Rumore di fondo
Mar. 14th, 2019 11:49 pmWarning: Angst
Prompt: Missione 2 Sentimenti - Tristezza
Questa storia partecipa al COW-T 9 di Lande di Fandom
Chihiro si passa una mano nei capelli mettendoseli dietro l’orecchio. Guarda lo schermo del computer scorrendo velocemente le parole un’ultima volta prima di salvare il file e spegnere la macchina.
L’ufficio dove lavora è grande e si trova al piano centrale di un alto grattacielo vicino al centro di Tokyo. La prima volta che l’ha visto ha dovuto farsi forza per tenere su un sorriso convincente e per mettere un piede davanti all’altro fino alla sua postazione: una scrivania posta davanti un’altra esattamente identica con davanti un ragazzo con gli occhiali che l’ha salutata cordialmente per poi tornare a battere rapido sulla tastiera.
All’inizio il rumore dei mille tasti che venivano colpiti a ritmo serrato le aveva dato fastidio tanto da non riuscire a lavorare se non estraniandosi con della musica nelle orecchie, adesso invece non ci fa neanche più caso. È diventato rumore di sottofondo che non vale la pena di essere tenuto in conto. Come mille altre cose nella sua vita.
L’orario di lavoro è finito e la sezione romanzi rosa della casa editrice per la quale lavora è quasi vuota. Restano giusto due o tre persone tra cui Sosuke, il ragazzo che lavora dinanzi a lei.
«Ho finito per oggi, vado a casa», annuncia alzandosi prendendo la borsa. «Passa un buon fine settimana, Sosuke».
«Chihiro, aspetta».
Si volta e lo vede rosso in viso, con lo sguardo nascosto dietro gli occhiali che gli coprono gran parte del volto.
«Vieni questo sabato alla cena d’ufficio?»
La cena d’ufficio. L’ha completamente dimenticata.
«Io credo di avere un imp…»
«Non vieni mai. Questa sarà importante e ci divertiremo».
Chihiro sorride cordiale al suo tentativo di convincerla, ma in realtà non ha mai nemmeno preso in considerazione l’idea di parteciparvi. Non le interessa fare amicizia con i suoi colleghi, né di passare del tempo con loro dopo l’orario di lavoro.
«Ti ringrazio, ma ho già preso un impegno».
Non aspetta una risposta, gira sui tacchi e va a prendere l’ascensore.
Saluta il portiere con un cenno del capo e quando è finalmente fuori respira a pieni polmoni.
Anche se l’aria non è delle migliori è pur sempre un’aria diversa rispetto a quella che i condizionatori rigettano nell’ufficio. Ha sempre pensato sapesse di plastica e di finto.
Prende il treno, come tutte le sere.
E come tutte le sere si perde a fissare il vuoto con la musica nelle orecchie.
Ha perso il conto di quanto volte ha fatto quella strada, di quante volte è rimasta assorta a fissare un punto e a sperare e pregare chissà quale dio che qualcosa nella sua vita cambiasse, o che magari qualcosa in lei cambiasse.
Lo ha desiderato così intensamente e per così tanto tempo che alla fine è diventato rumore di sottofondo anche quella speranza in un futuro diverso e cucito su misura per lei.
La voce elettronica annuncia la sua fermata.
Si alza.
Si dirige verso l’appartamento che ha affittato da sola. I suoi genitori ancora vivono in campagna.
Quando arriva a casa, la cassetta della posta è piena. Prende lettere e bollette indirizzate a lei e inizia a scorrerle già nell’ascensore.
L’attenzione si posa su una lettera la cui carta è scurita sugli angoli, come se fosse stata avvicinata ad una fonte di calore.
Vede il nome e il cuore perde un battito.
La inizia ad aprire prima ancora che sia arrivata a casa. Scorre velocemente le parole messe una dietro l’altra che la informano che il fiume Kohaku, che una ditta aveva fatto prosciugare per costruire delle case, in realtà potrebbe aver scavato una strada sotterranea che lo ha portato ad affluire in un bacino più grande non troppo distante da dove era prima.
Chihiro lascia la borsa e le chiavi di casa sul tavolo senza prestarci troppa attenzione, insieme a tutte le altre lettere.
Rilegge nuovamente quella che ha in mano, con lo sguardo febbrile e finalmente interessato. Si sofferma sulla testimonianza di un bonzo che afferma di aver visto lo spirito del fiume levarsi nel cielo notturno più di una volta, bianco e luccicante come una stella che risale la volta celeste.
«Haku», sussurra con le lacrime che le inumidiscono gli occhi e il dito che accarezza i kanji che compongono il suo nome.
*
L’indomani mattina Chihiro si sveglia – o meglio si alza dal letto, perché ha passato praticamente la notte in bianco – di buona lena.
Fa una colazione veloce e con una strana forza nel petto esce di casa per andare al bacino che le è stato indicato.
Il mondo quella mattina è diverso, il sole sembra più giallo ed illumina di una luce dorata tutto ciò che bacia.
Il rumore del mondo è coinvolgente, dinamico e quasi si perde ad ascoltare la voce di un bimbo che parla con la madre, il cinguettio di un passerotto che vola da un ramo ad un altro. Persino le macchine le sembrano parte di quel concerto giornaliero.
Arriva nel luogo designato per ora di pranzo, si reca al tempio e un guardiano con lo sguardo bonario e il sorriso gentile le indica la strada per il fiume.
«È vero che ogni tanto si vede il guardiano del fiume risalire il cielo?» chiede con gli occhi che supplicano una risposta positiva.
Il guardiano la osserva ancora un po’ e poi sorride più a fondo: «Si mostra solo a chi vuole lui».
Chihiro si reca sul bacino con l’animo inquieto.
E se dopo tutti quegli anni Haku non volesse vederla?
E se l’avesse dimenticata?
Le ore passate sulla riva a specchiarsi nell’acqua calma non l’aiutano a liberarsi di quei pensieri tetri e ciclici.
Il mondo diventa rumore di sottofondo di nuovo, c’è solo lei e il suo riflesso nell’acqua e le domande che le affollano la testa e le annegano il cuore.
È buio già da qualche ora quando alza lo sguardo e scopre che la giornata è terminata e lei non ha risolto nulla.
Haku non vuole vederla. Ormai le è chiaro. Neanche si ricorderà di lei e…
«Chihiro».
Una voce fin troppo famigliare eppure che non fa parte della sua quotidianità chiama il suo nome con dolcezza, facendole alzare lo sguardo stanco.
Gli occhi chiari ed affusolati la guardano leggermente sbigottiti ma sereni.
Chihiro si mette dritta davanti a lui e lo osserva.
È esattamente come se lo ricorda. Non è cambiato per nulla.
È un bambino.
Esattamente come lo era diciotto anni prima.
Improvvisamente sente tutto il peso dei suoi anni addosso. Ha ancora ventisette anni eppure se ne sente almeno il triplo.
Sente le occhiaie farsi più pronunciate e scavargli il viso.
Sente il corpo gonfiarsi lì dove le rotondità dovute alle maturità hanno trovato il loro posto.
Sente i capelli spegnersi e farsi del colore della cenere.
«È da tanto che non ci vediamo», dice Haku.
Lei annuisce.
Non riesce a proferire parola.
Il mondo continua ad essere rumore ma in quel momento lei vorrebbe essere parte di quel rumore e non stare lì difronte al bambino che ha rappresentato la sua speranza e il suo più grande desiderio per tutta la sua vita.
In tutti quegli anni non ha mai pensato che Haku, sarebbe potuto rimanere identico a sé stesso, al contrario suo.
E d’un tratto si rende conto che per tutto quel tempo ha desiderato, cercato e rincorso una persona che non ci sarebbe stata mai più.
Che appartiene al passato.
E ad un’altra vita.
Cade in ginocchio, incurante delle calze che si sporcano sulla fanghiglia che accerchia il bacino.
Haku le si fa vicino e le mette una mano sulla spalla.
«Mi dispiace, Chihiro. È per questo che non sono venuto a trovarti. Sapevo che tu eri destinata a vivere e mutare ed io…ed io invece a rimanere per sempre come mi hai conosciuto»
Le lacrime iniziano a scenderle veloci sulle guance, neanche le ha sentite arrivare. Ha sentito solo l’umido sul viso.
«Io pensavo che… Credevo che…»
Un singhiozzo le blocca la frase a metà e nasconde il viso nelle mani, mentre le lacrime continuano a scendere copiose.
La consapevolezza di aver dato la colpa della sua insoddisfazione all’assenza di Haku la colpisce con forza al petto facendole versare lacrime che non avrebbe mai pensato di poter versare a quell’età.
Piange come una bambina. Come la bambina nella quale è rimasta intrappolata per tutta la vita.
Non sa per quanto tempo rimane in quella posizione a singhiozzare, né per quanto tempo Haku sia rimasto con lei, perché quando rialza lo sguardo lui non c’è più.
Non si pente di non averlo salutato né di non avergli detto nulla di rilevante e neanche di non avergli detto che le è mancato per diciotto anni. Perché ormai ha capito, ormai le è perfettamente chiaro che il desiderio e la speranza che alimentava da sempre non sono altro che un ricordo e un rimpianto in cui è rimasta impigliata come un pesce nella rete.
Guarda verso il cielo.
Non lo ha neanche sentito andare via.
Ormai anche lui è diventato rumore di fondo.