With no hope, no fear
Mar. 20th, 2019 07:19 pmPairing: Nessuno
Warning: Pippone introspettivo
Prompt: parità
Questa storia partecipa al cow-t9 di Lande di Fandom
La pioggia cade imperterrita inzuppando tutto ciò che tocca, noncurante di null'altro che di sé stessa.
Nel piccolo cortile adiacente la villa, pozzanghere di tutte le dimensioni si stanno formando alimentate dall'incessante temporale.
Guarda la superficie fragile venire bombardata e deformata dalle gocce.
Come può una cosa così piccola e insignificante turbare in modo così violento il velo d'acqua?
I piedi penzolano lungo il muretto sul quale è seduta e l'acqua ha ormai infradiciato sia i suoi capelli che i vestiti ma sa che nessuno la sgriderà per questo. Sa che nessuno la verrà a cercare.
Chissà cosa avrebbe detto suo padre se al suo posto ci fosse uno dei suoi fratelli. L’avrebbe di sicuro sgridato e gli o le avrebbe ricordato che il suo dovere è quello di salvare il mondo, di certo non quello di guardare cadere la pioggia.
Avrebbe fatto rammentare a tutti che loro non sono normali, sono straordinari e come tali devono comportarsi in ogni istante della loro vita.
Mentre lei è libera di fare ciò che vuole.
È libera di giocare, mangiare ciò che vuole, inzupparsi di pioggia o congelare nella neve.
È così libera che è persino libera di morire e nessuno la fermerebbe.
I tacchi delle scarpe sbattono vicino il muretto, schizzando l’acqua sulle calze bianche che indossa.
La divisa è bagnata ed è appoggiata sul corpo mollemente. Si tira la gonna, alliscia la giacca, ci tiene tanto a quella divisa. È l’unica cosa che la rende simile ai fratelli. L’unica cosa che la rende parte della famiglia.
Uno schiocco sordo alle sue spalle attira la sua attenzione ma non si volta. Sa già cosa lo ha prodotto. O meglio chi.
«Sapevo di trovarti qui».
Numero Cinque le si siede accanto, lamentandosi del muretto bagnato zuppo con quella vena polemica che lo ha sempre contraddistinto. Vanya lo trova divertente, però, e infatti i suoi pensieri cupi sono rischiarati appena dal sorriso che le scappa.
«Che ci troverai mai nell’inzupparti ogni volta che piove non lo capirò mai», dice chiudendo gli occhi di tanto in tanto per le gocce che sbattono sul suo viso causandogli fastidio.
Si stringe nelle spalle in risposta.
Numero Cinque in questo è sempre stato molto diverso da lei. Se c’è qualcosa che non gli sta bene lo dice subito e si adopera per cambiarla a proprio piacimento, in realtà si lamenta anche delle cose che gli stanno bene, giusto per il gusto di far polemica. Lei invece è più simile alla pozzanghera davanti a loro, si lascia colpire e riempire da ciò che la vita le lancia addosso.
Rimane a terra immobile finché qualcuno non ci mette un piede dentro, rendendosi conto che ormai è troppo tardi ed è già zuppo.
«Papà si arrabbierà molto se ti vede qui fuori», lo avverte non perché lo vuole mandar via, piuttosto perché conosce i metodi che il padre usa per punirli.
Una volta l’ha tenuta chiusa in cantina per tantissimi giorni e lei neanche si ricorda cosa avesse combinato per meritarsi una punizione simile.
Non può neanche immaginare cosa deve passare Klaus quando lo porta al cimitero considerando il suo volto pallido e l’espressione cupa che veste anche nei giorni successivi.
Cinque la guarda con un’espressione strana, per qualche istante a Vanya sembra che stia per dire qualcosa di molto intimo e doloroso ma alla fine lo vede scuotere le spalle, mettere su l’espressione sarcastica che usa spesso e dire: «Non riuscirebbe comunque a tenermi fermo in nessun posto», e per buona misura scompare all’istante per ricomparire dall’altro lato di Vanya.
Lei lo guarda stupita, anche se glielo ha visto fare milioni di volte. A volte pensa che rimarrà sempre stupita dalla semplicità con la quale i fratelli usano i loro poteri.
Si domanda se loro si chiedano mai cosa si provi ad essere completamente ordinari come lo è lei, se si domandano come si debba sentire a vederli allenarsi, giocare, combattere senza poterne prendere parte.
A volte si chiede se si accorgano di lei e dei suoi tentativi di attirare l’attenzione, o se è così ordinaria da essere invisibile persino ai loro occhi, oltre che a quelli del padre.
«Già, tu sei sempre un passo avanti a tutti».
«Esatto, grazie per averlo notato, Vanya. Io credo che non in questa casa non si dia il giusto peso al mio potere. Papà è convinto che io non possa viaggiare nel tempo, quando io so per certo di essere pronto. So che posso farcela ma lui non lo vede, continua a perdere tempo a cercare di allenare Klaus, come se vedere i fantasmi possa essere più interessante di poter andare nel futuro»
Vanya è rimasta ad ascoltarlo con i piedi che penzolano, lo sguardo fisso verso il basso e la bocca chiusa, non perché non avesse cose da dire, ma perché tanto neanche Cinque l’avrebbe presa sul serio.
E perché mai avrebbe dovuto farlo?
Non governa l’andamento di coltelli da lancio, non può esaudire tutti i suoi desideri, men che meno spostarsi da un punto all’altro della stanza scomparendo, perché mai qualcuno dovrebbe prestare attenzione a lei piuttosto che ad uno dei suoi fratelli straordinari?
Con loro condivide solo ed esclusivamente lo stesso giorno di nascita, infatti Vanya è quanto di più lontano ci sia da qualsiasi cosa possa essere ritenuta straordinaria.
«Numero Cinque».
La voce di sir Hargreeves giunge alle loro orecchie alta e gracchiante.
Si voltano all’unisono anche se il richiamo era per solo uno di loro.
«Vuoi prenderti un raffreddore e finire chissà dove durante uno dei tuoi viaggi per distrazione? Fila immediatamente a cambiarti».
Cinque alza gli occhi al cielo. «Se potessi viaggiare nel tempo saprei quando piove e quando no, così non rischierei di ammalarmi», tenta terminando la frase con un sorriso così falso da sembrare disegnato.
«Le previsioni meteo fanno lo stesso lavoro», si limita rispondere con tono perentorio che non solo non ammette repliche ma ribadisce l’ordine precedentemente impartito.
Cinque sbuffa sonoramente e con un altro sonoro “pop” scompare dalla loro vista.
Vanya guarda con occhi grandi e disillusi la schiena del padre voltarsi per rientrare in casa senza dirle una parola.
«Se uno dei tuoi fratelli si ammala ti riterrò responsabile».
La frase rimane sospesa nell’aria come una minaccia che la lascia impietrita.
Non sa bene quanto tempo passa prima che abbia nuovamente il coraggio di muoversi e tornare a respirare.
La pioggia è diventata ancora più fitta e piccoli brividi iniziano a correrle lungo la schiena. Sta per alzarsi quando Pogo si affaccia alla porta.
«Signorina Vanya, presto rientri, non vorrà mica ammalarsi».
Vanya si alza, con l’animo scuro come il cielo in quel momento. Neanche questa volta è riuscita ad attirare l’attenzione del padre se non finché Cinque non è stato con lei.
Probabilmente non ci riuscirò mai, probabilmente dovrei smettere di provarci.
Passa qualche giorno dall’episodio del temporale che Vanya decide di ritentare con il padre.
Lui sta leggendo sulla sua poltrona.
Vanya si accerta che nessuno dei suoi fratelli sia nei paraggi pronto a rubarle l’attenzione.
«Papà».
La risposta è un mugugno assorto.
«Posso giocare anche io con i miei fratelli?»
«Te l’ho già detto, Numero Sette. Tu non hai nulla di speciale».
Vanya rimane in silenzio per un po’, per quanto sia abituata a quella frase ogni volta che le viene rivolta fa in modo di frapporre tra lei ed i fratelli un altro gradino che li rende sempre più lontani e irraggiungibili.
Si dondola sui talloni e si guarda attorno, alla ricerca di qualcos’altro che possa aiutarla a trovare un altro argomento.
Sul tavolino, accanto alla poltrona, c’è una custodia semi aperta. Vanya si avvicina come in trance, attratta dall’oggetto come una falena da una luce al neon.
La custodia è nera e liscia, la pelle è solo appena più fredda delle sue mani. La apre e all’interno scorge un violino che ai suoi occhi di bambina sembra bellissimo.
Sir Reginald Hargreeves si volta giusto in tempo per vederla sfiorare con un dito la superficie lucida e marrone.
Vanya alza lo sguardo e per un attimo soltanto nei suoi occhi non c’è l’espressione di rimprovero e austerità a cui tutti loro si sono abituati.
Per quell’istante soltanto nei suoi occhi c’è stata un’altra emozione che però Vanya non è riuscita a cogliere.
Tale curiosità viene subito mangiata viva a grandi morsi dalla paura di essere stata colta a fare qualcosa che non avrebbe dovuto.
Il padre però tarda a rimproverarla, anzi, riporta l’attenzione sul giornale davanti a lui.
Non sa bene dove riesce a trovare il coraggio di fare la domanda successiva.
«Posso prenderlo?»
«Tu non sai suonarlo».
«Imparerò».
Sir Hargreeves non la guarda, rimane con lo sguardo fisso davanti a lui per qualche istante, poi riabbassandolo sul giornale le risponde: «Prendilo pure, da domani puoi iniziare a prendere lezioni da tua madre».
Il cuore di Vanya perde un battito per quanto è felice in questo momento. Un sorriso enorme e sincero le si dipinge sul volto, anche se il padre non può vederlo concentrato com’è su altro.
«Grazie, padre».
Con la custodia stretta in mano va in camera sua senza riuscire a trattenere la felicità e l’entusiasmo.
Finalmente avrà qualcosa che gli altri non hanno, finalmente sarà speciale anche lei.
Le lezioni di violino procedono a ritmo serrato, tutti i giorni Vanya chiede alla madre di istruirla e quando lei è assorta da altri compiti lei continua da sola, nel silenzio della sua camera, ad allenarsi.
Il suono del violino è acuto eppure pieno e la riempie completamente, come una litania che le avvolge il cuore facendolo battere al ritmo da lei dettato.
Quando suona, la musica diventa il suo unico mondo, non esiste più villa Hargreeves con il suo salone enorme e lo scalone che porta alle camere al secondo piano dove i suoi fratelli sono intenti a fare qualsiasi cosa a cui lei non è degna di partecipare.
Quando suona la sua vita si trasforma. Il padre non ha lo sguardo serio e severo e non si ostina a chiamarli con dei numeri. Li chiama tutti per nome, tranne Cinque che un nome non lo ha voluto.
Mentre le sue dita toccano e bloccano le corde del violino, la sua famiglia va in vacanza al mare tutte le estati e la mamma compra loro il gelato, i ragazzi giocano tra di loro buttandosi in acqua e schizzandosi mentre lei e Allison fanno finto di essere una di quelle attrici che la sorella tanto ammira, con uno stuolo di ammiratori pronti a fotografarle, oppure due sirene portate nel mondo degli umani da chissà quale profezia.
Ad ogni onda dell’archetto sulle corde, la sua famiglia si riunisce per andare a vedere la partita di basket di Luther, il torneo di scherma di Diego o la sua gara di spelling e alla fine, sia che vincano sia che perdano tutti si amano ancora, come le famiglie che ci sono in televisione o in alcuni dei libri che legge.
Senza rendersene conto, Vanya ha iniziato a costruire una vita nuova nella sua testa che poggia sul suono straziante della melodia che sta imparando a suonare e che le tiene compagnia ogni volta che i suoi fratelli escono per salvare il mondo ma lei è troppo ordinaria per seguirli.
Va a visitare la sua famiglia nella musica ogni volta che gli altri si allenano e lei viene allontanata perché è normale.
Si rifugia nel suo sogno ogni volta che il padre è troppo occupato con qualcuno dei suoi affari, la mamma ad occuparsi di uno dei suoi fratelli e gli altri sono troppo presi dalle loro vita straordinarie per rendersi conto che nel seminterrato del palazzo della loro magnificenza vive anche qualcun altro, che cerca di risalire le scale dell’essere accettati o quantomeno notati ma ogni volta le viene sbattuta la porta in faccia.
Dopo mesi che si allena finalmente Vanya si sente pronta a rendere la sua vita costruita sul suono del violino la realtà. O almeno a far assomigliare quanto più possibile la sua realtà a ciò che il violino le ha costruito nel cuore.
Sir Reginald Hargreeves è seduto sulla poltrona di pelle marrone posta davanti ad una finestra, di modo che la luce naturale del sole illumini il quotidiano che sta leggendo attentamente.
«Padre».
La voce di Vanya è una nota sottile nel silenzio denso che avvolge il salone e che aleggia in tutto il piano della casa come il pulviscolo dorato che si intravede quando viene irradiato dalla luce che filtra dalla finestra.
Il padrone di casa non le risponde, il suo naso è ostinatamente tenuto fisso sulle pagine del giornale bianco che tiene saldamente tra le mani.
Vanya si volta dietro. La mamma perlomeno è lì per lei e la guarda con il suo sguardo fisso e il sorriso perfetto.
A volte le ha fatto paura l’espressione vacua che mostra ma è quanto di più umano possano trovare in quella casa. Pian piano è diventato un sollievo trovare il viso della madre perso in quell’espressione felice, come se niente di tutto ciò che accade in quella casa fosse vero.
«Padre ho imparato una nuova melodia, vorrei fartela ascoltare», continua la bambina timida ed impacciata, cercando di non farsi prendere dall’agitazione.
Sir Reginald Hargreeves fa un solo cenno del capo accompagnato da un gesto fugace della mano e Vanya sa che non le verrà rivolto alto in quel momento.
Prende un respiro e lo butta fuori.
Andrà bene.
Posiziona il violino sotto il mento, l’archetto pronto a danzare sulle corde e le dita attente a toccare le corde giuste.
Chiude gli occhi per un attimo e poi inizia. Il silenzio che avvolgeva fino a poco prima il piano di casa Hargreeves viene riempito dal suono sottile delle note che il violino produce.
Il polso di Vanya si muove sinuoso facendosi trasportare dalla melodia che gli mostra immagini di una vacanza di famiglia e di una serata di giochi in famiglia, dove sono tutti seduti attorno ad un tavolo.
Ci sono la mamma, tutti i suoi fratelli, sua sorella Allison e anche Pogo. Ci sono patatine e Coca-Cola che i genitori gli hanno permesso di bere solo per quella sera. Non stanno festeggiando nulla se non la felicità di essersi ritrovati come famiglia e la bellezza di giocare tutti insieme.
Diego e Luther bisticciano, Ben e Klaus parlottano tra di loro, Allison ride di gusto ad una delle rispostacce che Luther dà a Diego e Cinque li guarda tutti dall’alto della superiorità che sente di avere nei confronti degli altri ma in realtà è divertito, Vanya lo capisce dalla linea della sua bocca atteggiata in un leggero sorriso.
Il padre le accarezza la testa e le dice che è il suo turno e le sorride. Un sorriso a cui Vanya risponde con uno simile.
La melodia del violino viene brutalmente interrotta dal suono di una sirena. Vanya si ferma all’istante. È di nuovo a villa Hargreeves. Il padre non la guarda sorridente. I suoi fratelli non sono accanto a lei.
Sir Reginald Hargreeves la supera a grandi falcate senza rivolgerle né una parola né un gesto, come se fino a quel momento non ci fosse stata, come se la sua presenza non avesse fatto nessuna differenza per lui.
«Ragazzi muovetevi, è l’ora di andare», lo sente chiamare gli altri dallo scalone.
Vanya è rimasta immobile dove era prima, con il violino tenuto mollemente lungo il corpo, l’archetto a fargli da specchio dall’altro lato e gli occhi che si stanno riempiendo velocemente di lacrime.
È stata una stupida a pensare di poter riuscire ad essere per una volta più importante dei suoi fratelli. O anche solo importante come i suoi fratelli.
Non sarà mai alla loro altezza.
Non sarà mai loro pari.
Perché lei è nata normale e non straordinaria.
La madre le si avvicina con passo cadenzato e celere.
«Vedo dal tuo viso che sei un po’ giù di morale. Vado a prepararti dei biscotti».
Vanya non si prende la briga di rispondere, lo sa che non avrebbe senso. Rimette a posto il violino e l’archetto, preparandosi a mangiare per l’ennesima volta i biscotti della madre da sola.
*
La testa le gira e i pensieri sono confusi.
Non ricorda dove sia, le pareti che la circondano non le ricorda. Non le riconosce.
Non è il suo appartamento.
Non è neanche casa di Leonard.
Nemmeno la sua vecchia stanza a villa Hargreeves.
Le pareti sono grigie, tetre e tempestate di piccole piramidi che sembrano volerle cadere addosso o soffocarla.
Si muove lentamente, le fa male il collo e la schiena.
Sbatte le palpebre una, due volte. Gli occhi ancora faticano a mettere bene a fuoco ciò che ha intorno.
Davanti a lei c’è una porta. Una porta chiusa. Al di là di essa una figura grande ed imponente la guarda con le braccia conserte.
Vanya cerca di mettersi a sedere, il collo fa male, come se l’avesse schiacciata un sasso. Lo muove cercando di alleviare l’indolenzimento e il dolore che ne consegue.
La figura in piedi al di là della porta la guarda ancora fissa.
Finalmente la sua mente si schiarisce e la consapevolezza di Luther fuori dalla porta e lei dentro la terrorizza.
Si guarda attorno con occhi grandi di paura, si alza all’istante e va verso la porta per cercare di aprirla.
È bloccata.
Prova ad aprirla di nuovo.
Ma è davvero bloccata.
Cerca di chiamare Luther ma lui continua a guardarla come se fosse un animale in gabbia, restando immobile al suo posto.
Sbatte una mano sul vetro spesso e quasi opaco.
«Apri», urla. La sua voce però è strana, non si propaga come al solito.
Il respiro comincia a farsi affannato e il cuore inizia a battere forte.
Sbatte le mani ancora e ancora, cercando di convincere il fratello, pregandolo e supplicandolo di farla uscire, ma lui non la sente o non vuole ascoltarla, non sa quale delle due.
Fatto sta che rimane immobile ad osservarla, come se il terrore che prova in quel momento non lo riguardasse, come se non lo tangesse, come se non fosse affar suo.
Vanya sente il cuore stringersi in una morsa di paura.
Sprazzi di ricordi le affiorano nella mente mentre urla disperata di voler uscire da quel posto terrificante.
Ricorda la faccia di Leonard che le dice di guardare i lampioni attorno a loro.
Ricorda di non aver capito cosa intendesse e ricorda la melodia che ha sentito dentro di lei quando ha per un attimo ceduto alla possibilità che fosse stata davvero lei a causare quello.
Ricorda la sensazione di nausea per essersi sforzata così tanto di spostare la barca invano.
E ricorda il momento in cui si è resa conto che Leonard non è mai stato interessato davvero a lei, che era interessato alla melodia che era dentro di lei e non a lei, perché quella non è lei.
Non può esserlo, altrimenti tutta la sua vita sarebbe stata un’inutile perdita di tempo e non può essere così.
Intanto sono arrivati tutti i fratelli, tutti la guardano compatendola in un certo senso ma nessuno le apre, nessuno ha la forza di opporsi alla decisione di Luther, nessuno ha abbastanza forza di opporsi al suo corpo di gorilla.
La consapevolezza di essere finalmente al centro dell’attenzione dei fratelli la fa fermare per un attimo. Ha desiderato così tanto di essere vista finalmente dagli altri che non ha mai pensato che potesse diventare il suo peggiore incubo.
Non la guardano come una loro pari, come ha sempre sperato, la guardano con distacco come un leone allo zoo.
Non è quello che voleva quando era piccola.
Né ciò che desidera adesso. In questo momento vorrebbe solo andare via e tornare ad essere invisibile per loro, come lo è sempre stata.
Il respiro le manca nel petto quando vede Allison arrivare al di là della porta.
Mentre gli altri continuano a guardarla come un animale strano e pericoloso, come uno squalo intrappolato in un acquario, lei ha un’espressione diversa.
Vede la garza attorno al collo do Allison e vede il suo taccuino e l’immagine fugace della sorella stesa a terra, in una pozza di sangue le fa perdere un battito.
Riporta lo sguardo su di lei, terrorizzata dalla rabbia che potrebbe leggere nei suoi occhi ma in realtà tutto ciò che vede nei suoi occhi castani è stanchezza e un velo di supplica rivolto a Luther.
Chiede loro di lasciarla uscire, nonostante sia lei la causa del blocchetto che sta usando. Dice che non è stata colpa sua e Vanya vorrebbe abbracciarla e chiederle scusa, supplicarla di perdonarla e chiederle se sta bene ma non può perché è chiusa in quella maledettissima gabbia.
Sbatte ancora una volta un pugno sul vetro spesso ma Allison è debole ed ha un mancamento e lei torna ad essere la sorella dimenticata da tutti.
La bambina troppo normale per destare l’attenzione di chiunque.
L’adolescente invisibile che nessuno si ricorda di chiamare.
L’adulta rimasta sola, al margine di una famiglia che è stata sempre troppo.
Lacrime calde cominciano a rigarle il viso. Sono lacrime di frustrazione. Amare. Impregnate dell’odio che per tanto tempo ha rivolto solo a sé stessa.
La verità è che non è colpa sua se è così.
La realtà dei fatti è che l’hanno fatta diventare così, l’hanno costretta a dimenticare ciò che è davvero, rendendola qualcuno che non era destinata ad essere.
Si accuccia su sé stessa.
Questa è la stanza dove papà ci ha rinchiuse perché aveva paura di noi.
Luther ci ha rinchiuse qui perché ha paura di noi.
Non sei mai stata una loro pari perché sei sempre stata migliore di loro.
Migliore di tutti loro messi insieme.
Migliore del tuo padre adottivo che voleva usarti ma era troppo debole per farlo.
Vanya si preme le mani sulle orecchie perché ha paura di dare ascolto a quelle parole intrise di un odio che ha coltivato per anni ma che ha sempre rivolto internamente.
Ha paura che una cosa così grande e oscura e fuori controllo riversata all’esterno possa causare problemi che in realtà non ha mai voluto.
Le voci dentro di lei però continuano a parlarle e lei non riesce a zittirle.
Non riesce a farle tacere.
Vorrebbe solo che la facessero uscire e tutto finisse all’istante.
Sai che se vuoi puoi uscire.
Tu puoi fare tutto, Vanya.
Loro hanno solo paura di te.
Sono terrorizzati dal fatto che tu possa rubare loro la scena, non ti hanno mai voluto bene e mai te ne vorranno.
Prima di te ci sarà sempre qualcosa.
Allison però ci ha provato. Allison ha tentato a farla uscire, questo lo ha visto, neanche le voci nella sua testa possono negarlo.
E perché lo avrebbe fatto secondo te? Per te?
Lo ha fatto solo perché si è sentita in colpa di tutti gli anni che ti ha fatto passare pensando che tu sei inferiore a lei.
Lo ha fatto perché le hai fatto pena.
Non tiene a te, Vanya.
Nessuno di loro tiene a te.
Ti temono e basta.
Tu hai provato a cercare un contatto.
Hai provato a spiegare cosa fosse successo.
E come ti hanno ripagato?
Rinchiudendoti qui dentro come un cane.
Le voci cominciano a farsi confuse. La sua voce comincia a farsi confusa.
Si rivede da bambina. Si rivede da adolescente, è lei e non lo è al tempo stesso.
La melodia che risuona dentro diventa un ringhio feroce che le graffia l’anima e il cuore. Spinge per uscire e per essere liberato. Sente che sta per prendere il sopravvento su di lei. Sente che spinge per prendere possesso della sua mente, del suo cuore e ogni fibra del suo essere.
La sé stessa più piccola la spinge a lasciarsi andare. La sé stessa adolescente la spinge ad avere il coraggio di trovare il suo posto nel mondo.
Hai sempre dovuto avere un posto nel mondo, Vanya.
Hai sempre dovuto avere un posto in questa famiglia.
Te lo hanno negato per troppo tempo.
Adesso hai la forza di prenderlo e affermarti come sei sempre stata destinata a fare.
Nessuno ti metterà strane voci in testa. Nessuno avrà il più potere di avvicinarsi a te se tu non lo vorrai.
Nessuno sarà al tuo livello.
Il cuore inizia a battere veloce e forte. Lo sente rimbombare nel petto. Lo sente pompare sangue. Sente i polmoni dilatarsi e restringersi mentre inspira ed espira l’aria ritmicamente.
Sente il ringhio dentro di sé cercare di armonizzarsi con il battito percussivo del suo cuore e sa che ciò che le stanno dicendo è in parte vero ma lei non vuole far del male ai suoi fratelli.
Lei vuole solo essere vista da loro, vuole solo essere parte del gruppo.
Anche adesso che l’hanno rifiutata e messa da parte così apertamente, anche ora che Vanya sa di essere valida quanto loro se non di più, non riesce a provare rancore nei loro confronti.
Tutto ciò che vuole adesso è uscire da quella maledetta gabbia e fare ciò per cui si è impegnata da tutta la vita.
Allora fallo.
Adesso puoi.
Tiraci fuori da questa prigione.
Vanya mette i palmi delle mani a terra. Distende le dita come se con quel gesto volesse dimostrare a sé stessa che ha il controllo del suo corpo.
Fa forza sulle braccia e si alza in piedi.
Il cuore batte ancora forte e ritmicamente e lei si concentra su di esso.
Si concentra sul rumore sordo che provoca nel suo petto, sulla leggera pressione che sente nel petto.
Inspira.
Il suo cuore è un tamburo con la pelle tesa percossa dalla sua rabbia, che incanala nel desiderio di essere ovunque meno che lì in quel momento.
Espira.
Sente il ritmo del suo cuore rimbombare in tutta la gabbia nella quale chiusa. Lo sente prendere possesso di ogni più piccolo angolo e insenatura, lo sente entrare dentro di lei e uscire nuovamente fuori propagandosi ed è lì che mette l’attenzione.
Sulla percezione di un’onda che fuoriesce da suo corpo e si propaga nel mondo, plasmandolo secondo la sua logica e il suo volere.
Per l’ultima volta inspira e quando sente il battito del suo cuore sa che esattamente quando sentirà il prossimo ed è pronta a rilasciare energia e respiro insieme.
C’è un istante calma surreale prima che rilasci l’energia amplificata dal rimbombare del sangue nelle orecchie e in ogni sua vena, sospinto dal cuore.
Un’onda di energia si libera dalle catene del suo corpo e si propaga travolgendo non solo la porta della prigione insonorizzata nella quale era stata rinchiusa ma anche parte del seminterrato.
Piccoli pezzetti di muro ancora fluttuano nell’aria attirati verso il basso dalla gravità quando si rende conto che le voci nella sua testa si sono adesso quietate, le percepisce solo nella gioia folle e primordiale che le pervade l’animo quando si rende conto di essere riuscita nel suo intento.
Con una calma e una sicurezza che non pensava di poter avere, mette un piede davanti all’altro, evitando i pezzi di metallo rotti che giacciono scomposti sul pavimento davanti a lei, come se fossero stati sempre lì.
Come se non fosse la prima volta che usa il suo potere in quel modo distruttivo e totalizzante.
Sente solo la consapevolezza di essere finalmente ciò che è sempre stata destinata a diventare.
Si dirige al piano di sopra con lo sguardo fisso e serafico, non ha intenzione di lottare con i suoi fratelli. A che scopo dovrebbe farlo? Loro non possono nulla contro di lei in quel momento.
Nessuno può nulla contro di lei in quel momento.
Finché non è stata consapevole di ciò che può fare gli altri hanno avuto il potere di decidere per lei, ma adesso non ha intenzione di permetterlo.
Da quel momento in poi sarà esattamente ciò che è, senza limitazione alcuna.
Prende il violino ed esce da villa Hargreeves con l’intento di prendere parte al concerto nel quale suonerà come primo violino, perché è questo ciò che è destinata a fare: suonare.
Non importa il fatto che ha iniziato a suonare per il padre, non importa neanche la voce che sente rimbombargli nella testa e che continua a dirgli di suonare e distruggere tutto ciò che le sta intorno.
Importa solo il destino che la sta conducendo adesso al teatro.
La melodia che le risuona nel petto è potente e non ringhia più, piuttosto canta acuta e lamentosa, imponendosi su chiunque persino su Vanya stessa che la sta suonando.
D’un tratto, è come se non fosse più lei a produrre la melodia ma la melodia a muovere lei e si lascia totalmente trasportare dal potere dentro di lei.
Non si accorge del caos che si crea nella platea.
Né del fatto che tutti scappano, fuggono e corrono e impauriti dalla sua melodia.
Più che non accorgersene, registra con una parte della sua coscienza l’assenza della folla che prima l’ascoltava e la presenza invece dei suoi fratelli che tentano di raggiungerla.
Non ci riusciranno, non mi raggiungeranno mai più.
Onde di energia si liberano ad ogni nota nuova, ad ogni nuovo accordo, ricacciando indietro i fratelli.
Si ritrova di nuovo al centro della loro attenzione, ma ormai è troppo tardi. Non possono più sperare di convincerla così, la loro attenzione, il loro amore, la loro considerazione non sono più un suo desiderio. Non sono più una sua priorità.
Per quanto il solco del desiderio passato sia profondo e ancora presente lei ormai è riempito dalla sua nuova forza, dalla sua ritrovata energia e dalla rinnovata consapevolezza che tutti gli anni passati a cercare di raggiungerli sono stati vani perché non si è mai accorta della verità.
Non è lei a dover raggiungere il livello dei suoi fratelli per essere pari loro. Non è mai stata lei quella in difetto.
Quelli troppo deboli per raggiungere il suo livello in realtà sono loro. Sono sempre stati così egocentrici da non rendersi mai conto che, rispetto a lei, non sono altro che bambini che cercano di combattere la guerra con armi giocattolo.
E questa volta, ha intenzione di combattere fino alla fine.