Ridere insieme
Mar. 31st, 2019 11:13 pmPairing: Donatello x Cosimo de Medici
Rating: Verde
Prompt: Missione 9, le muse, Clio: storia
Note: C'è un'inaccuretezza storica circa la costruzione di Palazzo Medici, che qui è già presente ma che in realtà viene costruito da Michelozzo nel 1444
La storia partecipa al Cow-t 9 di Lande di Fandom
Firenze, 1428 ca.
Donatello piega la testa di lato. Ha la fronte corrucciata e l’espressione cupa.
Il mezzo busto davanti a lui gli restituisce uno sguardo attonito. Nell’espressione che gli ha conferito c’è qualcosa non lo soddisfa a pieno. Non gli restituisce l’intenzione che voleva donargli all’inizio.
I suoi apprendisti sanno che in quei momenti non vuole essere disturbato da nessuno e che ha bisogno di tutta la concentrazione che gli è stata concessa. Per questo batte forte la mano sul tavolo da lavoro facendolo scricchiolare quando Bertoldo entra nella bottega attirando la sua attenzione.
«Scusa, maestro».
«Bertoldo, ringrazia il fatto che tuo padre mi paga bene per la tua educazione. Che vuoi?» ha il tono duro e il piccolo allievo lo guarda con gli occhioni da bambino sgranati.
«Non essere duro con lui, Donato. Gli ho detto io di venire ad avvertiti».
Michelozzo, suo socio e collega da anni, entra nella stanza mettendo una mano sulla spalla del ragazzino che lo guarda grato.
«E tu ringrazia che mi trovi bene a lavorare con te…»
«E tu che ti aiuto a tenere su questa baracca. Senza di me daresti soldi a chi li deve a te e viceversa», lo ammonisce l’amico.
Donatello gli risponde scuotendo una mano a mezz’aria, come a voler allontanare quelle polemiche da lui.
«Che c’è? Perché siete venuti entrambi?» chiede di nuovo, questa volta riacquisendo lo sguardo gentile che ha di solito, senza però sorridere.
«Sta arrivando Cosimo de’ Medici. Ha mandato un paggetto ad avvertirci».
Donatello si mette subito con la schiena dritta. Non è raro che Cosimo lo vada trovare in bottega, anche se impegnato com’è nell’ultimo periodo non è riuscito a passare spesso.
Si alza e va automaticamente verso la superficie riflettente, aggiustandosi la barba.
Sente Michelozzo fare un verso rassegnato ed uscire dalla stanza. «Come se Cosimo de’ Medici fosse davvero interessato a come porti la barba…» lo rimbecca.
Donatello non risponde ed essendo soddisfatto del proprio aspetto si rimette a lavorare, ma in realtà la sua mente non è concentrata sull’opera, bensì sul rettangolo chiaro della porta che lascia intravedere l’entrata della bottega.
«Maestro», la voce di Bertoldo è tenue e poco più alta di un sussurro. Donatello porta lo sguarda sulla sua figura esile, mentre tra le mani stringe qualcosa.
«Che c’è, Bertoldo?» chiede con il tono bonario e gentile.
L’allievo alza lo sguardo e notando che nel suo volto non c’è fastidio, si avvicina. «Ho finito la medaglia che mi hai dato da fare. Va bene?»
Donatello sorride appena e poi prende tra le mani il discetto di metallo che il piccolo gli stava tendendo.
È un metallo povero quello che usano per far allenare gli allievi più piccoli, è morbido ma si sfalda facilmente. Nonostante questo Bertoldo è riuscito a fare l’immagine che lui gli ha indicato: il giglio simbolo della loro città.
«Qui dovevi usare l’altro punteruolo, quello con la punta più appuntita», gli dice indicando un punto non proprio precido dell’incisione. «Ma sei stato bravo, Bertoldo. Diventerai un ottimo artista se continui così», lo gratifica scompigliandogli i capelli con un sorriso bonario, mentre il bambino lo guarda con grandi occhi felici.
«Grazie, maestro».
«Saresti un buon padre, lo sai?»
La voce con la quale è stata pronunciata quella frase la conosce bene ormai da anni e la riconoscerebbe tra milioni di altre.
La sua figura esile è messa in risalto dalla luce del primo pomeriggio che viene da fuori e il portamento regale contribuisce a renderlo quasi un’apparizione ultraterrena ai suoi occhi.
«Tu ci hai creduto quando te l’hanno detto?»
Cosimo ride e fa qualche passo avanti, in modo da essere illuminato non solo dalla luce che viene dalla strada dietro di lui ma anche dalle lanterne e dalle candele presenti nella bottega.
«Se continuano a dirmelo tutti sarà vero».
«Oppure sarà vero che hanno tutti timore che li mandi sul lastrico».
Cosimo ride ancora, con quella risata cristallina che gli fa sempre fermare il cuore nel petto e Donatello si unisce a lui dopo qualche istante.
«Chi è il giovane artista?»
«Lui è Bertoldo di Giovanni, un mio allievo», dice mettendo una mano dietro la schiena del bambino che gli si era fatto vicino. «È molto abile, diventerà un bravo artista».
«Ne sono certo».
Bertoldo sorride compiaciuto del complimento appena ricevuto.
«Lui invece è Giovanni, mio figlio», dice Cosimo presentando il bambino che fino a quel momento era stato attaccato alle sue vesti, quasi a volervi scomparire dentro. «Che ne dici di fargli vedere com’è la bottega del grande maestro Donatello?» chiede rivolgendogli un ultimo sguardo per essere certo che fosse s’accordo con la sua proposta.
Donatello annuisce e Bertoldo porta Giovanni nell’altra stanza.
Rimasti soli, Donatello continua a guardare Cosimo girare per quella che è la sua stanza da lavoro nonché la propria casa.
Lo vede piegarsi verso i disegni preparatori e analizzare schizzi e bozzetti.
Rimane sempre affascinato dal modo in cui Cosimo de’ Medici riesce ad essere perfettamente a suo agio in ogni situazione e in ogni luogo.
Il Medici si volta e lo guarda interrogativo, chiedendogli tacitamente spiegazioni per il suo sguardo fisso.
«Stai cercando qualche altra mia opera da vendere a qualche mercantucolo?»
«Io non vendo proprio nulla. Faccio solo conoscere le opere eccelse di un artista scorbutico a chi può permettersele».
«Oh, sei un benefattore quindi».
«Mmm… Non è quella la parola giusta», continua senza guardarlo. «A che punto sei?» domanda infine riportando lo sguardo chiaro su di lui.
Donatello indica il mezzo busto dinanzi a lui. «È praticamente finito, anche se c’è qualcosa che non mi convince».
Cosimo si avvicina all’opera e quindi a lui, più di quanto Donatello si fosse aspettato.
«È bellissimo», valuta con il tono leggermente trasognato.
«Sei sicuro?»
«Fidati di me. Di arte me ne intendo più di te».
Ridono di nuovo.
Ridono sempre un sacco quando sono insieme. O meglio, Donatello sente di ridere molto di più quando Cosimo è nei paraggi. È una cosa che gli viene spontanea, quando sente l’altro ridere e lo vede portare gli zigomi verso l’alto andando a racchiudere gli occhi in due mezzelune, non riesce a far altro che imitarlo.
A volte si rende conto che non c’è neanche un motivo per ridere, ma ha davvero importanza?
È davvero così importante avere un motivo per ridere quando è così spontaneo farlo?
«Allora lo lascerò così, se ti piace».
Cosimo annuisce con convinzione. «Domani messer Arrighi sarà domani a casa mia nel pomeriggio. Porta lì la tua opera, di sicuro potrà apprezzarla meglio alla luce del cortile, rispetto alla cripta buia nella quale lavori».
«La luce soffusa mi aiuta a concentrarmi», risponde semplicemente. «Sarò domani da te nel pomeriggio, allora».
Cosimo annuisce. «Hai fatto un ottimo lavoro», dice stringendogli una spalla e sorridendo appena.
Il volto di Donatello si illumina di compiacimento per il complimento appena ricevuto. «Ci vediamo domani», ribadisce quando Cosimo esce dalla sua bottega tenendo Giovanni per mano.
Donatello esce dalla bottega con un paio di suoi apprendisti che lo aiutano a portare l’opera richiesta.
Il cielo è chiaro e a Firenze le strade sono gremite come sempre in quell’orario, soprattutto nei pressi di Palazzo de Medici.
Si sente tranquillo in quel momento, alla sua età non ha più timore di ciò che gli altri possono dire sulla sua arte. Prima di tutto perché molte delle persone che stima e che ritiene avere una certa autorità nel campo dell’arte, apprezzano le sue opere; ed in secondo luogo perché ha imparato che la gran parte dei nuovi acquirenti che Cosimo riesce a trovargli sono più preoccupati di accostare il proprio gusto al loro che a comprare effettivamente qualcosa di valore.
Son fortunati che Cosimo sia uno dei pochissimi uomini che anche senza far arte, ne capiscono molto più di alcuni così detti artisti.
La porta di Palazzo de Medici si spalanca sul cortile interno. Ci sono alcuni servi ad attenderli e a portarli nel luogo designato da Cosimo, che non avrebbe potuto essere presente per un imprevisto improvviso riguardante il suo lavoro.
Donatello attende pochi minuti prima che il mercante in questione si faccia vivo.
«Lei deve essere Messer Donato, sono Benedetto Alberti», dice presentandosi con un sorriso falso e di circostanza.
«Piacere di conoscerla. Se mi vuole seguire, ho fatto predisporre l’opera in un luogo dove possiamo meglio apprezzarla».
«Non aspettiamo Messer Cosimo?» chiede l’uomo con una certa titubanza nella voce.
«Purtroppo Cosimo non potrà esserci per un inconveniente improvviso».
La delusione dell’uomo è palpabile. Strano che un mercante non riesca a mascherare la sua delusione, non deve essere molto esperto, o non deve ritenerlo abbastanza importante da usare gli espedienti del suo lavoro.
Donatello ha fatto disporre il mezzobusto su un cornicione di uno dei grandi corridoi terrazzati di Palazzo de Medici, di modo che il sole pomeridiano lo illuminasse in modo tale da mettere in risalto l’espressione che gli ha donato.
Giungono davanti l’opera dopo un numero di scale che ha stancato di molto il mercante e non troppo Donatello, abituato com’è a visitare casa Medici.
Il mercante lo osserva dapprima assorto, poi sempre più concentrato. Così tanto, che per Donatello è palese che stia mettendo su una pantomima per fargli credere di intendersi d’arte.
«Ho visto questo tipo di materiale durante uno dei miei viaggi verso Oriente. È di difficile reperibilità, vero? Sono certo che messer Cosimo lo ha fatto arrivare apposta per farvelo lavorare», dice compiacendosi sottintendendo che Cosimo l’avesse fatto arrivare apposta per la sua opera.
Donatello alza un sopracciglio e lo ascolta con le braccia incrociate, curioso di vedere fin dove si sarebbe spinto.
«È bronzo», dice infine. «Lo lavoro spesso», continua con la voce atona ma lo sguardo scettico.
Il mercante si rimette eretto dalla posizione che aveva assunto per esaminare meglio l’opera.
«Capisco. Quanto volete per quest’opera in bronzo?»
«Quaranta fiorini, messere».
Il mercante davanti a lui sgrana gli occhi lentamente, così tanto che Donatello quasi crede che gli sarebbero caduti dalla testa.
«Mi sembra un prezzo esagerato per una semplice opera i bronzo, messere».
«Un’opera in bronzo che lei ha scambiato per un pregiato materiale orientale se non sbaglio. La lavorazione è stata a dir poco meticolosa».
«E di quanto tempo lei ha dovuto predisporre per terminare questa meticolosa lavorazione se il metallo lo conosceva già e l’opera non è che un mezzo busto?»
Donatello sente una strana rabbia invadergli il corpo. Non gli succede da tempo che a qualcuno non piaccia una sua opera, né tanto meno che si azzardi a sindacare su quanto lavoro ha impiegato per realizzarla.
«Mi pare evidente che lei non si intende di arte».
«Mi pare evidente che lei non si intende di commerci, posso trovare statue esattamente come questa o anche migliori alla metà del prezzo».
Donatello sente l’ira prendere possesso del proprio corpo e della propria mente. Se è riuscito a trattenersi fino a quel momento è solo per il rispetto che nutre nei confronti del luogo nel quale si trovano. Non vorrebbe mai che casa de Medici sia teatro di qualche scandalo di cui parlare durante le feste della nobiltà fiorentina per colpa sua.
«Propongo di chiamare messer Cosimo e farci dire da lui cosa ne pensa, visto che è avvezzo sia ai commerci che all’arte».
Donatello acconsente con un gesto della testa e manda a chiamare Cosimo da uno dei suoi apprendisti che corre velocemente a portare il compito a lui assegnato con un’espressione terrorizzata in volta.
Donatello di solito gliele vede solo quando sono costretti ad interromperlo quando lui ha chiesto espressamente di non farlo.
Il sole sta iniziando a calare e il silenzio diventa palpabile. Donatello sente l’irrefrenabile voglia di lasciare lì il mercante e andarsene a bere del buon vino toscano nell’osteria più vicina, maledicendo chiunque osi ancora parlargli di mercanti, ma non può.
Se quel lavoro non gliel’avesse trovato Cosimo l’avrebbe già fatto, ma non può mancare di rispetto anche lui, così prende un grosso respiro e cerca di mandare giù il fastidio e la rabbia.
Cosimo arriva vario tempo dopo, trafelato e stanco. Donatello lo capisce dalle piccole rughe che gli circondano lo sguardo e dalle sopracciglia che tendono verso il basso, allungando il suo sguardo.
«Benedetto degli Alberti, che piacere vederti qui a Firenze. La città sentiva la tua mancanza», dice Cosimo con un sorriso enorme stampato in viso e l’espressione che sembra aver ritrovato vigore all’improvviso.
«Cosimo, ben ritrovato. Gli affari ti tengono in forma», lo saluta viscidamente l’altro.
Si scambiano qualche convenevole che Donatello si limita ad ascoltare con scarso interesse. Lo vede lontano un miglio che Cosimo non è davvero interessato a ciò che dicono, così come si accorge che i suoi gesti sono affettati, calcolati e privi della spontaneità che Donatello ha sempre apprezzato in lui.
Possibile che l’altro non se ne renda conto?
Anzi, se possibile ad ogni minuto che passa Donatello lo vede più sicuro di sé e più deciso della sua posizione.
Penserà che Cosimo tiene più in conto la sua opinione che quella di Donatello, ma lui lo conosce abbastanza da sapere che il Medici non si fida di nessun mercante e che se potesse si circonderebbe solo ed esclusivamente di uomini di cultura e di artisti, cosa che ovviamente Benedetto degli Alberti non è.
«Allora, hai visto che opera suprema ha realizzato Donato?» dice Cosimo riportando l’attenzione sul mezzobusto e su Donatello stesso.
Il mercante, che fino a quel momento ha ostentato sicurezza e baldanza, è ora in evidente difficoltà e si limita ad annuire e a balbettare qualche assenso.
«Io apprezzo in particolar modo la linea delle sopracciglia che sembra essere vera, per quanto è espressiva. Non trovi?»
Il mercante annuisce tentando di mascherare invano l’evidente confusione ed ignoranza che lo abitano.
«Di sicuro Donatello ha scolpito dal vivo. Non è così, amico mio?»
Lo stomaco di Donatello si stringe appena quando si sente chiamare con il vezzeggiativo del suo nome davanti ad un estraneo.
Non è insolito che Cosimo lo chiami così, ma di solito avviene quando sono in presenza di amici o quando son da soli.
In ogni caso non lascia troppo spazio all’emozioni e si affretta ad annuire.
«Vedi? È come ti dicevo, Benedetto. È un nuovo tipo di arte che si basa sulla verità. Donato è un maestro in questo», conclude mettendogli una mano sulla spalla.
È evidente che il mercante si trovi adesso a disagio, nonostante cerchi di continuare ad assecondare Cosimo.
Donatello invece inizia a sentire la rabbia scemare. La vista di Cosimo che porta avanti la discussione nell’esatta direzione in cui vuole mandarla, senza avere alcuna difficoltà lo diverte e lo appassiona al tempo stesso.
«Allora, qual è il problema. Perché mi avete fatto chiamare?» chiede infine guardandoli entrambi e riservando l’ultimo sguardo indagatore a Donatello, che vede al fondo del suo sguardo una tacita richiesta di spiegazioni, probabilmente unita ad una vena di preoccupazione, quasi sicuramente nata dall’espressione dell’apprendista che ha mandato a chiamarlo.
«Messer Cosimo, l’opera è senz’altro divina. Il qui presente Donato ha portato a termine senza ombra di dubbio un’opera che pochi altri sarebbero riusciti a portare a termine, ma è appunto un mezzobusto e mi pare poco conveniente il compenso che Donato richiede per esso».
Cosimo si volta verso Donatello che alza un sopracciglio sempre tenendo le braccia incrociate davanti al busto.
«Ho chiesto solo il compenso per il materiale e per il tempo dedicato a plasmarlo, tutto qui».
Cosimo annuisce assorto alle due constatazioni. «Quanto è il compenso che Donato le ha richiesto».
«Quaranta fiorini, messere».
Cosimo sgrana un poco gli occhi e Donatello si perde a guardare la luce del sole che si infrange sul suo viso invecchiato.
«Capisco quale è il suo rammarico, messer Alberti, e lo condivido».
Il mercante ritrova tutto a un tratto la sua spavalderia e si impettisce alle parole di Cosimo de Medici.
Donatello, però, lo conosce da troppo tempo per lasciarsi ingannare da quella che è una delle recite che Cosimo spesso ama mettere su.
«Effettivamente, Donato chiede troppo poco per un’opera di siffatta bellezza e maestria. Per un’opera del genere non è possibile richiedere il compenso solo per il materiale e per il tempo utilizzato per plasmarlo. Bisogna che si paghi anche per l’idea e per l’estro, nonché per l’esperienza e per il nome dell’artista».
Donatello a fatica sta riuscendo a trattenere una risata, dovuta al tono che usa Cosimo quando svela infine la sua recita.
«Io direi che cinquanta fiorini siano il minimo prezzo per questo capolavoro», conclude finalmente con il sorriso convinto, una mano stretta attorno alla sua spalla e gli occhi che sfidano il mercante a controbattere.
«Messer de Medici, ma l’artista conosceva già il materiale e ci saran voluti si e no trenta giorni per portare a termine il tutto. Vorrebbe dire pagarlo più di mezzo fiorino al giorno per un mezzobusto. Mi sembra ovvio che lei valuti più di quel che è quest’artista per amicizia».
Donatello, che ha cercato di tenersi calmo per tutto il tempo, all’ultima frase non riesce più a trattenersi e facendo un passo in avanti, punta un dito sul petto del mercante.
«Lei, messere, sta mettendo in discussione il parere di due uomini che sanno molto più di lei in arte e commerci di quanto lei potrà mai aspirare in una vita intera. Non sta a lei decidere quanto tempo io impieghi per la mia opera né quanta fatica mi è costata per realizzarla così come la vedevo nella mia mente. È evidente però che è riuscito a dimostrarci che lei l’arte non se la merita, così come non si merita il mio mezzobusto».
Così dicendo sposta di lato un braccio, senza mai distogliere lo sguardo dal mercante e urta il mezzobusto che in bilico com’era sul cornicione merlato viene sbilanciato facilmente e cade a terra, evitando per pochissimo qualcuno che passava di lì per caso.
Un silenzio irreale si crea tra i tre, finché Cosimo, evidentemente divertito non attira nuovamente l’attenzione su di sé.
«Niente più opera, niente più diatriba. Direi che la transazione è terminata. Ha perso un’ottima occasione di avere un’opera di Donato, se ne pentirà in futuro glielo assicuro».
Il mercante è visibilmente imbarazzato dalla situazione e dal fatto che Cosimo non ha accennato nemmeno per un attimo a dare la colpa dell’accaduto a Donatello, mentre invece risulta chiaro che è d’accordo sul fatto che è Alberti ad essere in difetto.
«No, aspettate. Perché terminare questa giornata così? Sono disposto a ripagare una seconda opera il doppio di ciò che ha proposto per la prima», dice di slancio.
Cosimo guarda Donatello. «Mi sembra un buon affare», dice semplicemente, ma Donatello non ha nessuna intenzione di dar ragione, né tanto meno a soddisfare qualsiasi richiesta dello zotico che si trova di fronte.
«Mi spiace, ma sono molto impegnato. Non ho tempo per prendere in carico la sua richiesta», risponde altezzoso, creando un’espressione disperata sul volto del mercante ed una divertita, al limite del riso, di Cosimo.
«Eh, gli artisti di questi tempi sono così richiesti. Mi spiace che la sua occasione di avere un’opera tale sia volata giù dalle mura di casa mia», dice Cosimo trattenendo veramente a stento una risata e facendo risollevare l’animo anche di Donatello che sarebbe scoppiato a ridere di lì a poco.
Il mercante li guarda entrambi con occhi di fuoco, prima di andarsene con il mantello svolazzante dietro di lui.
Cosimo e Donatello non riescono neanche ad aspettare di sentire il rumore del grosso portone richiudersi prima di scoppiare a ridere come due bambini in preda a chissà quale euforia.
«Non ci posso credere che lo hai buttato giù davvero», dice Cosimo con il corpo scosso dalle troppe risa.
«Meglio sul pavimento di Firenze che nella casa di uno del genere», risponde Donatello cercando di ricomporsi.
Cosimo gli mette una mano sulla spalla e lo guarda con gli occhi luminosi di allegria, Donatello lo ricambia perdendosi giusto un po’ nella sua espressione.
«Non credo che riuscirò mai più a togliermi di mente la sua faccia quando gli hai detto che non avresti preso in carico la sua commissione, non è abituato a sentirsi dire di no», commenta ricominciando a ridere e Donatello ride con lui. Un po’ per la situazione, un po’ perché ormai sono anni che sente Cosimo ridere e ancora non riesce a non lasciarsi trasportare dal suono prezioso che gli esce dal petto in quei momenti.
Se potesse intrappolerebbe la sua risata in una delle sue statue per riudirla ancora, ancora e ancora ogni qual volta ne avesse bisogno, ma non può, perché la sua arte è troppo statica per riuscire a imprigionare la mutevolezza del tono della sua risata.
Così si limita ad ascoltarla e a lasciarsi trasportare da essa ogni qual volta che può, cercando sempre di farla dilungare all’infinto. Illudendosi che così facendo riuscirà a portarsela per sempre nella mente e nel cuore, anche quando saranno così vecchi da non riuscire più a ridere o quando le loro membra giaceranno inermi in qualche tomba fredda e buia dimenticate da tutti coloro che calcheranno il mondo con passi nuovi.