smile_92: (Default)
smile_nd ([personal profile] smile_92) wrote2025-04-19 01:19 am

Keep The Faith

Fandom: Bon Jovi
Pairing: Richie Sambora/Jon Bongiovi
Note: pre documentario
Warning: angst, bad ending

Questa storia partecipa al COWT-14 di LDF per la SESTA SETTIMANA per la M5 con prompt Bad Ending
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Quando gli avevano detto che doveva fare una scelta nessuno gli ha confessato che sarebbe stato così difficile. Quando aveva aperto la porta quel giorno non pensava di dover scegliere tra il suo cuore e la sua anima.
Eppure, eccolo lì.
Incastrato in una minuscola stanza con la porta spalancata sul dolore più grande della sua vita.
Jon lo guarda con gli occhi colmi di lacrime, il labbro che trema e l’ostinazione in volto di non volergliela dare vinta. Jon non ha mai ceduto con lui, non è mai stato un tipo remissivo, non ha mai ascoltato davvero i suoi consigli.
O meglio.
A un certo punto ha smesso di farlo.
C’è stato un tempo in cui lui e Jon erano una persona sola. Non c’era un inizio e una fine, non c’era un Richie o un Jon. C’erano solo loro due. E quello che pensava uno lo diceva l’altro e quello che uno temeva lo affrontava l’altro e Richie non si è mai interrogato troppo sulla natura di questo rapporto. Non ha mai avuto motivo di farlo, non quando tutto sembrava così giusto, così pieno, così vero da non poter essere intaccato.
Sono riusciti a rovinarlo però. Sono riusciti a rompere il legame, a farlo scattare come gli ingranaggi di un orologio che un tempo funzionava ma sta perdendo colpi.
Il prima ingranaggio al posto sbagliato, Richie lo ha sentito il giorno in cui Jon è tornato dal viaggio con Dorothea con un anello al dito.
A quel tempo non si era interrogato davvero su cosa gli avesse dato fastidio, ha solo pensato a mettere il muso finché Jon non gli ha chiesto cosa avesse e a quel punto gli ha riversato addosso qualsiasi cosa gli venisse in mente. Cose mai successe, cose mai pensate, cose che erano vere solo nella mente degli altri.
Gli ha detto che lo teneva in disparte perché aveva paura gli rubasse il posto in prima fila. Gli ha detto che per colpa sua aveva abbandonato i suoi sogni e gli ha detto che se non fosse stato per lui non ci sarebbe stato alcun gruppo.
Non aveva mai visto Jon così arrabbiato e ferito. Non ancora almeno. Jon aveva urlato allo stesso modo. Gli aveva detto che era geloso, che il gruppo non aveva bisogno della sua negatività e delle sue sbronze che rovinavano sempre le prove e a volte anche qualche live.
Non si erano rivolti la parola per giorni. Finché il manager non gli aveva chiusi in uno studio di registrazione e se ne erano usciti con Keep The Faith.
A Richie quell’album piace, gli ha sempre fatto pensare ad una casa che resta in piedi nonostante le intemperie, una casa vecchia, malandata e con le fondamenta da recuperare ma pur sempre un rifugio per chiunque voglia essere accolto.
Sebbene avessero ritrovato l’intenzione artistica non erano mai tornati ad essere un’unica persona come prima.
E Dio, se ci aveva provato.
Ci aveva provato e come. Ogni volta entrambi si tendevano allo sfinimento l’uno verso l’altro cercando di prevedere cosa avrebbero detto, cosa avrebbero voluto sentire, cosa poteva essere fatto per far stare l’altro con il cuore comodo ma finivano per non capirsi.
Si sforzavano così tanto di andare d’accordo come prima, di sentirsi di nuovo parte di un unicum che non rimaneva loro nessun’altra forza.
Solo la musica sembrava andare più o meno per il verso giusto ed era per un solo motivo. Richie stava pian piano assumendo il ruolo che tutti loro avevano sempre finto lui avesse: quello del chitarrista.
Non il motore centrale del gruppo, non uno dei parolieri, non uno dei due cuori che mandava avanti quella maledetta macchina che a fatica cercavano di portare in cima al colle.
Era il chitarrista, e come tale scriveva i suoi assoli e parte della melodia, ma non stava più fino alle tre di notte con Jon a cercare il suono perfetto di quella frase.
Non correva sotto casa di Jon alle cinque del mattino per dirgli che finalmente ci era riuscito, aveva trovato l’accordo perfetto.
Semplicemente ormai faceva il suo lavoro.
Il lavoro di un chitarrista che ama la musica ma che alle tre si trova in uno dei pub peggiori della città dove sono in tour e alle cinque si trova nel letto due o tre persone che neanche ricorda dove ha trovato.
Lo ricorda lo sguardo di Jon quando aveva preso a fare così. Lo ricorda perfettamente nonostante avesse la mente annebbiata dall’alcol. Ricorda perfettamente anche il modo in cui non gli aveva dato risposta quando lo aveva sfidato e gli aveva chiesto cosa ci fosse che non andava.
Jon non aveva risposto. E Richie si era sentito morire. Perché per la prima volta non sono non si capivano ma si erano resi conto che non sapevano neanche come parlarsi.
Dopo tutto quel tempo passato a non dover neanche parlare, a comunicare con gli sguardi, le mani, un sorriso, si erano finalmente resi conto che se veniva a mancare la connessione loro non erano in grado di comunicare.
Ed è così che era finita.
Non c’entrava il momento in cui Richie aveva deciso di lasciare il gruppo, quello è stata solo la presa staccata al respiratore di un malato che da troppo tempo non apre gli occhi.
Non c’entra neanche il momento in cui ha scoperto che Jon si portava in tour i sostituti che erano pronti a prendere il suo posto da un momento all’altro.
Non c’entra forse neanche il giorno in cui aveva provato a tornare da lui, con gli occhi rossi, il fiato che sapeva di alcool ma il cuore sincero. Quel giorno Jon lo aveva rifiutato è vero, ma negli occhi ci aveva letto le vere parole che non si permetteva di dire e lo aveva lasciato così frastornato che non aveva saputo dire altro.
Non c’entrava nessuno di quei momenti perché il vero momento in cui Richie se ne era andato dal gruppo era quando aveva smesso di essere un tutt’uno con Jon.
È per questo forse che adesso che se lo ritrova davanti si sente così fuori da sé stesso. Per riuscire a funzionare e ad andare avanti aveva relegato Jon in un angolino recondito del suo cervello. Lo aveva scalzato via dal suo cuore e bruciati vivi i rimasugli dell’anima che un tempo condividevano, aveva fatto così tanto terra bruciata dentro di sé che molti parti del suo essere non erano più state le stesse.
Gli andava bene così però. Fintanto che Jon fosse distante lui poteva continuare la sua vita senza ricordare che un tempo era stato parte di qualcosa, senza far caso al modo in cui ogni fibra del suo essere ha cercato di ricongiungersi al suo doppio. Alla sua metà.
Ora che ce l’ha davanti però, con gli occhi pentiti, i capelli bianchi, le rughe e tutto il resto che fa pendant con la sua immagine, la devastazione dentro il suo corpo vacilla.
E l’immagine di Jon presente nel suo cuore forse non se ne è mai andata perché non appena lo vede lo sente fare le feste come se fosse appena tornato il padrone a casa.
E l’angolino del suo cervello non è poi così recondito se lo ha riconosciuto dai passi sul porticato, prima ancora che suonasse, prima ancora che gli aprisse.
E la devastazione nella sua anima non sembra più né così totalizzante né così perenne. Sembra quasi quegli incedi controllati che gli agricoltori fanno per rendere il terreno di nuovo pronto alla semina.
Richie si sente frastornato lo invita ad accomodarsi più per cortesia che per altro.
Jon gli parla senza guardarlo troppo negli occhi. Gli dice che c’è un documentario su di loro. Che è importante per il gruppo. Dice che gli hanno proposto tenendo al minimo il suo intervento e parlando di lui il meno possibile.
Non ha accettato.
Non gli era sembrato giusto.
Quando gli propone di partecipare alle registrazioni, Richie è ancora incanto dalle labbra che sembrano piene come un tempo e riescono a dire tutte quelle cose parole come se fosse le più dolci e le più strazianti possibile.
«Dovrà essere fatto a modo mio», si sente dire Richie. E una volta che lo ha detto ci si trova d’accordo.
Se deve partecipare ad una cosa del genere che almeno abbia la possibilità di autodeterminarsi e di raccontare la storia così come la ricorda. Almeno quello che ricorda, quello che ha rielaborato negli anni di terapia e di riabilitazione.
«Che intendi?», chiede Jon e Richie non può fare a meno di pensare che un tempo non avrebbe avuto motivo di chiederglielo.
«Voglio raccontare la storia a modo mio, so che tu la racconterai a modo tuo ma questo volta voglio che si sappia anche la mia di storia».
«Va bene», cede subito.
Richie si abbandona allo schienale della sedia su cui hanno preso posto per discutere e lo osserva.
Mai una volta Richie gliel’aveva data vinta così facilmente.
Stringe le mani tra di loro. «Perché vuoi che ci sia anche io?»
Jon ci pensa. Fa vagare gli occhi ora da un lato, ora dall’altro poi a un certo punto li punta nei suoi come la freccia impazzita di una bussola che finalmente trova il nord.
«Il gruppo non esiste senza di te. Non esiste che faccio un documentario senza che tu ne faccia parte».
C’è un “e” congiunzione alla fine di quella frase. Lo sente, lo percepisce e per un attimo il vecchio legame sembra tornare in auge, come un tunnel per le comunicazioni segrete che non è stato distrutto ma solo caduto in disuso.
Se non fosse cento per cento sicuro di essere pulito da anni ormai avrebbe avuto il dubbio di aver assunto una droga poco prima di aver sentito la connessione tra di loro essere di nuovo presente.
«E?», lo incalza.
Jon sembra frastornato come lui. Come se essere nuovamente capito gli avesse aperto i dotti lacrimali, Jon inizia a piangere come Richie non lo vedeva fare da così tanto tempo che quasi si è dimenticato che Jon Bongiovi ha pianto più volte tra le sue braccia e nel suo letto.
«Noi lo abbiamo già iniziato a girare», confessa.
Richie sbuffa una risata perché ne era stato certo dal minuto uno che non poteva essere possibile che aveva pensato subito ad un documentario in cui lui era incluso.
«Puoi biasimarmi per non averti chiamato?», chiede Jon interpretando perfettamente la sua risata. «Dopo tutto quello che ci hai fatto passare…»
«Se sei venuto qui di nuovo a rinfacciarmi di averti rovinato la vita risparmiamelo, non sei tu quello che viene invitato nei programmi delle radio locali quando fanno le trasmissioni vintage».
«Non ho scelto io di mollare tutto».
«Hai scelto di lasciare andare me».
«Lo sai anche tu che quando ti metti in testa una cosa non te la leva nessuno».
«Mi spiace, ma quello sei tu».
Jon non risponde. Lo guarda assorto. Richie è certo che sta ponderando se è il caso di andarsene. Lo avrebbe fatto se il motivo che lo ha spinto a venire a casa sua questa mattina non fosse così importante.
Solo qualcosa di vitale importanza potrebbe far tornare Jon sui suoi passi.
«Non sono venuto per litigare».
«E allora perché sei venuto Jon?»
«L’intervistatore mi ha chiesto quando mi sono reso conto che te ne eri andato. Quando ho accettato che i Bon Jovi sarebbero esistiti pure senza di te».
Richie sente lo stomaco contorcersi dal modo violento in cui le sue parole sono sincere. Sembra quasi gli possano tagliare la pelle e conficcarsi direttamente nei suoi pensieri, tanto sono affilate.
«E tu che hai risposto?»
Richie stesso non avrebbe saputo dare una risposta, forse.
Jon sembra invecchiare di colpo, come se quelle parole gli costassero una fatica immane. «Non l’ho mai accettato, Rich».
Richie rimane per un attimo frastornato. Al di là delle emozioni in subbuglio anche il vecchio soprannome gli risulta strano alle orecchie.
Richie vorrebbe fargli tante domande. Vorrebbe chiedergli perché è andato lì oggi con questa confessione, perché ha avuto bisogno di una persona esterna per ammetterlo, perché non gliene abbia mai parlato.
Forse, se gli avesse palesato questo sentimento, forse ci avrebbe ripensato. Ma ormai.
«Hai preso il tuo psicologo come intervistatore per il documentario?»
Jon non ride. Nonostante Richie lo guardi sorridendo, Jon resta serio e compito.
«Io non l’ho mai accettato, Rich», ripete e Richie lo sa, lo sa di nuovo cosa intende con quelle parole ma non le vuole ascoltare, non adesso.
«Per me non te ne sei mai davvero andato».
Richie si alza dalla sedia prima ancora che Jon abbia finito di parlare. Per un attimo lo strusciare della sedia sul pavimento è l’unica cosa che si sente. Poi, Richie inizia a urlare.
«Come osi? Come osi presentarti alla mia porta dopo dodici anni a dirmi cose del genere? Cosa vuoi che faccia? Che salti su di nuovo solo perché tu hai problemi di attaccamento? Non lo farò, Jon. Non per te. Non di nuovo».
«Ti ho solo detto quello che penso, perché ti arrabbia così?»
«Perché so cosa stai pensando. So cosa vuoi che faccia, so come ti immaginavi questo incontro e sbagli Jon. Non verrò con te. Non tornerò adesso solo perché non accetti che io viva bene anche senza di te».
«Sai a cosa sto pensando?»
Richie non se ne era accorto. Lo ha detto ad alta voce mosso dalle emozioni ma non è certo adesso che sia vero quello che dice. Quanto aveva cercato di nuovo questa sensazione quando si era rotta ormai trent’anni fa.
E ora, la sente e a stento la riconosce.
Eppure, è vera, è reale. Tra lui e Jon c’è di nuovo connessione.
«Non… Non è quello che intendevo», mente.
«Perché fai così?», sbotta Jon imitandolo e alzandosi a sua volta. «Perché rifuggi il legame che abbiamo cercato per così tanto tempo».
«Non pensavo tu lo stessi cercando».
«Dal momento in cui si è rotto».
«Perché non me lo hai detto?»
«Perché neanche tu lo hai fatto».
Richie lascia cadere la testa sul petto.
«In realtà sapevo ti saresti arrabbiato», inizia Jon.
«Ci capiamo solo quando non serve più?»
Jon fa spallucce. «A quanto pare».
«È una bella idea quella del documentario», inizia, «Partecipo se mi lascia la libertà di dare la mia versione della storia».
«Non era neanche messo in dubbio».
Restano in silenzio per un attimo. Nessuno dei due guarda l’altro.
«Hai capito cosa ho detto, Rich? Io non mi sono mai ras…»
«Ho capito cosa hai detto!», lo interrompe. «Ho capito anche tutto il resto e mi dà i nervi che tu abbia pensato potesse essere una buona idea».
«Che intendi?»
«Che non sai quello che ho passato, Jon. Perché per te c’era solo il Richie che vi aveva abbandonati e non quello che cercava di rimettere insieme i pezzi della propria esistenza dopo che tu li avevi mandati in frantumi».
Jon fa un passo indietro. La fronte si corruga.
«Ogni volta che non ti capivo perdevo un pezzo di me, ogni volta che ci allontanavamo perdevo un pezzo della mia anima. Sei scappato così lontano che neanche i miei SOS ti raggiungevano più. Mi hai abbandonato su quell’isola da solo. Ti sei portato via tutto. I sogni che condividevamo, il legame che avevamo. E adesso torni qui e pensi che io possa perdonare tutto e tornare da te?»
«Pensavo tu potessi ritornare da noi».
«E quello che eravamo invece stati noi? Ci hai mai pensato? Hai mai provato a ritornarci? Ti sei mai chiesto se fossi rimasto su quell’isola ad aspettarti anche se mi avevi voltato le spalle?»
Jon lo guarda con gli occhi lucidi e il labbro tremolante e Richie si sente di nuovo nel baratro di dieci anni fa, in cui emozioni troppo grandi sembrano trascinarlo verso il basso. Adesso però ha imparato a nuotare anche nella melma, perciò con forza e a fatica cerca di restare a galla mentre Jon prende coraggio per parlargli.
«Ho sempre saputo che mi stavi aspettando», dice con un filo di voce.
Richie sente qualcosa rompersi dentro di lui e la melma delle sue emozioni negative ricoprirlo fin quasi a soffocarlo.
«Cosa?», le lacrime sembrano volergli bucare gli occhi tanto sono dolorose, «Tu sapevi quanto ho provato a cercarti e non hai mai pensato di venirmi incontro? Io… Io credevo che ci fossimo persi entrambi ma che cercassimo di ricongiungerci, invece dopo tutto questo tempo mi vieni a dire che mi hai abbandonato come un giocattolo rotto perché avevi di meglio da fare?»
Richie sente la rabbia montare, l’ira accendersi. «Sono stato ad aspettarti per dodici anni. E in tutto questo tempo tu hai sempre saputo dove trovarmi», dice con la voce rotta dal pianto.
«Rich io…»
«Rich cosa? Sei un vigliacco. Mi hai fatto credere di essere responsabile del nostro rapporto rovinato tra le altre cose e invece sei sempre stato tu. È stata tutta una tua macchinazione. E io sono stato solo l’ennesima pedina. Cos’è a un certo punto non ti servivo più?»
«Richie sai che non è così»
«E allora com’è, Jon? Dimmelo. Puoi davvero ammettere che non hai mai trovato un modo per riconnetterti con me? Puoi davvero ammettere che non hai preferito la tua carriera a me? Puoi farlo Jon?»
Jon non gli risponde. Le labbra tremano come quelle di un bambino e Richie stesso si sente tremare.
«Non venire mai più a chiedermi una cosa del genere», inizia, «Non credere neanche per un istante che io possa tornare nel gruppo. Io non voglio avere niente a che fare con te», gli sputa addosso.
«Richie, asp…»
«Aspetta cosa, Jon? Che di nuovo rigiri le cose a tuo favore? Non voglio sentire mai più una tua parola», così dicendo lo accompagna alla porta.
Jon si volta un’ultima volta e lo guarda negli occhi con quello sguardo liquido che gli rende il cuore debole.
«Lo vengo a fare il tuo documentario di merda e vengo a dire quanto fai schifo e quanto mi hai abbandonato e quanto io sia stato importante per il nostro gruppo».
Jon lo guarda supplice ma lui non ha intenzione di ascoltarlo. Richiude tutte le porte nel suo cervello, lo scaccia via dal suo cuore ed infine dà nuovamente fuoco alla sua anima sperando che possa reggere.
«Voglio che tu te ne vada», dice infine, «E che non torni mai più».
Si chiude la porta alle spalle e si lascia andare. Con la schiena appoggiata alla porta piange tutte le scelte che gli sono state mostrate poi negate. Piange per sé stesso, per il suo cuore dolorante, per la sua anima a brandelli.
Piange soprattutto per quel legame che ha sempre ritenuto puro e che Jon invece ha profanato con il suo egoismo.