo. Per favore, non essere arrabbiata con me. È solo una prova, lo hai sentito Timothée, no? Non ci impegnerà molto».
Zendaya alza gli occhi al cielo. «Tu ringrazia che io sia una persona accondiscendente».
«Io ringrazio ogni giorno della mia vita per la fortuna che ho avuto nell’incontrarti», dice Tom abbracciandola di slancio, esagerando nel tono per darle fastidio e prenderla in giro al contempo. Nonostante questo, è vero che si ritiene molto fortunato ad averla conosciuta, ma non glielo dirà mai sul serio.
«Sì, sì va bene. Ora scollati. Le tue ali enormi mi fanno caldo», risponde la ragazza ostentando la sua irritazione. Tom non se la prende, quello è il loro modo di scherzare e dirsi che si vogliono bene. L’unica che può scherzare sulle sue ali senza che lui ci rimanga male è appunto lei.
«A proposito di ali enormi… Oggi è venerdì!», dice Tom improvvisamente preso da un’euforia che non tarda ad essere palesata dalle sue ali.
Zendaya gli sorride, accantonando l’espressione falsamente infastidita di poco prima.
«Mi accompagni vero?»
«Come sempre!»
Tom non sta nella pelle, come ogni venerdì. Cammina senza usare le ali, ma in realtà si sente ad un metro di altezza tanto è felice.
Ogni venerdì, il parco aereo accanto casa di Zendaya permette ai minorenni accompagnati di dispiegare le loro ali e fare un breve volo planando sugli alberi. I genitori di Zendaya lavorano entrambi lì e così loro possono usufruirne senza troppi problemi.
Sebbene per Zendaya non sia una cosa così importante volare, si diverte ad accompagnare Tom e a vederlo sorridere come un bambino sin da quando sono piccoli.
«Salve, signor Coleman. Signora Coleman», saluta cordiale i due signori che lavorano rispettivamente al botteghino e alla rimessa dei caschetti.
«Ciao Tom. Ciao cara», risponde la signora Coleman dando un bacio a Zendaya. «Come è andata oggi a scuola?»
«Tutto bene, finché Tom non ci ha iscritto al dannato gruppo di teatro», risponde Zendaya lasciando la tracolla nella biglietteria, tendendo poi la mano a Tom per prendere la sua.
«Non ci ho iscritto», inizia Tom passandole la sua tracolla.
«Mi sembra una bella cosa. Quando farete la rappresentazione? Io e tuo padre verremo a vedervi».
«Faremo solo le comparse all’ennesima rappresentazione in ricordo degli ARIA», si affretta a specificare Zendaya rendendosi conto dell’enorme errore che ha fatto a rivelarlo ai genitori solo in quel momento.
«Oh, beh verremo lo stesso», annuncia la madre con il classico tono che non ammette repliche che usa anche la figlia molto spesso.
Zendaya alza gli occhi al cielo e per buona misura guarda di nuovo male Tom, in caso non sia già abbastanza consapevole della sua irritazione per quell’avvenimento infausto in cui l’ha trascinata senza remore.
«Muoviamoci prima che passi il tramonto», dice Zendaya trascinando Tom verso il chioschetto dei caschetti.
«Non trovi che sia ridicolo indossare dei caschi? Abbiamo le ali proprio per volare in sicurezza, è una cosa innata per noi, non ci succederà nulla», si lamenta Tom prendendo il suo caschetto.
«Sono le regole, Tom. E comunque né io né tantomeno tu siamo abituati a volare a quelle altezze, quindi è il caso di non fare i deficienti e attenerci alle regole».
«Come se uno stupido caschetto possa proteggerci da un volo di trenta metri di altezza», bofonchia Tom allacciandoselo sotto il mento.
Zendaya lo ignora. Ormai ha imparato che su certi argomenti Tom non vuole sentire ragioni e lei lo fa sfogare, come può. Tom gliene è grato il più delle volte anche se altre – come quella ad esempio – si sente trattato come un bambino capriccioso che viene lasciato a sfogare i suoi piagnistei.
Raggiungono la terza pista di lancio, quella che parte da una piccola altura dalla quale possono lanciarsi e planare per tutta la durata del percorso.
Non gli è consentito spiccare voli di molto più in alto, difatti il caschetto è dotato di sistemi di sicurezza che gli bloccherebbero le ali se provassero ad alzarsi troppo. Tom lo ha imparato sulla sua pelle quando era più piccolo, ricorda ancora la fastidiosa sensazione delle ali attraversate dalla corrente elettrica a basso voltaggio che gliele ha bloccate. Più che il dolore è stata la sensazione di non averne più il controllo a terrorizzarlo di più.
«Sei pronto?»
Tom annuisce, si avvicina al precipizio che dà il via alla pista di volo che più preferiscono tra tutte. In particolare, quella gli dà la possibilità di volare esattamente verso il sole, come se si dirigessero verso l’orizzonte, lontano dalla città che si sviluppa alle loro spalle.
Il panorama in quel punto non è in nessun modo ostacolato da palazzi o grattacieli, ma solo da una distesa infinita di alberi che crescono nel parco.
Tom sente la brezza leggera agitargli i vestiti e le piume. Le ali si dispiegano lentamente, come se si stiano godendo anche loro la sensazione piacevole del vento primaverile. Quando finalmente le apre del tutto e si sente pronto a volare fa un balzo e si butta di sotto.
Cade per pochi metri, con le ali disposte verticalmente lungo la schiena. Sente lo stomaco in subbuglio e un sorriso aprirsi sul viso. I capelli che fuoriescono dal caschetto sono scossi violentemente dal vento che genera la picchiata.
Si gode quegli istati di volo in picchiata con gli occhi chiusi e la mente concentrata sul suo istinto.
Quando si sente pronto dispiega le enormi ali bianche e, subendo il contraccolpo al quale è abituato, arresta la sua caduta verso il basso. Distende le braccia ad imitazione delle ali e con un paio di battiti raggiunge Zendaya che è rimasta più su e vola tranquilla.
«Un giorno ti ammazzerai e io dovrò ricogliere pezzetti di Tom dagli alberi», valuta quando lui torna a volarle accanto.
Tom ride e continua a bearsi del panorama senza risponderle. Quei momenti sono gli unici in cui si sente davvero libero e sé stesso. Più di una volta si è detto che forse è quella la sensazione che dovevano provare i suoi antenati nel nord. Quella soverchiante vibrazione delle ali che si estende a tutta la schiena e che sembra farti vibrare l’anima.
Si domanda spesso se gli altri alati si sentano come lui quando volano, gli piacerebbe sapere se è una cosa che riguarda lui oppure tutti gli alati solo perché tali. Ha provato a parlarne a volte con Zendaya ma le non sembra pensarla come lui, o comunque non sembra trascinata da quella sensazione come lui.
Per Tom è un sentimento inconfondibile, come se il suo cuore facesse “click” e gli permettesse finalmente di essere felice.
Il sole davanti a loro sta per tramontare ed il cielo diventa arancione, rosso e rosa. Di un’infinità di sfumature diverse e tutte stupende. Tom chiude gli occhi e si immagina a volare così con altri uguali a lui.
Si vede volare insieme ai grandi alati del passato. Una distesa infinita di enormi ali spiegate che volano liberi nel cielo verso il tramonto. Sotto di loro solo alberi e acqua e sopra solo il cielo a dettare i limiti di quanto in alto possano o meno volare.
Lo stomaco gli si chiude e le ali vibrano appena emozionate al pensiero. Si immagina essere parte di qualcosa che comprende e che capisce e che al tempo stesso comprende e capisce lui.
Poco prima di distaccarsi da quel sogno, la sua mente cambia scenario e davanti a sé vede Timothée che lo guarda serio. È fermo all’arrivo e lo guarda volare senza espressione alcuna sul volto.
Riapre gli occhi leggermente scosso dall’immagine di Timothée che gli ha mostrato la sua mente e nota che hanno già raggiunto la pista d’arrivo. Zendaya atterra facendo qualche passo per attutire la velocità, lui invece va prima di poco verso l’alto, sapendo che alla partenza e all’arrivo il limite di altezza consentito si alza di un po’, smorzando di colpo la sua velocità che ancora è in aria e poi planando piano verso il basso.
«Non riuscirò mai a capire come fai a governarle così bene, secondo me ti alleni di notte», valuta Zendaya liberandosi del caschetto.
Tom alza le spalle. «Mi viene naturale».