Un bosco

Feb. 23rd, 2023 06:55 pm
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Fandom: BTS
Pairing: Yoonmin 
Warning: AU, Vampire!Jimin, Witch!Yoongi, violenza su animali, mezione di abusi passati sui protagonisti, omicidio, sangue, ma in realtà è più fluffina di quello che sembra 
Note: il titolo e le frasi sono prese da "Un bosco" di Francy Michielin, colonna sonora di questa ff 

Partecipa al COWT-13 di LDF per la mia missione M1 della prima settimana, prompt "un rifugio alla fine del mondo". 




 

Vorrei chiamare almeno un posto “casa”



 

Quando a Jimin hanno parlato per la prima volta della strega oltre il bosco, ha storto il naso. Non è uno che si lascia impressionare da storie per bambini e leggende.

Ma quando il suo segreto venne scoperto e torce di fuoco occhieggiarono minacciose oltre i vetri delle finestre, la filastrocca che cantavano i bambini fu la prima a venirgli in mente.

Salta, salta rana

Oltre il lago e nella tana

Se chiudi gli occhi è meno buio

Torna indietro,

torna indietro rana

oltre la grotta c’è una casa

oltre il prato di sangue c’è una strega

se ti guarda negli occhi sei perduta

se ti prende per una zampa ti mangia

salta, salta rana

io ti ho avvertita

se non torni riderò della tua dipartita.

 

Le grida gioiose e le urla dei bambini che si rincorrono si affollano ora nella mente, mescolandosi alle grida d’odio degli uomini e delle donne che lo hanno costretto a fuggire. Un refolo di vento si infila tra i capelli e la blusa sgualcita, si stringe tra le spalle abituato com’è a fingere di essere umano.

Sempre state inutilmente brutali le filastrocche per bambini, pensa mentre nascosto tra i cespugli cerca di scorgere qualunque movimento nella casa che gli si trova di fronte. È piccola, avrà una stanza massimo due, valuta. Dal piccolo comignolo esce un filo di fumo e dalla finestra trapela una luce calda e accogliente.

Si volta ancora, solo una, verso il bosco nero pece prima di uscire dal suo nascondiglio e fare un passo.

«Non ti hanno detto che qui ci abita una strega?», lo coglie di sorpresa una voce bassa e roca.

Si guarda intorno un paio di volte prima di scorgere tra gli alberi poco distanti una figura ammantata di nero, un cappuccio calato sul volto che lascia intravedere solo due piccole labbra rosee su un mento pallido.

«Me lo hanno detto, sì».

«E allora che ci fai qui? Vai via prima che ti mangi».

«Tu chi sei?»

La figura ammantata di nero rimane immobile e in silenzio per quelli che a Jimin sembrano lunghissimi minuti in cui può far vagare lo sguardo sulla figura che diventa sempre meno inquietante, se mai quella strana sensazione di bruciore al petto possa davvero chiamarsi inquietudine.

«Le strega che ti caverà gli occhi e lascerà il tuo corpo esanime sulla soglia della tua casa se non te ne vai immediatamente».

Il bruciore al centro del petto si fa più inteso, meno vago. Jimin sono anni che non sente un’emozione scaldargli la carne. Non potrebbe andarsene neanche se volesse, ora che il corpo sembra tornato se non alla vita almeno ad una parvenza di essa. E non come quando finge di avere freddo o caldo o di essere affaticato. Lo sente davvero il fuoco che gli arde nel torace minacciando di bruciarlo dall’interno.

«Non ce l’ho più una casa».

«Allora ti conviene andartene a cercare un’altra», risponde con stizza mentre porta verso la piccola casa il cesto che tiene tra le braccia.

Il bruciore al centro del petto si affievolisce di colpo e gli sembra di morire di nuovo. Come quando da piccolo si lasciava tirare giù dalle acque gelide del fiume e si permetteva di tornare verso l’aria solo quando il freddo gli si conficcava come aculei nella pelle.

«Aspetta, io…», lo raggiunge in meno di un secondo ma prima che possa afferrarlo per il braccio l’altro si volta e il cappuccio gli cade sulle spalle lasciando scoperti i capelli di un arancio accesso come il cielo incendiato dall’ultimo raggio di tramonto.

Nella celerità del movimento Jimin riesce a cogliere due occhi scuri come il buio del bosco che si allargano riempiendosi di paura, prima di diventare affilati come le lame che gli hanno puntato contro solo qualche ora fa.

«Non fare un altro passo», ringhia ferino piegandosi sulle gambe. Il cesto ancora rotola a terra insieme a quelli che Jimin cataloga velocemente come funghi ed erbe varie. Tra le mani grandi che spuntano bianche da sotto il mantello nero, scorge il baluginio di una lama sottile che quasi gli trema tra le mani.

Jimin riesce a sentire la sua paura, non può essere la strega spietata che gli hanno descritto. Fa un passo in avanti solo per vedere l’altro indietreggiare e urlargli di allontanarsi.

Il bruciore al petto torna a farlo sentire al caldo e Jimin si ferma. «Va bene», dice mostrando i palmi aperti in segno di resa. «Non voglio farti del male», continua facendo un passo indietro. Chissà, magari se fosse uscito così da casa invece di scappare anche gli abitanti del villaggio avrebbero abbassato le torce e i forconi come la strega davanti a lui sta adesso abbassando la lama.

«Non tornare», gli intima calmo ma deciso. «Qui non c’è posto per te».

Jimin annuisce e continua a indietreggiare. Il bruciore nel petto si affievolisce ad ogni passo, lasciando posto alla domanda che continua a farsi da quando si è risvegliato dalla morte.

Ci sarà da qualche parte un posto per me?

*

Yoongi quella notte non ha dormito. Il cuore gli ha battuto contro il petto così forte e per così tanto tempo che a stento è riuscito a lasciare il pugnale. Affacciato alla finestra, pronto a scattare al minimo rumore, spinge lo sguardo oltre il muro nero che gli alberi disegnano intorno la piccola casa che da pochi anni ha iniziato a sentire propria.

Lo strano ragazzo non si è fatto vivo per tutta la notte e adesso che le prime luci dell’alba illuminano i tronchi e i cespugli, Yoongi sente il cuore rallentare e le palpebre farsi pesanti. Si concede di togliere il mantello nero che ha tenuto per tutta la notte in caso fosse stato costretto a scappare e lo lascia accanto al coltello che di solito usa solo per staccare qualche radice più tenace.

Nonostante l’ansia lo stia lasciando non si concede di mettersi a letto e piuttosto si appollaia su di una sedia, sempre davanti la finestra, finché la stanchezza prende il posto di qualsiasi altro pensiero e se lo trascina giù in sogni agitati e ricordi distanti.

Quando si risveglia di soprassalto, con l’ultimo sogno ancora attaccato alle palpebre, il sole è alto in cielo e il bosco si è popolato di cinguettii allegri, piccoli roditori che saltano da un ramo all’altro e del verde intenso del sottobosco. Assonnato com’è, Yoongi quasi è pronto a credere che l’incontro della sera precedente sia stato solo un innocuo sogno.

Come potrebbe una persona avvicinarsi così tanto a lui senza scappare a gambe levate?

Deve essere una fantasia per forza, uno stupido gioco della sua mente che ancora spera che qualcuno non sia terrorizzato da lui, non c’è altra spiegazione.

Lo stomaco brontola e Yoongi si rende conto che la colazione giace ancora a terra sparsa davanti la casa.

È stato solo un sogno, devo essere inciampato ieri, si ripete in mente mentre valuta che la maggior parte dei funghi e delle erbe sono state mangiucchiate da insetti e animali durante la notte.

Pochi minuti dopo sta percorrendo lo stesso cammino che ogni mattina lo porta nella zona più coperta dalle fronde degli alberi, dove ha imparato esserci i funghi più buoni e succosi.

Dopo l’agitazione della sera precedente, camminare nel luogo che lo ha accolto dopo che il suo mondo si è sgretolato lo rimette se non di buon umore almeno in quiete.

Il giorno prima aveva preso già la maggior parte dei funghi più grandi, quindi ora si deve accontentare mentre soppesa attentamente quelli che è meglio lasciar crescere per venire a raccoglierli tra qualche giorno.

Il cesto non si riempie neanche per metà e Yoongi si guarda intorno alla ricerca di qualche altra leccornia che la natura potrebbe concedergli prima di scorgere in alto, sulla cima di una piccola collina rocciosa un arbusto pieno di bacche scure. Di solito aspetterebbe ancora qualche tempo prima di coglierle ma quel giorno non è il caso di fare lo schizzinoso. Così, dopo aver guardato la parete scoscesa per vari minuti, decide che il lato a nord è il più facile dal quale salire e in quel modo evita anche la piccola grotta sicuro rifugio di qualche orso in quel periodo dell’anno.

I primi passi gli vengono facili, aiutato da mani e piedi si tira su finché il mantello non gli si impiccia sulla punta della scarpa e gli impedisce di trovare l’appiglio successivo. Yoongi ruzzola a terra con tutto il cesto di funghi sparsi per il sottobosco e il ginocchio dolorante.

Si scopre la gamba e valuta che non sia poi una ferita grave ma brucia e Yoongi già non è di buon umore quella mattina, quindi si alza a fatica, inveendo contro lo stupido mantello che gli ha messo lo sgambetto e inizia a raccogliere stizzito i funghi sparsi prima che gli abitanti del bosco gli rubino anche quelli.

Il bosco è animato di versi e fruscii come sempre e c’è una strana brezza che ogni tanto gli fa rizzare i capelli sulla nuca, meglio affrettarsi.

Quando si volta per rimettere i funghi al loro posto, il cesto è pieno di bacche blu dall’aspetto non particolarmente maturo da cui Yoongi però può di sicuro farci uscire qualcosa di buono.

Non appena la sorpresa si affievolisce, si guarda intorno circospetto. Il cuore ricomincia a martellare nel petto e la sensazione di essere spiato che lo fa voltare più volte di scatto.

Senza aspettare un secondo di più prende il cesto pieno e se ne ritorna da dove è venuto. Ignorando lo strano fruscio che sembra seguirlo finché non arriva nello spiazzo libero davanti la sua casa.

Richiusosi la porta alle spalle e assicurandola spostandovi il tavolo – neanche troppo pensante – dietro, si rimette alla finestra per scorgere cosa, o meglio chi, si aggira nel bosco. Nessuno però si nasconde tra gli alberi. Nessuno che lui riesca a vedere almeno.

*

Sono tre giorni che Jimin vive nel bosco, nella piccola grotta sulla cui cima cresce un arbusto pieno di bacche che alla strega sembrano piacere molto. Ha provato a mangiarne alcune ma non hanno saziato minimamente la sua sete.

Il bosco è pieno di piccoli animali che però non fanno altro che aprirgli lo stomaco piuttosto che saziarlo. Ha provato a catturarne di più ma non è abituato a cacciare come fanno gli animali, si è sempre limitato a rubare enormi capi di bestiame allevati apposta per essere macellati, non opponevano mai troppa resistenza e soprattutto non potevano scappare.

Gli animali del bosco invece sembrano essere abituati a sentire i suoi passi e il suo respiro, non riesce ad avvicinarsi abbastanza velocemente per farne delle prede. Inoltre, il fatto che di giorno possa uscire davvero poco dalla grotta - considerando che le fronde sì, lo proteggono, ma non lo schermano del tutto dai raggi del sole – senza che la pelle gli si bruci come uova sulla pietra bollente, non lo aiuta a trovare animali che girovagano pronti a buttarsi sotto i suoi denti.

In più, il bruciore al petto torna a intervalli irregolari e Jimin è quasi certo che centri la vicinanza alla strega.

Forse è per questo che dopo avergli regalato le bacche che non riusciva a cogliere, ha iniziato a portare ogni notte, dinanzi l’uscio della sua casa, piccoli frutti che crescono sulla cima di un albero poco distante. Oppure quei graziosi fiori che ha trovato di notte sulla cima di una montagna poco distante e che non si sono chiusi neanche quando la luna ha preso il posto del sole. È il suo modo per ringraziarlo del calore che gli ha fatto provare.

Dopo tanto vuoto sentire qualcosa, anche qualcosa che lo fa stare sveglio le notti che va al limitare del bosco e si accoccola più vicino possibile alla piccola casa che ha il comignolo che sbuffa fuori fumo a tutte le ore, lo fa stare bene. Gli fa sentire di stare al mondo per qualche motivo, di non avere un posto magari ma almeno di esserci, esserci davvero, e non solo come un’ombra che si aggira fredda e solitaria per la terra.

 

 

Una di quelle mattine in cui la grotta gli sembra davvero troppo distante dalla sorgente del calore al petto, la luce lo coglie alla sprovvista. Lo sveglia prima l’odore di carne bruciata che il dolore. Apre gli occhi di scatto e si scansa dal sottile raggio di sole che gli ha baciato il collo lasciandogli un marchio rosso che brucia solo per qualche istante prima di iniziare a rimarginarsi.

Il bosco è già animato. Gli uccelli cinguettano, saltando da un ramo all’altro e Jimin ha così fame che li mangerebbe tutti. Non gli piace sentirsi affamato, l’ultima volta che si è sentito così ha dovuto lasciare la sua casa perché non è stato attento.

Alle sue spalle sente piccole zampette che atterrano soffici sullo strato di terra e foglie. Non si volta, non ne ha bisogno. Piuttosto rimane immobile, ha imparato che più è fermo più gli animali non lo reputano una minaccia. Così si impone si non muovere neanche un muscolo, a stento sbatte le palpebre. Prima che l’animaletto possa poggiare le zampe un’altra volta, si gira scattando nella sua direzione e lo afferra schiacciandolo a terra. Non si lascia nemmeno il tempo di vedere che è un coniglio con il pelo sporco e pieno di foglie secche, prima di affondare i denti lì dove sente il sangue scorrere più velocemente.

Non è come mangiare una mucca, deve ammetterlo, ma ha così fame che neanche si rende conto della differenza. Il corpo sembra tornare vivo di nuovo man mano che si nutre, le membra riacquistano vigore, il cuore morto sembra volergli esplodere di nuovo nel petto per quanto brucia. Quando ormai ha succhiato via tutto il sangue e la preda giace inerme tra le sue mani, si siede e se lo porta vicino alla bocca addentandolo più volte per far uscire le ultime stille di sangue rimaste impregnate nella carne.

Si rende conto che qualcosa non va solo quando sente un rumore inconfondibile giungergli veramente vicino alle orecchie e il cesto caduto entra nel suo campo visivo.

Alza gli occhi e si rende conto che il petto gli brucia come non ha mai bruciato. La strega lo guarda con occhi sgranati, le braccia molle lungo il corpo e i capelli arancio che sembrano ancora più luminosi sotto i raggi del sole.

Jimin si ridesta dai suoi pensieri solo quando sente nuovamente il sole mangiargli la pelle e deve rannicchiarsi contro il grande tronco di un albero per non essere colpito. È certo che la strega adesso gli dica che deve andarsene, che non può stare neanche più nel bosco, che non gli farà sentire più il bruciore al petto.

La strega muove un passo verso di lui e Jimin si spinge ancora di più sul tronco, il piccolo coniglio esanime ancora stretto tra le dita.

«Tu non sei come loro», dice accovacciandosi per essere alla sua altezza. «È per questo che ti hanno cacciato?».

Jimin annuisce confuso dall’improvviso cambiamento nell’atteggiamento della strega. Che si siede davanti a lui, le gambe incrociate e il viso assorto in un pensiero.

«Non ho mai visto uno come te», continua. «Ti va di raccontarmi come sei diventato così?»

Jimin lascia da parte il coniglio, con lentezza, non vuole che la strega si spaventi ora che gli sta concedendo di avere il petto caldo. Si pulisce il viso con una manica della blusa e gli racconta di essere solo da che ha memoria, non ha mai incontrato i suoi genitori e non sa neanche se il villaggio sia luogo dove è nato davvero. Gli racconta di quando una notte di inverno era andato a chiedere un tozzo di pane in chiesa ma gli avevano risposto che era finito tutto e così era rimasto senza mangiare per almeno due giorni finché un signore con il cappello a cilindro non lo aveva trovato e gli aveva offerto un lavoro. Jimin era felice oltre ogni dire e non si era mai lamentato né di una punizione ingiusta, né delle frustate che a volte si prendeva perché il padrone tornava a casa ubriaco. Aveva una casa, un tozzo di pane e a volte anche della frutta troppo matura ogni giorno ed era molto di più di quanto avesse mai avuto. Finché un giorno non era arrivato un visitatore nella grande casa e il padrone lo aveva venduto, a nulla erano serviti pianti e le suppliche di Jimin, il padrone non aveva voluto sentir ragioni. Il visitatore aveva degli strani occhi color del ghiaccio e quando gli aveva sfiorato una spalla per spingerlo nella carrozza aveva la pelle più fredda che Jimin avesse mai sentito.

Racconta alla strega che non ricorda il momento esatto in cui si è reso conto che si stava cibando di lui ma che quando aveva sentito la vita scorrergli via dalle vene non aveva neanche fatto resistenza e si era abbandonato alla morte. Il viaggiatore lo aveva buttato nel lago ma Jimin ne riemerse senza sforzo alcuno. Tornato a casa, si rese conto che il visitatore non doveva essere rimasto soddisfatto di lui, perché aveva ucciso anche tutti gli altri, compreso il padrone. Da lì, da invisibile mendicante è diventato ben presto il terrore del paese e per un po’ di tempo se lo è anche fatto andare bene. Finché le torce non hanno occhieggiato alle sue finestre.

La strega lo ascolta assorto finché Jimin non termina, non lo interrompe neanche una volta, non un verso di approvazione né di disapprovazione. Finché lui non finisce.

Poi si alza, si passa i palmi sul mantello per scuotere via le foglie secche e i ramoscelli e gli tende la mano. «Con quello non ti puoi saziare. Vieni con me, ti mostro dove prendere una preda adatta».

Il cuore di Jimin sembra battere di nuovo.

*

La radura dei cervi si apre dinanzi i suoi occhi identica a come l’ha conosciuta. Il ragazzo dietro di lui è silenzioso come raccontano le storie e i libri che ha letto sull’argomento. Libri che non tacevano affatto le mostruosità che potevano compiere quegli esseri a metà tra la morte e la vita. Eppure, Yoongi non ha mai avuto paura dei diversi, sono piuttosto gli altri che lo terrorizzano.

Vede con la coda dell’occhio il ragazzo accovacciarsi accanto a lui, imitandolo perfettamente, come se lo facesse da tutta la vita.

«Aspetta che si siano abituati alla nostra presenza», gli sussurra, «Non predare mai i piccoli. Sarebbe più facile ma ingiusto, devono avere anche loro il tempo di crescere e conoscere il mondo», dice mentre sente lo sguardo fisso su di sé.

Non si sentiva sotto l’attenzione di qualcuno da un sacco di tempo, vari anni, non sa neanche lui quanti. Si stringe tra le spalle e continua, cercando di scrollarsi di dosso la strana sensazione.

«I cervi maschi sono più succosi ma è la prima volta che cacci, potresti rimanere ferito. Prendi una cerva», suggerisce, «Quella lì, vedi?», chiede indicando l’animale accovacciato a terra che sonnecchia al sole. «Non è incinta e sembra più vecchia e dimessa rispetto alle altre».

Il ragazzo lo ascolta assorto, gli occhi sono ora puntati sul gruppetto di cervi che bruca ignaro della loro presenza. Yoongi vede la tensione nel collo e nella mascella e a giudicare dalla posizione che il corpo ha assunto naturalmente è pronto a scattare, ad un suo comando.

Un brivido gli fa rizzare i peli delle braccia al pensiero che una creatura del genere lo stia in realtà ascoltando come se non potesse farne a meno.

«Devi essere veloce e silenzioso. Quando ti noteranno gli altri scapperanno, non farti distrarre. Nutriti e poi riportami la preda, ne useremo tutte le parti così che il suo sacrificio non sarà vanificato».

Il ragazzo annuisce ed espira dalle narici. Yoongi si domanda se lo fa per abitudine o se davvero non sappia che espirare o inspirare su di lui non hanno alcun effetto, neanche quello di calmarlo.

Prima che possa dire altro, il ragazzo scatta in avanti ad una velocità che sembra cozzare con la delicatezza che mostra di solito. I cervi scappano in tutte le direzioni e per un attimo Yoongi viene investito da mille suoni diversi che si innalzano per poi abbassarsi di colpo. Restano solo i versi strozzati della creatura che il ragazzo ha atterrato e il rumore flebile della sua bocca che succhia via sangue e vita.

Yoongi si meraviglia di come quando si volta, con il mento che cola sangue, le mani imbrattate e gli occhi ferini, torna verso di lui con la preda tra le braccia, finché non gliela lascia davanti, come un gatto che riporta un trofeo, come un tributo al proprio padrone.

«Grazie», gli dice il ragazzo mentre lecca via dalle labbra e dalle mani le ultime gocce di sangue. «Non mi sentivo così da un po’».

Yoongi, senza che lo abbia comandato, si ritrova a sorridere appena. «Non ti ho chiesto come ti chiami».

«Jimin».

Jimin, è un bel nome. «Io sono Yoongi», dice semplicemente ignorando il modo in cui il suo sorriso aperto sembra entrargli nel petto. «Mi aiuti a portare il cervo a casa, Jimin?»

Il ragazzo lo guarda con gli occhi spalancati di sorpresa prima di passarsi la mano sul petto e poi piegarsi per prendere la cerva. Yoongi spera che la tendenza a fare ciò che gli viene detto non lo abbandoni molto presto.

 

 

Ora che Jimin si trova al centro della stanza del camino della sua casa, tutto gli sembra strano e fuori posto. Come se tutto a un tratto quella non fosse più casa sua e una strana sbavatura vi si trovasse al centro, eppure non si è mai sentito più leggero.

Indica a Jimin la tinozza dove ha sempre un po’ d’acqua e gli dice di sciacquarsi. «Poi ti faccio vedere qual è la parte più calda del lago, così puoi farti un bagno», continua mentre prende gli attrezzi per preparare la carne.

«Ti posso fare una domanda?», chiede Jimin mentre si siede dall’altro lato dell’animale, davanti il piccolo spiazzo che funge da giardino alla sua capanna.

Yoongi annuisce e intanto inizia a spellare l’animale.

«Perché hai cambiato idea su di me?»

«Chi ti dice che l’ho fatto?», ribatte senza fermarsi.

«L’altro giorno mi hai cacciato adesso mi hai addirittura invitato a casa».

Yoongi non risponde. Forse perché non lo sa neanche lui perché lo ha invitato a casa e un po’ perché forse la spiegazione sarebbe più lunga del lavoro che sta facendo.

«È stato per i fiori?»

Yoongi, colto alla sprovvista, tossisce appena e poi cerca di mascherare di nuovo la voce sotto finto disinteresse. «Ah quindi eri tu a lasciare quell’immondizia davanti casa mia?»

Jimin affila lo sguardo ma poi rilassa il volto e sorride. «Mettere l’immondizia nei vasi è un’usanza da strega?»

Yoongi aveva completamente dimenticato che da dove erano i fiori messi con cura nel vaso si vedevano perfettamente. «Già, è proprio così».

Jimin fa uno strano verso che sembra quasi una risata e a Yoongi quasi viene voglia di unirsi a lui. «Pensavo fossi uno di loro», dice ad un tratto affondando nuovamente il coltello nella carcassa che ha di fronte. «Un essere umano», spiega.

«Che ti hanno fatto?»

Yoongi ci mette qualche minuto a convincersi che forse raccontare per la prima volta la sua storia, raccontarla proprio a quel ragazzo che si nutre di sangue, forse può portargli un po’ di pace. «Vivevo nel villaggio a ovest del bosco. Se non fossero divisi da questa immensa mole di alberi i nostri villaggi non sarebbero così distanti», valuta. «Era un villaggio come tutti gli altri, io ho imparato da mia madre l’arte del guaritore e stavo studiando per diventare medico, me la passavo bene, la mia utilità mi faceva essere ben voluto», ignora l’amarezza con la quale pronuncia quella frase mentre stacca l’ennesimo brandello di carne per metterlo di lato.

«Un giorno arrivò un uomo al villaggio, era la persona più bella che avessi mai visto. Occhi chiari, la pelle cotta al sole e un sorriso che sembrava riflettere i raggi stessi. Non osavo neanche rivolgergli la parola all’inizio. Lo sai come sono gli uomini, temono tutto ciò che sia anche un minimo discostante da ciò che conoscono».

Vede Jimin annuire e le parole sembrano trovare la via da sole, semplici, calme, come se fosse successo a qualcun altro e non a lui. «Fu lui a venire da me tutti i giorni, per lunghe ore. Parlavamo di qualunque cosa, mi portava le erbe che non riuscivo a trovare e una notte decise di rimanere da me. Mi sembrava di sognare ma avrei dovuto sapere che le cose belle non durano mai».

Stacca dalla carne un pezzo di pelle e riaffonda il coltello per tirarne via altra. «Non riusciva a sopportare gli sguardi delle altre persone. Per mesi mi ha detto che l’unica cosa che contava sarebbe sempre stata solo come lo guardavo io ma avrei dovuto ricordare che gli uomini non sanno rimanere buoni se restano in un luogo cattivo. Iniziò a tornare a casa solo la sera, ubriaco fradicio, non lavorava più e se la prendeva con me. Tutte le sere, finché non vedeva i segni sulla mia pelle o finché non arrivava qualcuno alla porta. Ho provato a capirlo, ho provato ad aiutarlo ma era diventato come cieco, come sordo. Se fossi rimasto, un giorno di quelli mi avrebbe ammazzato», dice con la voce tremante. Al confine del suo campo visivo Jimin sfrega le mani tra di loro tanto forte che Yoongi è indeciso se sia per rabbia o per il bisogno di stringerlo. In un minuscolo e recondito spazio del suo cervello, spera che sia per quell’ultimo motivo, perché più parla più sente il bisogno di essere preso per mano e confortato.

«In ogni caso, non è riuscito ad uccidermi. Sono scappato prima. Non l’ha presa bene, però. Per lui ero stato un vigliacco. Iniziò a dire in giro che me ne ero scappato con i suoi soldi e che lo avevo incantato con una magia oscura. All’inizio mi fece persino ridere, finché non iniziarono a crederci e smisero di venire a chiedere le mie cure mediche. A nulla servirono gli anni passati a curare ogni scarlattina, dissenteria, febbre o osso rotto di quella gente ottusa. Non appena sentono la parola stregoneria sono pronti a credere a qualunque cosa».

Yoongi si ferma e gira la cerva da sotto a sopra, controllando che l’abbia pulita bene. Poi si alza, senza dire una parola e si dirige verso casa.

Jimin lo segue senza fiatare finché, capendo che non avrebbe continuato al storia gli si fa vicino. «Come è andata a finire?»

«Che vuol dire come è andata a finire? Sono qui, no?»

«Sì, sì. Intendo che è successo dopo».

Yoongi vorrebbe sorridere della sua curiosità, quantomeno per concentrarsi su qualcosa che non sia la tenerezza per il sincero interesse mostrato. È forse per quello che si è fermato, per paura che finendo la storia, l’incantesimo che si è creato e che non fa scappare Jimin lontano da lui, come fa con tutti gli altri, possa spezzarsi e la maledizione tornare a tormentarlo.

«Facciamo così», inizia lasciando la carne sul piano della cucina per andare ad attizzare il fuoco. «Te la finisco di raccontare domani».

Jimin non osa controbattere. Finché non si apre in un sorriso timido e poi domanda: «Quindi ci vediamo anche domani?»

Yoongi rimane interdetto ma decide di ascoltare la parte del suo cuore che sembra volare mentre il viso di Jimin si tinge di speranza.

«Solo se adesso mi aiuti a mettere a essiccare la cerva».

Jimin annuisce convinto e Yoongi gli sorride. Aveva dimenticato cosa si provasse a condividere uno spazio con qualcun altro. E forse è pure tutto il tempo che è passato che sembra lasciarlo sopraffatto. Ma appagato.

Per ora, però, non ha voglia di interrogarsi o pensare al domani o al passato.

 

Dopo anni di solitudine può concedersi una serata tranquilla, in compagnia di Jimin. 



E intanto aspetto te.

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