Migraine

Aug. 22nd, 2020 10:45 pm
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Fandom: Originale
Warning: Introspettivo, semi song!fic ispirata a Migraine dei Twenty One Pilots
Prompt: giungla

Questa storia partecipa a Esploratori del polyverso di LDF



La sabbia mi si infila nelle dita dei piedi è calda, bollente, rovente. La salsedine mi si appiccica addosso, il sole mi cuoce sulla pelle scie bianche che tirano e prudono.

Fa caldo.

Tanto caldo.

Troppo caldo.

Devo arrivare a quegli alberi laggiù. Devo raggiungere l’ombra, la mia salvezza.

La mia salvezza?

Mi volto. Sulla sabbia pezzi rotti e legna infranta della nave che mi ha lasciato qui, le onde li tirano indietro e li respingono avanti. Il mare mangia e rigurgita pezzi masticati della mia vita passata.

Non vi è rimasto niente. Solo cocci informi.

Un filo di vento mi solletica la pelle cotta al sole. È la giungla che mi chiama.

Sussurra parole incomprensibili.

Bisbiglia di assoluzioni di colpa, di promesse di serenità. È buia e fa paura, ma la luce abbacinante del sole che illumina ciò che non sono è più terrificante.

Un passo, poi un altro e sono dentro.

I suoni scemano all’improvviso. Attraverso i tronchi ancora posso vedere il mare che mi ha risputato sulla riva ma è lontano, distante, un miraggio.

Che sia stata sempre in questa giungla?

No, no. Prima ero sulla spiaggia, eppure…

Un rumore di rami spezzati mi distrae. Sgrano gli occhi: è troppo buio. Tendo le orecchie e la giungla scura mi chiama. Mi sussurra di andare avanti e cercarmi un posto.

La mia pelle si ricopre di goccioline di umidità. Non c’è più il sole ad asciugarmi ma rampicanti che mi avvolgono e cercano di tenermi con loro.

Mi abbracciano e mi trattengono, questa sensazione la sentivo anche quando ero sulla nave?

Le foglie si attorcigliano sui miei polsi e sulle mie cosce.

Ci sono mai stata davvero sulla nave? Non sono sempre stata qui, protetta da questi alberi alti e rigogliosi che mi bloccano su di loro?

Gli alberi mi amano, mi vogliono con loro. Non me ne voglio andare. Mi attirano di nuovo se provo ad andarmene, hanno bisogno di me.

Mi lasciano baci taglienti sul corpo, prove del nostro amore, segni della nostra appartenenza.

C’è mai stato il mare?

No, non c’è mai stato. C’è sempre stata solo la giungla, solo gli alberi e i rami stretti alla mia pelle.

La giungla mi parla. La giungla mi sussurra che nel suo buio posso essere me, che nella sua oscurità il controllo è mio, che dentro di lei ci sono solo io e che lei è parte di me.

E allora perché sento rumori che si avvicinano che non mi appartengono. Passi pesanti, tanti. Spezzano rami, si fanno strada.

Lancio lo sguardo attraverso i tronchi avviluppati tra di loro, è sempre stato così buio? Da quanto sono qui? Perché il mio sguardo ancora non si è abituato?

Sento un brivido salirmi lungo la schiena quando due paia di occhi brillanti si fanno largo nel buio. Sono piccoli e gialli, mi guardano famelici.

Sono due leoni. Si fermano e mi guardano con i denti digrignati, le criniere al vento e le zampe pronte al balzo.

Ed io… Io sono intrappolata. Gli alberi non mi lasciano. Mi muovo e li imploro di lasciarmi ma non ne vogliono sapere, continuano a stringere sempre più forte i polsi e le cosce. So che devo liberarmi ma la giungla è la mia casa ed io le appartengo.

Un leone balza verso di me ma mi manca e spezza i rami che mi abbracciavano. La giungla mi ha protetto, si è messa tra me e il leone, oppure è stato un errore ed in realtà mi trattiene per una caviglia in attesa del prossimo salto?

Uno si avvicina piano, i denti digrignati, il muso contratto, fa un balzo con la bocca spalancata.

 

 

 

Apro gli occhi: sono viva. Quanto tempo è passato?

Mi libero dei rami intorno alle mie cosce e lascio cadere il bastone acuminato che ancora stringo tra le dita.

Tutto intorno è buio, un nero intenso e denso che penetra ogni minuscolo buco lasciato dalle foglie.

Respiro a fatica, i leoni sono ancora davanti a me?

Se ne sono andati perché mi hanno creduta morta?

Mi allontano in silenzio, scalciando i rami che cercano di riprendermi per i polsi e per le cosce. Scalcio e graffio, mi rialzo e corro.

Dove devo andare? Che posso fare?

La giungla mi chiama, strilla e strepita: non vuole che me ne vada. Dice che è la mia casa.

Ce l’ho mai avuta una casa?

Corro veloce e scappo a perdifiato perché la voce della giungla adesso mi fa paura. I bisbigli sono gelidi, i sussurri viscidi, brividi sulla mia pelle e sulla mia schiena.

Sento un rumore lontano, forse un’eco. No, è un rumore che conosco. Arriva e si ritira. Arriva ancora e si ritira di nuovo.

Sente l’odore pungente del sale e d’un tratto sono fuori. Brezza leggera sulla mia pelle. La giungla ancora mi chiama ma io non ascolto più.

Davanti a me il mare, immenso ed infinito, calmo e pacifico trapunto di stelle che si tuffano sulla superficie.

La sabbia è fresca e accoglie i miei piedi martoriati. La brezza è leggera e mi spoglia dell’umidità della giungla.

Sulla riva cocci rotti della mia vita passata. Li guardo: sono irrecuperabili.

Mi avvicino: forse qualcosa è salvabile.

Li prendo in mano ed inizio a rimetterli insieme.

In qualche modo riprenderò il mare, cavalcando le onde su una zattera di ricordi e di emozioni passate.

Raggiungerò un porto nuovo, sconosciuto ma sicuro dove comprare un’altra nave da riempire di viaggi e di ricordi per spingermi ancora una volta verso l’orizzonte.

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